Un vero pioniere della chirurgia vascolare

UN VERO PIONIERE DELLA CHIRURGIA VASCOLARE

“Era in questa atmosfera di eccitazione riguardo alle teoriche possibilità della chirurgia arteriosa ricostruttiva che, mentre svolgevo la fellowship alla “Columbia University” nel 1947, inciampai nella nozione riguardante l’uso di un tubo in tessuto permeabile come graft arterioso. Ciò seguì un’osservazione fortunata in un esperimento animale in cui l’endocardio era cresciuto intorno alla seta che attraversava la cavità ventricolare del cuore sin istro. La mia osservazione stimolò l’ipotesi che la stoffa avrebbe potuto costituire una struttura su cui l’organismo poteva formare un proprio innesto attraverso il deposito di cellule nell’interstizio della stoffa. … La Union Carbide Company ci fornì il vinyon, la sola fibra adatta alle nostre necessità. Essendo troppo inerte per assumere un colorante, tale tessuto aveva uno scarso valore commerciale ma presentava tutte le caratteristiche fisiche che noi stavamo cercando e diede una buona prova di sé per tutto il periodo sperimentale.

In seguito, nel 1953 circa, il dacron, utilizzato con successo nell’industria tessile, era diventato più semplice da reperire. Fortunatamente esso mostrò lo stesso successo come materiale per innesto”.

[Arthur Voorhees jr (1921-1992)]


ARTHUR VOORHEES jr

Fotografia scattata nel 1957 di Voorhees e del cane sperimentale 627A, “un animale adorabile” che aveva ricevuto una protesi aortica nel 1951 (fornita da Margaret R. Voorhees). Il cane sopravvisse con la protesi 8 anni, fino al 1959.

Lo statunitense Arthur Voorhees jr (23dicembre 1921- 12maggio 1992) può essere accreditato come l’inventore delle protesi arteriose sintetiche.

Nel 1947, durante la sostituzione sperimentale della valvola mitrale nei cani, Voorhees notò che una sutura mal posizionata era stata successivamente avvolta nell’endocardio. Egli postulò che, “un tubo di stoffa, che agisce come un reticolo di fili, poteva effettivamente servire come protesi arteriosa“.

A quell’epoca, per i pazienti umani venivano utilizzati innesti naturali da donatori umani e animali. Ma tali innesti erano scarsi ed erano suscettibili al rigetto da parte dell’organismo ospitante.
Voorhees studiò per anni la tenuta delle sue protesi in vinyon sui cani. Egli le preparava utilizzando la macchina da cucire (marca Necchi) della moglie Margaret.


innesti sintetici vascolari

Matrimonio, fotografia di Arthur e Margaret Voorhees, Moorestown, New Jersey, 22 dicembre 1945 (fornita da Margaret R. Voorhees).

Il febbraio 1953 segnò l’inizio degli impianti di innesto sintetico negli esseri umani presso il Columbia-Presbyterian Medical Center di New York.
Egli ed il celebre dr Arthur Blakemore (1897-1970) stavano esplorando un paziente affetto da rottura di aneurisma dell’aorta addominale. Dopo aver eseguito un primo controllo, il dr. Blakemore rimase sgomento nell’apprendere che non era disponibile un omotrapianto aortico per l’impianto.

Il dottor Robert Gross, ad Harvard, era stato particolarmente attivo nel campo e negli anni quaranta era riuscito a dimostrare che omoinnesti arteriosi conservati potevano essere usati nelle principali arterie come l’aorta. Ma in quel momento non vi era alcuna disponibilità di omoinnesti in ospedale ed il tempo non era amico all’equipe operatoria.
Voorhees lasciò la sala operatoria, modellò un innesto di biforcazione di tessuto in vinyon, lo diede all’infermiera perché fosse autoclavato e tornò al campo operatorio.


una nuova era

Dopo che l’innesto venne posizionato e le pinze rimosse, il condotto funzionò e, sebbene il paziente fosse morto dopo l’intervento chirurgico per una complicanza coagulativa, la protesi risultò pervia al momento dell’autopsia. Incoraggiato da quell’esperienza iniziale, diverse settimane dopo il team inserì elettivamente un altro innesto in vinyon in un paziente con aneurisma dell’aorta addominale, e quel paziente sopravvisse.
Durante i successivi 10 mesi, 16 ulteriori aneurismi furono trattati con protesi in tessuto ed un sorprendente 56% dei primi 18 pazienti sopravvisse.
Voorhees attribuì le morti nell’esperienza iniziale all’incapacità di trattare con successo i pazienti in extremis, le cui arterie gravemente malate avevano portato troppo frequentemente a disastrose emorragie intraoperatorie.


RIFERIMENTI:


 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *