La Medicina Egizia 

la medicina egizia 

al Tempo dei Faraoni 


tratto dal Testo 
di Ange-Pierre Leca 
(membro della Società Francese di Storia della Medicina)
Testo edito nel 1971 nella versione originaria in francese e ristampato in italiano nel 1992 dalla Ciba-Geiger Edizioni

 


Introduzione 

L’opera del Leca, “La Medicina Egizia“, si propone di presentare la medicina egizia e gli aspetti ad essa correlata nell’arco di tempo di circa tre millenni che va dalla prima dinastia (faraone Narmer, 3.000 ac circa) e la fine della seconda dominazione persiana con la conquista dell’Egitto da parte di Alessandro il Grande (332 ac).
Per quanto riguarda la tradizione scritta in ambito medico, il Leca riferisce come i testi si tramandassero di generazione in generazione con l’aggiunta di alcuni glosse. In questo senso non vi è progresso apparente, nei testi posteriori si aggiungono soltanto, accanto a ricette empiriche, annotazioni di carattere magico e incantesimi che, ai nostri occhi, appaiono come una degradazione del valore medico di tali testi.


Le Fonti 

Le fonti di cui parla il Leca vengono classificate in cinque gruppi:
1) I racconti dei viaggiatori greci
2) L’Antico Testamento
3) I documenti medici scritti durante il periodo faraonico (papiri e “ostraca”). NB: I papiri sono costituiti da un “recto” che è la parte anteriore, contrapposto dalla parte posteriore detta “verso” o “rovescio”
4) I documenti non medici scritti e figurati
5) I reperti ossei e le mummie

 


1) I racconti dei viaggiatori greci 


Erodoto è senza dubbio il più famoso, colui al quale si fa sempre riferimento e che viene definito “padre della storia”. Egli soggiornò in Egitto per alcuni mesi verso il 430 ac presso i sacerdoti di Menfi. Quindi si recò ad Eliopoli e di lì a Tebe per controllare ed avere conferma delle affermazioni dei sacerdoti di Menfi.
In campo medico e paramedico, egli ci ha fornito informazioni sulle diverse tecniche di imbalsamazione, riguardo all’organizzazione del personale “sanitario”, l’importanza della specializzazione, l’impiego dei farmaci emetici, dei clisteri, ecc.
Interessanti sono anche le informazioni di circoncisione e escissione che ci giungono da Strabone, nato intorno al 58 ac.


2) L’Antico Testamento 

Erman e Ranke esortano a diffidare delle informazioni dell’Antico Testamento, che, come essi affermano “sono leggende redatte in epoca molto posteriore rispetto agi avvenimenti e sono state spesso rimaneggiate”.
Ciononostante, per quanto riguarda il campo medico, si sono potuti stabilire importanti collegamenti tra la medicina biblica e quella egizia.


3) I documenti medici scritti durante il periodo faraonico (papiri e “ostraca”) 

a) I Papiri medici 

Essi sono rari di diverso valore: alcune prescrizioni risultano comuni a più papiri; nessuno è completo; un considerevole numero di termini tecnici, riguardanti la sintomatologia e la farmacopea restano tuttora, così riferisca Leca, da interpretare.
Da sempre, comunque, gli Egizi, hanno attribuito alla documentazione scritta la massima importanza.
I libri medici erano stati donati agli uomini da Thot, il dio della saggezza.
Nel primo incantesimo del papiro Ebers, leggiamo:

Sono uscito da Eliopoli con i grandi dei templi, … possiedo formule preparate dal Signore Universale per eliminare il dolore causato da un dio o da una dea, da un defunto o da una defunta, …

Thot era il protettore degli scribi, essendo lui stesso medico e mago degli dei, in particolare di Horo, che aveva guarito dalla puntura di uno scorpione. I Greci, in epoche successive, lo equipararono al dio Ermes, chiamando ermetici quei testi che Thot aveva donato agli uomini.
Clemente di Alessandria (Stromates, VI, 37, 3) affermava che, di questi volumi, sei riguardavano la medicina, in particolare il quinto le malattie degli occhi e il sesto argomenti di ginecologia.
Galeno (De compos. Medicam., V, 2) afferma che i medici greci consultavano questi testi medici, custoditi nella biblioteca del tempio di Imhotep a Menfi, ancora in epoca di poco precedente la sua.
Il primo riferimento ad un papiro medico è inciso su quattro blocchi situati all’ingresso della tomba di Uash-Ptah, visir del re Neferirkare. Questo documento risale all’epoca del V dinastia, circa 2.500 anni ac.


