Protesi neuromuscoloscheletriche autosufficienti

Protesi neuromuscoloscheletriche autosufficienti

In un articolo del 30 aprile 2020, la prestigiosa rivista “New England Journal of Medicine” ha mostrato l’uso di un braccio robotico ancorato all’osso con componenti sia sensoriali che motori da 3 a 7 anni in quattro pazienti dopo l’amputazione transomerale. La prima firma dell’articolo è del dott. Max Jair Ortiz Catalan
Associate Professor, Electrical Engineering, che lavora in stretta collaborazione con l’Università di Gothenburg, in Svezia.

L’impianto ha consentito la comunicazione bidirezionale tra una mano protesica ed elettrodi impiantati nei nervi e nei muscoli della parte superiore del braccio ed è stato ancorato all’omero attraverso l’osteointegrazione, il processo in cui le cellule ossee si attaccano ad una superficie artificiale senza formazione di tessuto fibroso.


un lavoro frutto di una collaborazione multidisciplinare

L’uso del dispositivo non ha richiesto un allenamento formale e dipendeva dall’intento intuitivo dell’utente di attivare il movimento e dal feedback sensoriale della protesi. L’uso quotidiano ha comportato una crescente acuità sensoriale ed efficacia nel lavoro e in altre attività della vita quotidiana.

Lo studio è stato condotto da ricercatori del “Biomechatronics and Neurorehabilitation Laboratory“, “Department of Electrical Engineering“, Chalmers University of Technology (M.O.-C., E.M.), del “Department of Hand Surgery“, Sahlgrenska University Hospital (P.S.), e del “Department of Orthopedics“, Gothenburg University (R.B.) — tutte di Gothenburg, in Svezia; del “Clinical Laboratory for Bionic Extremity Reconstruction, Division of Plastic and Reconstructive Surgery“, Medical University of Vienna, Vienna (O.A.); e del “Center for Extreme Bionics, Biomechatronics Group“, MIT Media Lab, Massachusetts Institute of Technology, Cambridge (R.B.). Tra i ricercatori anche due scienziati sardi: i dott. Enzo Mastinu e Paolo Sassu.


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