Domenico Cotugno, epidemiologo ed infettivologo

Domenico Cotugno, epidemiologo ed infettivologo

Articolo di Maurizio Bifulco e Antonio Iurilli


Domenico Cotugno

Domenico Cotugno (1736-1822)

Lo scorso ottobre è ricorso il bicentenario della morte di Domenico Cotugno, medico e scienziato nato a Ruvo di Puglia il 29gennaio 1736 e vissuto a Napoli dall’età di 17 anni, fino alla sua morte, il 6ottobre 1822.

Cotugno ebbe un ruolo importante nella Scuola Medica Salernitana dove si era laureato, e fu uno studioso profondamente integrato a Napoli dove divenne medico di fiducia della famiglia reale. Un ruolo che gli diede lustro tanto da essere definito l’“Ippocrate napoletano” e consacrato come uno dei padri della Medicina moderna.

Ai suoi tempi, a Napoli, si diceva che nessuno potesse morire senza il suo permesso. Fu uno straordinario scienziato in un’epoca di rivoluzioni scientifiche e sociali.


UN RIVOLUZIONARIO DELLA MEDICINA

Egli fu un rivoluzionario della Medicina a cui diede un moderno sviluppo, basato sulla ricerca e l’analisi clinica, preso poi a modello in Italia e in Europa.

Cotugno, oltre ad aver arricchito la scienza anatomica del Settecento con brillanti scoperte sull’udito, sulla sciatica, sulla circolazione venosa, fu epidemiologo e infettivologo di primo piano, impegnato a combattere l’epidemia di tisi polmonare che afflisse Napoli intorno agli anni settanta del secolo, dopo che già nel 1764 le ‘febbri corruttorie’ avevano mietuto quarantacinquemila vittime. Tali devastanti vicende sanitarie lo avevano indotto a scrivere:

“La tisichezza polmonare più che non fosse altrove, in Napoli e nel Regno è contagiosa”.


DESCRIZIONE DELLA TISI

Angelica Kauffman: ritratto di Domenico Cirillo (10aprile 1739 – 29ottobre 1799) , Museo Nazionale di San Martino, Napoli

Egli descrive la tisi o tisichezzacome una malattia contagiosa che origina da una piaga presente a livello polmonare”. Gli infermi tossendo liberano “vera e genuina marcia” che rimanendo attaccata al pavimento, alle mura, alla biancheria ed a qualunque utensile, può contagiare le persone sane che ne respirano le velenose e nocive particelle. I tisici mostravano i sintomi della febbre senza intermittenze che cresceva da mezzodì in poi.

Descrive anche le precauzioni da mettere in atto in caso di coabitazione con il tisico, indicando di evitare l’uso di vesti di lana venute a contatto con il malato ed allontanare dalla casa in modo sollecito tutti i panni usati dall’infermo. Cotugno proponeva l’isolamento del malato, ove possibile, suggerendo di evitare la convivenza, o almeno l’avvicinamento di ogni individuo.

Vietava di sputare a terra e suggeriva di farlo in sputacchiere ove sia dell’aceto. La superficie della stanza ove sia stato il tisico doveva essere rinnovata raschiando l’imbiancatura e turando i buchi a calce e gesso.


PROVVEDIMENTI CONTRO LA TISI

Monumento di Domenico Cotugno in piazza Cavallotti a Ruvo di Puglia.

Tutto ciò che è di legno doveva essere dipinto a olio. La soffitta se avesse presentato della carta avrebbe dovuto essere messa a nuova pasta di farina e aceto. Il pavimento a mattoni doveva essere lavato con ranno, e rimesso con nuovo cemento o tinto a olio o con terra rossa. Le mobilia, se avessero presentato paglia avrebbero dovuta essere bruciate. Le pelli dovevano essere ridotte in pezzi e gettate in mare o nella cloaca. Gli utensili dovevano essere messi in ranno, lavati più volte e asciugati al sole. La bambagia non lavorata doveva essere bruciata mentre quella filata doveva essere ripulita.”