Il papiro Ebers 

Esso è il primo papiro medico conosciuto. George Ebers (1837-1898), egittologo tedesco, comprò nel 1873 questo papiro da un egiziano, il quale dichiarava di averlo trovato nel 1862 a Tebe, infilato tra le gambe di una mummia. Il papiro venne subito depositato presso l’Università di Lipsia, dove tuttora si trova.
Il papiro di Ebers si tratta del documento medico più ampio pervenutoci dall’antico Egitto ed in ottimo stato di conservazione. Esso è lungo 20 metri circa e largo 30 cm. Conta 108 pagine anche se la numerazione arriva a 110 attraverso un salto nel conteggio delle pagine (gli egizi consideravano 110 il limite della felice longevità). Ognuna delle 108 colonne è costituita da 20-22 righe ed il testo è scritto in una grafia fitta che consta di 877 paragrafi.
Questo papiro è datato intorno alla XVIII Dinastia (1550 ac circa). Si tratta tuttavia di una raccolta trascritta da testi più antichi. Vi si trovano infatti costrutti e forme grammaticali in disuso, ed inoltre in più parti, con l’inchiostro rosso, compare il termine “gem-sen” (che vuole dire andato perduto) il quale prova che si tratta di una copia.
Il papiro Ebers costituisce una specie di enciclopedia medica, nella quale l’autore ha inserito brevi frammenti di opere più antiche, talvolta senza rispettare alcun ordine preciso, e dove ha collocato alcune ricette personali. In alcuni casi, i passaggi più significativi vengono presentati da un vero e proprio capitolo di introduzione cui viene dato il nome di trattati.
Ad esempio, quello che viene definito “Grande trattato del cuore e dei vasi sanguigni” esordisce così:

Principio del segreto del medico: conoscenza del battito cardiaco e conoscenza del cuore.


Parimenti esiste un trattato sulle malattie dello stomaco ed un trattato di ginecologia.
Ebbel ha tentato di riordinare questa massa di documentazione, raccogliendola in nove gruppi: 1) Invocazione agli dèi e formule da recitarsi nel momento in cui si presta la cura ad un malato; 2) malattie interne e loro trattamento; 3) prescrizioni per le malattie agli occhi; 4) prescrizioni per le malattie alla pelle; 5) prescrizioni per le malattie agli arti; 6) prescrizioni varie; 7) malattie delle donne e loro trattamento con annessi argomenti sull’igiene domestica; 8) due trattati sul cuore e suo vasi sanguigni; affezioni chirurgiche e loro trattamento.
Sigerist ritiene che, accanto al trattato sul cuore e sui vasi sanguigni, ed a quello sullo stomaco, la parte essenziale del papiro sia costituita da una raccolta di ricette per il trattamento di numerose affezioni mediche.
L’aspetto clinico è trattato molto superficialmente, ma si deve tenere presente che il papiro è in qualche modo identificabile ad un moderno trattato di terapia farmacologica.


