GIOVANNI MARIA LANCISI


GIOVANNI MARIA LANCISI

 (1654 – 1720) 


Giovanni Maria Lancisi01
Giovanni Maria Lancisi (Roma, 26ottobre 1654 – Roma, 20gennaio 1720)

Secondo di due figli, nacque a Roma il 26 ottobre 1654 da Bartolomeo e da Anna Maria Borgianni. La madre morì nel darlo alla luce e il neonato fu affidato dal padre a una zia materna con la quale visse a Orvieto fino ai dodici anni.
Mentre frequentava il “
Collegio Romano” seguì corsi di filosofia nella preparazione al sacerdozio. Egli realizzò presto che la sua vocazione era per la medicina e la storia naturale. Abbandonata la teologia, proseguì i suoi studi medici alla Sapienza e ricevette la laurea in medicina all’età di 18 anni, giovane anche per quei tempi.
Lancisi continuò i suoi studi medici in maniera indipendente ed iniziò ad avanzare abbastanza rapidamente nella sua professione. Solo tre anni dopo la laurea fu assegnato allo staff dell’
Ospedale Santo Spirito e in altri 3 anni fu nominato membro del “Collegio del Salvatore”.
Nel 1684, all’età di 30 anni fu nominato professore di anatomia nella sua alma mater ed occupò quella posizione per 13 anni.
E’ del 1687 la “
Dissertazione apologetica fra ‘l sig.r dottor Giovanni Cosimo Bonomo e il sig. Giovanni Maria Lancisi intorno a’ vermi osservati nella rogna…“, che riguarda una polemica sulla causa della scabbia. L’opera è costituita da una serie di lettere scritte dai due contendenti fra l’agosto e l’ottobre di quell’anno. Movente della discussione fu la pubblicazione di un’opera di Giovan Cosimo Bonomo (Livorno, 30novembre 1666 – Firenze, 13gennaio 1696), “Osservazioni intorno a’ pellicelli del corpo umano…” (Firenze 1687), rielaborata, almeno stilisticamente, da Francesco Redi (Arezzo, 18febbraio 1626 – Pisa, 1marzo 1697), nella quale Bonomo dava conto di osservazioni microscopiche sull’acaro della scabbia condotte con Giacinto Cestoni (Montegiorgio, 13maggio 1637 – Livorno, 29gennaio 1718) e dove per la prima volta si riconosceva la natura parassitaria della malattia. Inviata da Bonomo al Lancisi con la preghiera di discuterla con gli accademici, l’opera fu da questi accolta con ostilità, tanto che arrivarono perfino a mettere “in dubio il bon uso de’ microscopii”. Il Lancisi, da parte sua, rifiutò la patogenesi parassitaria del male, avanzando l’ipotesi di un’origine spontanea della malattia.
Nel frattempo la sua relazione con la corte papale divenne più stretta e Lancisi fu nominato da Papa Innocenzo IX, nel 1688, dottore pontificio. Come archiatra pontificio ebbe il compito di curare il papa quando questi, nel giugno 1689, contrasse il male che un paio di mesi più tardi lo portò alla morte. La terapia del Lancisi fu criticata da più parti, tanto che l’oratore di Bologna, Gian Francesco Negroni, ritenne utile spingere 
Marcello Malpighi a inviargli un parere sulla cura migliore da somministrare all’illustre paziente.