In piena crisi epidemica, nel maggio 1774 la Deputazione Napoletana di Salute decise di assumere informazioni dalla Germania e dalla Francia “sulle precauzioni e riserve usate per impedire la dilatazione del male di etisia a che li sani non ne venghino attaccati dagl’infetti”. Frutto di quell’indagine fu un documento, firmato da Cotugno e da Domenico Cirillo, che dettava le norme atte a contenere il contagio nella città e nel Regno.


CONTENERE IL CONTAGIO

Micco Spadaro (Napoli, 1609 circa – 1675): Largo Mercatello durante la peste a Napoli (1656). Opera conservata al Museo Nazionale di San Martino a Napoli.

La perentorietà con cui i due illustri sanitari denunciavano l’estrema contagiosità della tisi indusse la Deputazione di Salute a promulgare un editto che imponeva la creazione di un cordone sanitario intorno ai contagiati e la distruzione per mezzo del fuoco di tutte le masserizie di loro proprietà.

L’editto sollevò, come era prevedibile, molti malumori in tutti i ceti sociali, al punto da indurre il sovrano a chiederne una parziale riscrittura, per la quale affiancò a Cotugno e a Cirillo ben sei medici notoriamente contrari alla tesi della contagiosità della tisi polmonare.

Quarant’anni dopo, l’Accademia Medico-Chirurgica di Napoli fu chiamata a riconsiderare la questione. Una commissione composta da sette fra i più prestigiosi medici della città si espresse contro la contagiosità della tisi polmonare asserita da Cotugno, impegnandosi a “sradicare la mal fondata opinione del popolo sul contagio”.


Cotugno ed il vaiolo

Frontespizio del libro di Domenico Cotugno sul vaiolo, il “De Variolarum Syntagma“.

Il documento portava in calce anche la firma di Benedetto Vulpes, allievo prediletto di Cotugno. “Nihil novi sub sole… “

Cotugno si interessò con viva attenzione, fin dagli esordi clinici agli “Incurabili”, al vaiolo nella sua duplice dimensione isto-patologica ed epidemiologica. Il vaiolo, drammaticamente diffuso in tutti i Paesi d’Europa, era divenuto oggetto di vivaci dispute in ambienti culturali non propriamente medici, dopo l’avvio della inoculazione del vaccino (una pratica innovativa dei canoni terapeutici della Medicina tradizionale); Si valutava persino la congruità della profilassi antivaiolosa del cosiddetto ‘innesto’ con la dottrina cattolica, inerendone in alcuni casi violazioni di ordine etico e confessionale.

Nell’Italia scientifica del primo Settecento si era discusso a lungo di immunizzazione attiva rappresentando per taluni un rimedio incondizionatamente positivo al vaiolo, e per altri una procedura non scevra da controindicazioni. Cotugno fu tra i primi in Europa a comprendere l’importanza della vaccinazione e a praticarla nel Regno di Napoli. Il suo De sedibus variolarum syntagma è, infatti, un’opera precorritrice delle attuali idee sulla vaccinazione.


OSPEDALE COTUGNO

Un’immagine dell’Ospedale ‘Cotugno‘ di Napoli (1973).

Consegnando alle stampe una raccolta ordinata e analitica di esperienze sulla localizzazione delle pustole vaiolose, Cotugno sembra tuttavia collocarsi in una diversa dimensione del problema: la disputa sull’opportunità dell’inoculazione si dissolve, infatti, nelle righe conclusive dell’ultimo capitolo, in un incondizionato incitamento alla profilassi immunitaria, una convinzione cui egli terrà fede aderendo ad una sorta di comitato di nomina reale incaricato di diffondere la pratica inoculatoria nel Regno. Per quanto riccamente documentata da molteplici osservazioni, l’esposizione cotugnana sulle sedi delle pustole vaiolose non incontrò larghi consensi.

Oggi il suo nome è legato soprattutto all’omonimo Ospedale “Cotugno”, il più importante ospedale per la cura delle malattie infettive a Napoli, non a caso intitolato a lui, fondato nel 1884 quale ospedale municipale per le malattie infettive – un’innovazione considerando che fino alla prima metà dell’800 per le malattie infettive c’erano solo i lazzaretti- in prima linea contro le infezioni come quella attuale da Coronavirus.


  • Articolo pubblicato sul giornale “Il Mattino” il 10 febbraio 2023.

 

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