Filolao 

Filolao

Filolao e Pitagora

Non ancora accertate in maniera univoca le origini di Filolao, medico e filosofo del V secolo ac al quale si deve il grande merito di aver divulgato i concetti filosofici della dottrina pitagorica. Di certo Filolao compare tra i rifugiati a Tebe sfuggiti alla seconda persecuzione anti-pitagorica condotta a Crotone da una nuova e feroce classe dirigente, avversa alla politica classista ed aristocratica dei pitagorici. Diogene Laerzio afferma senza dubbio alcuno, che Filolao è medico e filosofo nato a Crotone, mentre altre fonti storiche lo riferiscono proveniente da Taranto. Di certo Filolao visse nella città di Pitagora.
Per sfuggire dunque alla sangiunosa repressione, il gruppo pitagorico crotoniate si rifugiò a Tebe, divenuta nella prima metà del V secolo ac il principale centro di raccolta di profughi politici provenienti dalla Magna Grecia. La città beotica era abitata da un popolo di stirpe affine a quella che aveva fondato l’antica Crotone, ed era governata da un ceto aristocratico formato da famiglie ricche ed amanti dello sport. Tebe offrì a Filolao e compagni solidarietà di classe ed un ambiente culturale favorevole all’apertura di una scuola filosofica. Ben presto la sua scuola divenne famosa e frequentata, sì che Filolao potè professare i suoi principi filosofici. Filolao organizzò in modo sistematico le dottrine scientifiche e filosofiche di Pitagora e le divulgò, liberandoli dal carattere settario che avevano assunto prima.
Egli cimentandosi con la relazione tra l’interminato ed il terminato nella struttura del cosmo, sostenne che il terminato non sta all’esterno del cosmo, da esso separato con netti confini, ma penetra al suo interno ed interagisce con esso in un rapporto che si può rappresentare con numeri, che sono razionali ed irrazionali. Filolao è anche ricordato nella storia del pensiero scientifico per avere sottoposto a profonda revisione la concezione cosmologica pitagorica, fondata sulla sfericità della Terra e sul geocentrismo.
Egli sostenne infatti che al centro dell’universo sta un fuoco, principio motore, e che intorno ad esso ruotano tutti gli elementi dell’universo, comprese le stelle fisse.


la dottrina di Filolao

La dottrina filosofica di Filolao si cimentò presto con la medicina antica, in particolare con la scuola medica crotoniate, e con Alcmeone Democede, massimi esponenti.
Ribattendo la teoria del livellamento delle forze contrapposte, che aveva fatto la fortuna di Alcmeone, il filosofo crotoniate ritenne invece che il corpo umano è composto di solo caldo, e che tutti gli altri principi attivi come il freddo, il secco e l’umido, si introducono dall’esterno, per creare con il caldo l’equilibrio vitale.
In risposta a Democede, che cercava l’eziologia delle malattie nel sangue, nella bile e nei catarri, Filolao protese per l’inscindibilità tra corpo e anima, per cui le malattie sono provocate dall’annientarsi dell’anima, dovuta a principi sconosciuti.
Certamente Filolao visse e professò nell’antica Crotone, divenendo membro di un piccolo gruppo aristocratico, seguace della dottrina politica e filosofica dei pitagorici. La sua vita e le sue opere sono indissolubilmente legate alla storia della colonia achea, e della nota scuola pitagorica. Dove egli sia nato, assume in questa ottica poca importanza.
Emile Littrè, nella sua opera di traduzione completa dell’opera ippocratica in francese fatta dal 1839, racconta che secondo Filolao, nel suo testo intitolato “Trattato sulla natura“, esistono quattro organi principali: il cervello, il cuore, l’ombelico e i genitali.
Il cervello è sede dell’intelligenza, al cuore appartiene l’anima sensibile, a l’ombelico appartengono “enracinement e germination”, mentre ai genitali l’emissione del seme e la generazione. Il cervello è “il principio” dell’uomo, il cuore dell’animale, l’ombelico del vegetale e le parti genitali rappresentano il “principio” di tutte le cose. 
Anonimo Londinese (DK 27) riporta:

Filolao Crotoniate afferma che i nostri corpi sono costituiti di caldo. Che essi non partecipino del freddo, lo deriva da alcuni indizi di questo genere: lo sperma è caldo, ed esso è ciò che produce il vivente; e il luogo nel quale viene gettato (cioè l’utero), è anche più caldo e simile ad esso. Ciò che è simile a qualcosa possiede poi le stesse proprietà di ciò cui è simile: e poiché ciò che produce non partecipa del freddo, e a sua volta il luogo in cui è gettato non partecipa del freddo, è chiaro che il vivente prodotto condivide analoga proprietà. Quanto alla costituzione, Filolao si vale di questa supposizione: subito dopo il parto il vivente inspira l’aria esterna; che è fredda; poi di nuovo, come per necessità la rimette. Perciò insorge il desiderio dell’aria esterna, ché con il contatto dell’aria nell’inspirazione i nostri corpi, che sono troppo caldi, vogliono raffreddarsene. E in questo ripone la costituzione dei nostri corpi. Dice poi che le malattie si generano a causa della bile, del sangue e del flegma; così hanno principio le malattie. Si raddensa, egli dice, il sangue comprimendosi all’interno la carne; si fa rado per dilatarsi dei vasi nella carne. Dice poi che il flegma si costituisce a partire dalle urine. Afferma ancora che la bile è un siero della carne, ma su tale punto questo uomo muove un paradosso: giacché asserisce che la bile non è affatto connessa al fegato, ma piuttosto è un siero della carne. Quanto poi al flegma, mentre i più lo dicono freddo, egli lo postula caldo per natura. Infatti flegma deriverebbe da “ardere” (phleghein): e che per ciò le infiammazioni (tà phlegmaìnonta) bruciano, partecipando del flegma. E queste postula come cause originarie delle malattie, come concomitanti poi l’eccesso di calore, di cibo, di raffreddamento o la mancanza [di queste o] di cose simile a queste“.

Mario Vegetti, nel suo testo sulle opere ippocratiche del 1961, riguardo a Filolao, afferma:

“Filolao fu tra i maggiori rappresentanti del pitagorismo del V secolo ac. Nel suo pensiero confluiscono tutti gli spunti per un corpus di scienza naturale diverso e contrapposto con quello ippocratico: dalla feconda eredità alcmeonica alla aritmetizzazione pitagorica del sapere, dalla dottrina empedoclea degli elementi che sulla prima si innesta, dal metodo analogico, alla critica sofistica del linguaggio. I risultati, quasi sempre contrapposti a quelli ippocratici, risentono di tale originaria ambiguità, e rappresentano tuttavia una grande possibilità che restò inesplorata col progressivo abbandono degli interessi naturalistici da parte dell’antico pitagorismo e delle sue derivazioni“.

 


FONTI:

  • Articolo tratto dal sito www.calabriatours.org;
  • dall’introduzione della traduzione dell’opera completa di Ippocrate in francese da parte di E. Littrè del 1839-1861 e
  • dal testo di Mario Vegetti sulle opere ippocratiche (1961)


Autore: Dott. Concetto De Luca (novembre 2010)


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