La morte di Innocenzo XI fece cadere in disgrazia il Lancisi. Dalla cattiva sorte cominciò a risollevarsi circa un anno dopo: se si dà fede alla data riportata da Crescimbeni (1720, p. 25), nell’autunno del 1690 fu nominato dal cardinale Paluzzo Altieri suo vicegerente con il compito di rappresentarlo nel conferimento dei gradi accademici in filosofia e medicina. L’incarico fu seguito, il 2 luglio 1691, dall’ascrizione all’Arcadia con il nome di Ersilio Macariano. Nello stesso anno diede il suo contributo a un atlante di Anatomia nel quale illustrò alcune preparazioni anatomiche commesse a Bernardino Genga e incise sotto la direzione di Charles Errard.
Nel 1699, fece il suo rientro nella corte pontificia. Fu dapprima chiamato per curare l’ultima infermità di Innocenzo XII, che morì l’anno seguente, e fu poi scelto, con Giacomo Sinibaldi, come medico del conclave che innalzò, il 23 novembre 1700, G.F. Albani, papa Clemente XI. Il nuovo pontefice lo nominò suo medico ordinario e cameriere segreto partecipante, incarichi mantenuti per il resto della sua vita. Il legame del Lancisi con Clemente XI fu molto stretto; il pontefice lo favorì con onori e incarichi, tra l’altro facendogli ricoprire l’ufficio di protomedico generale di Roma e dello Stato pontificio e concedendogli, nel dicembre del 1701, l’uso di uno stemma e forse un diploma di nobiltà “
ad personam“.
Tale legame fece inoltre in modo che Lancisi venisse impegnato in misura crescente dalla Curia, in particolare dalla congregazione per le Cause dei santi, per la quale espresse vari voti in processi di canonizzazione, tra cui quello, poi dato alle stampe, per la canonizzazione di Pio V.
In questi anni il Lancisi, pur svolgendo un’intensa attività professionale, continuò a dedicarsi agli studi, collaborando tra gli altri anche con 
Antonio Pacchioni (1665 – 5novembre 1726).
Al Pacchioni è legato l’episodio che provocò il deterioramento dei rapporti con l’altro personaggio di spicco della medicina allora operante in Roma, 
Giorgio Baglivi (Ragusa, 8settembre 1668 – Roma, 15giugno 1707). Pacchioni aveva condotto con Baglivi esperimenti (che diedero luogo a un’ipotesi errata) sul ruolo della dura madre cerebrale in fenomeni fisiologici e patologici, fornendogli suggerimenti sul ruolo delle parti solide dell’organismo; Baglivi utilizzò quei dati, senza citarlo, nella sua opera “De fibra motrice et morbosa… Epistola ad Alexandrum Pascoli“. Il Lancisi spinse Pacchioni a controbattere, facendogli pubblicare la “De durae meningis fabrica et usu disquisitio anatomica…“, nella quale Pacchioni rivendicava la priorità della scoperta e accusava di plagio Baglivi. Questi reagì individuando nel Lancisi il vero artefice dell’attacco.
A partire dal 1702, il Lancisi assunse nell’Università della “Sapienza” di Roma l’insegnamento di Medicina Pratica, tenuto fino alla morte.
Nel 1705 egli accettò la carica di arconte della progettata repubblica letteraria di L. A. Muratori, in quanto vi intravide uno strumento di indirizzo culturale per le patrie lettere e un luogo dove sviluppare un confronto di idee.