Il papiro Edwin Smith 

Mentre il papiro Ebers è un trattato di patologia medica e soprattutto un ricettario, il papiro Smith è un trattato di patologia chirurgica.
Probabilmente fu rinvenuto nello stesso periodo del papiro Ebers, in una tomba tebana, forse la stessa. Giovane egittologo americano, Smith, acquistò nel 1862 un lungo rotolo manoscritto, che conservò gelosamente fino alla sua morte senza tradurlo né pubblicarlo. Dopo la sua morte, nel 1906, la figlia lo affidò alla New York Historical Society, che incaricò H Breasted di tradurlo. Fu necessario attendere il 1930 perchè il papiro venisse pubblicato in due volumi: il primo contenente il testo, il secondo la traduzione in inglese.
Il papiro Smith è lungo circa 4 metri e mezzo, largo circa 30 cm. È composto da 21 colonne e mezza.
Gli autori concordano nel far risalire il papiro all’inizio della XVIII dinastia (1600 ac circa). Basandosi su dati paleografici, Breasted ritiene che sia un po’ più antico del papiro Ebers. In ogni caso ci si trova ancora in presenza di una copia di testi anteriori come testimoniano gli arcaismi nei termini e nelle strutture grammaticali. Il testo iniziale potrebbe risalire all’epoca delle piramidi.
Il recto, invece, costituisce un vero e proprio libro dei traumi, comprendente l’esposizione di 48 casi. Questi casi illustrano la diagnosi, la prognosi, il trattamento delle ferite delle parti molli e delle lesioni osteoarticolari, suddivisi secondo una precisa logica: dal caso 1 al caso 27, cranio e faccia; dal caso 28 al caso 33, gola e vertebre cervicali; i casi 34 e 35 riguardano le clavicole; i casi 36-38 le lesioni dell’omero; i casi dal 39 al 46 trattano le lesioni del torace (sterno e coste); il caso 47 le spalle ed il caso 48, incompleto, la colonna vertebrale.
Il Leca definisce il documento come più razionale e del papiro Ebers. In quest’ultimo, le formule incantatorie magiche si fondano talvolta con diagnosi e prescrizioni, mentre nel papiro Smith non vi è che un solo riferimento alla magia, in un caso, peraltro, disperato.
Sigerist ritiene che la ragione per la quale vi sono più incantesimi nel papiro Ebers rispetto al papiro Smith, sia dovuta alla natura medica del primo e chirurgica del secondo. Non è possibile, dice, ridurre una frattura, attraverso formule orali, mentre con le parole si possono guarire numerose malattie.
Notevole, è secondo il Leca, la descrizione del caso 3 del papiro Smith: esso riguarda una ferita aperta che penetra l’osso e perfora [la scatola cranica]. La descrizione dell’esame obiettivo:

… Se tu esamini un uomo con una ferita aperta nella testa, che penetra fino all’osso e che perfora il cranio: devi allora palpare la sua ferita. Noterai la sua incapacità a guardarsi le spalle ed il petto essendo il suo collo dolorante e rigido.

Segue poi la diagnosi che spesso ripete le parole del titolo introdotte per lo più da questa frase:

Dirai a questo proposito: questo individuo ha …” … “Tu dirai a questo proposito, si tratta di un individuo che presenta una ferita aperta nella testa, che penetra fino all’osso [e] che perfora il cranio e che soffre di rigidità al collo”.

Dopo, segue il verdetto, che equivale alla nostra prognosi:

E’ un male che tratterò”.

Infine viene descritto il trattamento:

Ora, dopo aver suturato con un punto, devi applicare [carne] fresca sulla ferita per il primo giorno. Non devi fasciarlo. Fissalo al suo palo che lo trattenga fino a quando non sia trascorso tutto il tempo della sua lesione. Successivamente, ogni giorno, devi modificarlo con grasso, miele e garza.


Talvolta, al termine dell’esposizione, sono inserite una o più glosse a commento di alcune espressioni. Nello specifico, il caso 3 è corredato di quattro glosse, mentre nel caso 7, che prende in esame un tetano cefalico, se ne trovano dieci.
Interessante notare come il verdetto venga espresso in tre formulazioni: 

“una malattia che curerò”; “

una malattia con cui combatterò”; “

una malattia per cui non c’è nulla da fare”.

Le glosse del papiro Smith sono in totale 69. Sono molto più numerose del papiro di Ebers che ne contiene 27, raggruppate in due capitoli nel trattato sul cuore e sui vasi. La maggiorparte degli studiosi riconosce in queste glosse una specie di dizionario medico che spiega termini arcaici incomprensibili al lettore nel momento in cui il copista riportava i testi antichi.
Il verso del papiro Smith non merita particolari osservazioni. È costituito da 8 incantesimi contro una sorta di “peste”, una ricetta per la dismenorrea, due ricette cosmetologiche, una ricetta per “ridare giovinezza ad un uomo anziano”, ed un trattamento contro i dolori anali.


