Casi clinici di neuromielite ottica

NEUROMIELITE OTTICA: casi clinici del New England Journal of Medicine e del San Raffaele di Milano

Nel caso clinico del NEJM, il paziente (59 anni) che presentava riduzione del riflesso addominale e incontinenza urinaria ha risposto, con beneficio, al trattamento con metilprednisolone e azatioprina.


NEUROMIELITE OTTICA AL SAN RAFFAELE DI MILANO (GENNAIO 2014)

La neuromielite ottica (o sindrome di Devic) è una malattia non diffusa, dieci volte meno frequente della sclerosi multipla (alla quale è stata a lungo assimilata, ora si è visto che è una patologia a sé) ma è molto più grave. Implacabile nei suoi attacchi e nella sua progressione, nel giro di pochi anni compromette il nervo ottico e quindi la vista, e la capacità di movimento, fino alla paresi.

Finora non aveva una terapia efficace, ma oggi c’è una speranza concreta di poterne bloccare l’evoluzione grazie al trapianto di midollo osseo da donatore (detto anche trapianto di cellule staminali ematopoietiche) sperimentato con successo all’Irccs San Raffaele di Milano (e pubblicato su Annals of Neurology).
A effettuare l’intervento su due pazienti, per la prima volta al mondo, è stata l’équipe guidata da Giancarlo Comi, direttore del dipartimento di Neurologia, e da Fabio Ciceri, direttore dell’unità di ematologia e trapianto di midollo osseo dell’ospedale milanese.
A causare la neuromielite ottica, malattia autoimmune, è un anticorpo chiamato aquaporina 4 che provoca attacchi recidivanti di natura infiammatoria ai nervi ottici e al midollo spinale, con un danno neurologico permanente.

«I due pazienti che abbiamo trattato sono un uomo di 30 anni e una donna di 28, lui con gravi difficoltà di movimento, camminava solo con l’aiuto di un sostegno, lei costretta a letto»

racconta Comi, che ha seguito queste due persone per anni (e, persino al telefono, si sente il trasporto con cui ne parla). In passato, su entrambi era stato tentato il trapianto di midollo autologo, ossia con cellule progenitrici del sangue prelevato dallo stesso paziente, fatte espandere e poi reinfuse sperando di sradicare la malattia; ma non aveva funzionato. Dopo meno di un anno la neuromielite ottica era ricomparsa, come una pianta maligna.

«Il trapianto di midollo da donatore, a questo punto, era l’ultima spiaggia. Lo stesso paziente ci ha praticamente imposto di farlo, per non rivivere di nuovo lo stesso calvario della malattia»

dice Comi.

A differenza del trapianto autologo, quello da donatore (allogenico) ha maggiori possibilità di eliminare le cellule che producono l’anticorpo responsabile della malattia perché le sradica in maniera più profonda:

«Viene trapiantato un sistema immunitario completamente nuovo, che non contiene alcuna cellula che produce l’aquaporina 4»

precisa Comi.
E i risultati lo confermano: a distanza di tre anni dall’intervento, entrambi i pazienti stanno bene, la malattia non è ricomparsa. Il giovane di 28 anni ha ripreso a camminare, la donna ha riguadagnato la posizione eretta (per lei il miglioramento è stato minore perché la malattia era più avanzata, e il sistema nervoso danneggiato in modo più grave).

«Nessuno dei due pazienti ha comunque sviluppato infezioni gravi dopo il trapianto, né la complicanza più temibile del trapianto da donatore, ossia il rigetto»

aggiunge Raffaella Greco dell’Unità di trapianto del San Raffaele.
La strada aperta dal San Raffaele a questo punto è ampia:

«Abbiamo dimostrato che è possibile bloccare il progredire della malattia con il trapianto allogenico, e più presto si interviene, quando c’è ancora tessuto sano da salvare, maggiori sono i risultati. Dobbiamo avere il coraggio, insieme ai malati, di effettuare questo intervento quando e i margini di recupero sono ancora significativi, soprattutto se i trattamenti precedenti, meno invasivi, non sono efficaci. E spesso non lo sono»

conclude Comi.


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