LANCISI E GLI ANEURISMI E LE MORTI IMPROVVISE 

Di notevoli implicazioni politiche fu l’incarico che Clemente XI affidò al Lancisi nel 1706. Dall’estate del 1705 all’inverno del 1706 a Roma si era verificato un alto numero di morti repentine che una voce diffusa attribuiva a una punizione divina. Il fenomeno avveniva in un momento delicatissimo della guerra di Successione Spagnola, con l’acuirsi dell’ostilità imperiale verso lo Stato pontificio, accerchiato ai confini dall’esercito austriaco e condizionato da grande instabilità interna.
Al fine di evitare l’ondata di panico causata dalle morti, il pontefice ordinò al Lancisi di occuparsi della questione, cosa che egli fece eseguendo un gran numero di autopsie. I risultati furono pubblicati in “
De subitaneis mortibus libri duo…” (Romae 1707, altre edizioni lo stesso anno e nei successivi a Lucca, Venezia e Lipsia), nel quale il Lancisi descrisse accuratamente le condizioni patologiche osservate e concluse che causa delle morti erano un’ipertrofia e una dilatazione cardiaca provocata da un malfunzionamento valvolare.
Egli affermò che le arterie coronarie calcificate, per la natura ostruttiva della malattia, erano una causa di ingrandimento cardiaco. Anche la barriera meccanica, prodotta dal restringimento degli orifizi valvolari, fu riconosciuta da lui come una causa di ingrandimento cardiaco. Lo svuotamento delle arterie coronarie nelle camere cardiache fu teorizzato da lui ancora prima dei risultati degli studi necroscopici. Lancisi arrivò a questa conclusione quando notò la comparsa del mercurio nelle camere cardiache dopo che questo era stato iniettato direttamente nelle arterie coronarie. Egli ipotizzò che il mercurio passasse nelle camere ventricolari attraverso i canali venosi. Così, anticipò chiaramente la dottrina della perfusione miocardica attraverso il sistema coronario arterioso.
Lancisi - De Motu Cordis et Aneyrismatibus1Il secondo trattato di Lancisi “
De Motu Cordis et Aneurysmatibus” fu pubblicato nel 1728, circa 8 anni dopo la sua morte. Di gran lunga era il migliore tra i due. I momenti culminanti del libro sono la descrizione di vegetazioni verrucose e l’ispessimento delle cuspidi valvolari; il verificarsi del cosiddetto “aneurisma gallico” (dilatazione cronica del cuore come sequela della sifilide); la relazione tra la stenosi valvolare e le alterazioni cardiache; e la differenziazione dell’ipertrofia cardiaca con la dilatazione.
I concetti di etiologia di Lancisi rivelano un approccio moralistico; egli era molto influenzato dalle teorie umorali e iatrofisiche, e la sua terapeutica rivela le limitazioni del tempo. Comunque, le sue descrizioni della malattia e delle autopsie erano dettagliate e ben correlate come, per esempio, mostra il suo riconoscimento dell’associazione tra congestione venosa cervicale osservata al letto del paziente e dilatazione dell’atrio destro all’autopsia.
Egli descrisse in dettaglio anche il caso di un cinquantenne che aveva sviluppato dispnea e dolore toracico mentre cacciava. In seguito, nell’arco di due anni, il paziente, dopo comparsa di dispnea parossistica notturna ed edema degli arti, morì. All’autopsia egli riscontrò ispessimento delle valvole semilunari aortiche.