Il papiro Hearst 

Scoperto durante scavi clandestini a Deir-el-Ballas (Alto Egitto), nel 1899, fu acquistato da una spedizione californiana e quindi pubblicato da Reisner nel 1905. Esso è custodito presso l’Università della California.
In 18 pagine il papiro contiene 260 paragrafi per un totale di 273 righe. Delle 260 ricette che contiene, 96 si trovano anche nel papiro Ebers. Si tratta prevalentemente, dunque, di una raccolta di ricette e propone rimedi per curare l’intestino, il cuore, la vescica, il torace, i paterecci, gli ascessi dentali, le parassitosi intestinali, i morsi di coccodrillo e di altri animali feroci. Esso mostra, inoltre, indicazioni sulle tecniche di immobilizzazione degli arti fratturati. Il testo propone anche una serie di benedizioni da pronunciarsi sui recipienti nei quali si dovevano preparare le medicine.
Anche questo papiro dovrebbe risalire al periodo della XVIII dinastia.


Il grande papiro di Berlino n° 3038 o papiro Brugsch 

Fu acquistato a Saqqara dal triestino Giuseppe Passalacqua e pubblicato nel 1909 da Wrezinski. Misura 5,16 mt di lunghezza per 0,20 mt di larghezza, e conta 24 pagine di cui tre sono scritte sul verso da un’altra mano. In 270 righe si contano 204 paragrafi. Lo stile della scrittura è caratteristico della XIX dinastia.
Esso illustra farmaci contro i parassiti intestinali, le malattie del seno, la tosse, l’ematuria, i dolori degli arti inferiori. Accanto a formule contraccettive si trovano cure contro la sterilità e tecniche per determinare il sesso del nascituro. La parte conclusiva è dedicata a preparati atti alla terapia delle malattie dell’orecchio.
È riportato anche un trattato sui vasi, analogo a quello del papiro Ebers. Esso è anche firmato (dal capo dei medici più illustri, Netjerhotep).
Accanto al grande papiro 3038 esiste anche un piccolo papiro 3027: scritto nel 1450 ac circa, comprende una quindicina di pagine. Si tratta soprattutto di un papiro magico, contenente incantesimi per la protezione della madre e del bambino. È il più piccolo trattato di pediatria che si conosca, ma il suo valore medico in senso stretto è assai scarso.


Il papiro di Londra 

Se ne ignora l’appartenenza. Apparteneva alla Royal Institution di Londra da parecchi anni, e questa società scientifica ne fece dono, nel 1860, al British Museum, dove fu catalogato con il n. 10059. Fu sempre Wreszianski che lo tradusse contemporaneamente al papiro Hearst e che lo pubblicò nel 1912. Il papiro si presenta sotto forma di un rotolo di 2,1 mt di lunghezza per 0,175 mt di larghezza ed è in pessimo stato. E’ scritto sia in recto che in verso. Risalirebbe all’epoca del regno di Tutankhamon.
Esso contiene ricette e formule per curare le malattie degli occhi, le malattie ginecologiche e le ustioni.


Il papiro medico di Kahun 

Il grande egittologo inglese Petrie scoprì, nelle rovine di Kahun, numerosi papiri, di cui uno anche a carattere medico. Esso è i testo medico più antico che si conosca, in quanto risalirebbe al 2.000 ac circa. Tradotto nel 1898 da Griffith, è conservato al The University College di Londra.
Il papiro medico di Londra contiene due frammenti: uno, un po’ più lungo, di 48 colonne verticali, tratta dell’arte veterinaria; l’altro, di tre pagine, comprende 35 ricette per curare le malattie ginecologiche.


Il papiro Carlsberg n. VIII 

L’origine di questo documento non è nota. Si tratta di 3 frammenti di papiro che sono scritti durante la XIX o XX dinastia, anche se il testo originale potrebbe risalire alla XII dinastia. Il testo fu tradotto da Iversen nel 1939, ed è conservato presso l’Istituto Egittologico dell’Università di Copenaghen.
Il suo contenuto è costituito soprattutto da prescrizioni di carattere ginecologico e da pronostici sulle nascite. Viene considerato come un vero e proprio trattato di ginecologia e potrebbe essere l’ultima delle sei opere mediche di cui parla Clemente Alessandrino.


Il papiro Chester Beatty n. VI 

Di origine sconosciuta, proviene da una collezione privata ed è conservato al British Museum. Esso è un documento frammentario che inizia nel bel mezzo di un argomento e si interrompe durante la descrizione di una prescrizione. Il testo scritto sul recto è composto da 8 colonne di cui 14 righe ciascuna, perlomeno per quanto riguarda le colonne complete. I titoli sono scritti in colore rosso, le prescrizioni in colore nero.
Fu tradotto da Jonckheere nel 1947, e si tratta di un vero e proprio trattato di proctologia.