SALUTE PUBBLICA ED ALTRO

Di questioni legate alla tutela della salute pubblica il Lancisi si interessò nell’ultimo decennio della sua vita, e ne fece oggetto di una serie di opere, la maggiore delle quali è il “De noxiis paludum effluviis eorumque remediis libri duo”, ibid. 1717.
In essa il Lancisi fornì un quadro delle epidemie di febbri malariche che flagellarono Roma nel 1695 e nel 1716. Della prima di esse sostenne un legame con una contemporanea inondazione del Tevere e il ristagno delle acque nei prati e nelle fosse intorno alla Mole Adriana. Suggerì così l’esistenza di uno stretto rapporto tra la malaria e le paludi, luoghi particolarmente infestati dalle zanzare, da lui ritenute il vettore della malattia. Prescrisse, per la cura, un trattamento a base di corteccia di china e, per sradicare il male, consigliò la bonifica dell’Agro romano, ma restò inascoltato.
Sulla stessa linea il Lancisi si era già mosso con parziale successo quattro anni prima, quando, a capo di una commissione formata per esaminare la richiesta del duca Michelangelo Caetani di ricavare legname da una vasta selva in un suo feudo nei territori di Cisterna e Sermoneta, si spese per impedirne il disboscamento, che avrebbe eliminato un valido baluardo contro le esalazioni palustri dannose alla salute pubblica in Roma
La fama acquisita dal Lancisi favorì l’aggiungersi di un nuovo ruolo agli altri che svolgeva: esercitò una proficua funzione di raccordo tra il mondo intellettuale europeo e personalità italiane quali, oltre al 
Morgagni (1682-1771), Antonio Vallisnieri senior (che lo fece collaborare al Giornale dei letterati d’Italia e pubblicò sue lettere alle pp. 125, 127-131, 137-141 delle “Considerazioni ed esperienze intorno al creduto cervello di bue impietrito, vivente ancor l’animale…”, Padova 1710, e “Considerazioni ed esperienze intorno alla generazione de’ vermi ordinari del corpo umano…”, ibid. 1710) e Antonio Maria Valsalva (Imola, 17gennaio 1666 – Bologna, 2febbraio 1723). Con quest’ultimo ebbe uno scambio epistolare nel 1718-19 intorno alla natura della cataratta, nel quale lo informava sulle contemporanee discussioni tedesche intorno alla questione, di cui aveva notizie grazie alla corrispondenza con L. Haiser. Ancora di più la fama si accrebbe in seguito alla decisione, formalizzata nell’ottobre 1711, di donare la propria collezione libraria e di manoscritti all’ospedale S. Spirito, per erigere una biblioteca.
Furono adibiti al bisogno, nel 1712, quattro locali del fabbricato ospedaliero. La biblioteca, costituita da circa 20.000 volumi (molti dei quali provenienti dalle collezioni di altri illustri medici e scienziati), fu inaugurata e aperta al pubblico il 24 maggio 1714. Il Lancisi la dotò di fondi e di un regolamento e le associò l’
Accademia Filosofico-Medica, beneficiaria dei suoi apparecchi per esperimenti. L’attività dell’Accademia, iniziata nell’aprile 1715 (l’orazione programmatica del Lancisi fu pubblicata con il titolo di “Dissertatio de recta medicorum studiorum ratione instituenda…”, Roma 1715), si svolgeva negli spazi dell’ospedale, dove il Lancisi teneva lezioni per completare con la pratica la formazione dei giovani medici.
Dell’Accademia fu così fiero da inserire l’orazione nell’edizione dell’Opera “
quae hactenus prodierunt omnia…”, Genevae 1718 (in 2 volumi, ristampa postuma in quattro, con aggiunte, Romae 1745).
Nel 1718 il Lancisi aveva aggiunto, da circa quattro anni, una ulteriore figura alla sua già ricca personalità, essendo divenuto editore di testi scientifici. Fu lui, infatti, a spingere Clemente XI ad acquistare i 39 disegni anatomici noti con il nome di 
Tavole d’Eustachio rinvenuti a Urbino, dove erano stati dimenticati per circa centocinquanta anni, e a curarne la pubblicazione, dotandoli di un sommario e di commenti (“Tabulae anatomicae clarissimi viri Bartholomaei Eustachii quas a tenebris tandem vindicatas… praefatione notisque illustravit…” Jo. M. Lancisius, Romae 1714).
Inoltre, per opera sua era stata data alle stampe l’inedita “
Michaelis Mercati Samminiatensis Metallotheca opus posthumum…” opera autem et studio Jo. M. Lancisii… illustratum (ibid. 1717) cui il Lancisi fece seguire una sua “Appendix ad Metallothecam Vaticanam Michaelis Mercati…” (ibid. 1719) prima di curarne l’edizione definitiva lo stesso anno.
Il Lancisi morì a Roma il 20 gennaio 1720.
 

In suo onore fu detta Lancisiana anche una vena d’acqua che sgorga in Roma alle falde del Gianicolo verso il Tevere e che non contiene calcio. 



Riferimenti

1) “The History of Cardiology“, di L. Acierno, cap. 4
2) http://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-maria-lancisi_(Dizionario-Biografico)/


 

di dr Concetto De Luca (07/04/2014)


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