I papiri magici di Leida n. 1343 e 1345 

Si tratta, in realtà, di due frammenti di uno stesso papiro. La lingua è quella del Medio Egizio anche se il contenuto dovrebbe risalire all’Egizio Antico.
Questo papiro è una collezione di ricette fondamentalmente magiche.


Il papiro medico-magico del Museo di Budapest n. 51 1961 

Riporta testi magici molto simili a quello del papiro di Leida 1343. Si fa riferimento soprattutto ai dolori alla testa e si ritrovano dati sui dèmoni che causano malattie.


I papiri Ramesseum n. III, IV e V 

Nel 1896, Quibell scoprì, in una tomba del Medio Impero, non lontano dal Ramesseum, cinque papiri, tre dei quali risultarono trattare argomenti di medicina.
Il papiro n. III contiene sul recto un trattato sulle malattie degli occhi ed un trattato di pediatria. Sul verso contiene argomenti di agricoltura.
Il papiro IV prende in considerazione soprattutto malattie delle donne e dei bambini.
Il papiro V, quello meglio conservato, misura 1 mt di lunghezza per 0,13 mt di larghezza. I titoli sono scritti con l’inchiostro rosso.
Esso contiene solo prescrizioni mediche, e tratta esclusivamente dei “metu”, cioè tendini, legamenti, muscoli ed in qualche caso nervi.
Alcuni paragrafi coincidono perfettamente con altri del papiro Ebers.


Il papiro di Berlino n. 13602 

Risale alla fine del I secolo ac ed è scritto in demotico. Nessua delle ricette che vi sono riportate risulta completa. Le prescrizioni sono tutte destinate alla prevenzione della gravidanza.


b) Gli ostraca medici 

Essi sono poco numerosi. Furono studiati soprattutto da Jonckheere. La loro funzione non è chiara. Jonckheere suppone che possano trattarsi di ricette che i medici avevano cura di annotarsi, traendole dai manoscritti originali, nelle biblioteche delle “Case della vita” per migliorare la propria farmacopea.

Ostracon del Cairo n. 1091 
Si tratta di una scheggia di calcare di 6,5 cm di altezza e della lunghezza di 13 cm. Risale all’epoca ramesseide e contiene una prescrizione a base di foglie di acacia.

Ostracon di Londra n. 297 
Trovato nella zona di Amarna, è formato da una sola riga: “Ungere il paziente con grasso di bue”.

Ostracon del Louvre n. 3255 
Esso è costituito da un coccio di vasellame lungo circa 8,5 cm e largo 13 cm. Contiene tre ricette tra cui la seguente: “un’altra fumigazione simile a questa: escremento di coccodrillo, uova di rana: fumigare [con tali ingredienti] le orecchie”.

Ostracon di Berlino n. P 5570 
Esso è il più recente e risale all’epoca romana. Contiene soprattutto ricette per la preparazione di unguenti.


4) I documenti non medici scritti e figurati 

Esistono lettere, tavolette, steli, ostraca ed altri reperti, di carattere non direttamente medico, ma che attestano l’attenzione degli Egizi per la cura e l’igiene del corpo e ci mostrano il loro atteggiamento verso le malattia e la morte. Le immagini provenienti dalle sculture e dai dipinti ci mostrano persone più o meno obese, affette da cecità, nanismo, ecc.


5) I reperti ossei e le mummie 

L’esame dei reperti ossei e delle mummie, le tecniche di studio delle paleopatologia, oggi anche attraverso tecniche di diagnostica per immagini, ci permettono di conoscere sempre meglio le patologie di cui potevano essere affette le popolazioni di quel luogo e quell’epoca.
Già pochi anni dopo la scoperta dei raggi X, nel 1898 sir Flinders Petrie eseguì, con tante difficoltà, le prime radiografie sui piedi e gambe di mummie. La radiografia ha permesso di scoprire anche false mummie fabbricate in epoche recenti.
Anche l’istologia viene utilizzata per studiare i tessuti delle persone mummificate. Sandison riuscì ad inventare tecniche tali da permettere di ottenere eccellenti preparazioni istologiche.
Nel 1939, poi, Boyd, ha avuto l’idea di studiare i gruppi sanguigni nella mummie.


La Medicina Magica e Religiosa 

Nella Medicina Magica o Religiosa, la figura intermediaria tra la malattia e il malato è costituita dal mago o il sacerdote. Il mago-sacerdote-medico possiede il linguaggio esoterico, noto solo a sé e pochi adepti del culto che lo rende anche possessore della forza divina e degli elementi cosmici che sono in grado di controllare lo stato di salute delle persone. Egli può essere sia un custode del tempio che delle forze cosmiche arcane, ma si pone, come in ogni forma di medicina, tra la malattia e il paziente cercando di aiutare a guarire il malato. Egli è anche intercessore tra debolezze (della carne e delle passioni umane) e le forze cosmico-divine, sempre eccellenti anche quando sono irate contro l’essere umano (o gli esseri umani).
Il linguaggio è quello di malattia come un’alterazione dell’equilibrio che protegge la salute del paziente. L’alterazione di questo equilibrio può essere legato a diverse interpretazioni: alterazioni legate alla volontà di un essere divino o di forze cosmiche che inducono lo stato di malattia. Il medico-mago agisce di conseguenza: cercando di imbonire la deità incattivita con riti sacrali o preghiere, oppure, agendo, tramite amuleti, pozioni, incantesimi, riti, formule magiche, ecc. (ma anche tramite prodotti naturali attivi, la cui azione “farmacologica” può essere empiricamente nota, seppure per conoscenza esoterica). Naturalmente, la funzione di queste “medicine” può essere anche preventiva, cercando di evitare l’insorgenza dei mali, oltre che curativa.


Formule Magiche: 

Le formule magiche dovevano essere pronunciate secondo un ritualità ben precisa di cui il mago-sacerdote si faceva garante della validità. Nella medicina magica egizia abbiamo ingiunzioni e proibizioni rivolte alla stessa malattia o ad un suo sintomo, come, per esempio nel famoso incantesimo contro la coriza:

Scompari, nella terra o piaga! Scompari nella terra! 

(per quattro volte)” (papiro Ebers, 90, 15 – 90, 1)


E’ possibile anche sviare uno spirito o il sintomo di una malattia facendoli intravedere luoghi dove potrebbero recarsi: 

“Pus, fratello del sangue, amico degli essudati, padre delle tumefazioni, sciacallo dell’Alto Egitto! Vieni, possa tu coricarti quando vorrai, qui dove sono le tue belle donne che si profumano i capelli con mirra e le spalle con fresco incenso! Scompari tumefazione e sgonfiati!

(papiro di Berlino 2, 10 -3, 6)


Le formule magiche possono far ricorso anche a suggerimenti, allusioni mitologiche, ad una mitologia tramandata al di fuori della religione ufficiale, ad identificazioni con la divinità (Esempio: “Sparisci veleno, va, esci! È Horo che te lo impone! Egli ti allontanerà, …” tavola di Metternich), ed anche formule incomprensibili (Esempio: “Rakarabuna … raka … Rakarabuna”. Papiro di Londra).
I riti: i diversi modi di pronunciare le formule, la designazione della persona indicata a dirigere i ritmi, gli obblighi di tempo, luogo, i gesti che accompagnano il frasario, rappresentano il rito e sono indicate nelle stesse formule.
Il recitante può essere lo stesso malato (Esempio: “Esci o morte dal mio corpo, esci dalle mie membra”. Hea. 7, 4 – 7, 6), un parente del malato o il medico-mago.
Talvolta la formula indica il luogo e le ore della giornata in cui si deve pronunciare l’incantesimo o dei numeri magici cui fare affidamento (Esempio: “Questa formula deve essere pronunciata … su due mattoni sui quali [è seduta la donna che partorisce]”. papiro di Berlino; oppure “Formula da recitarsi sul bambino, di buon’ora”. Papiro di Berlino). 
Gli oggetti magici: Gli oggetti magici, atti a richiamare la forza positiva del dio o del cosmo per proteggere o ripristinare lo stato di salute, possono essere di diverso genere. Essi sono amuleti difensivi o anche rimedi repellenti costituiti da escrementi animali che servono a far fuggire gli spiriti maligni provocando in loro una sorta di ripugnanza verso la persona affetta, con conseguente fuga dal paziente e guarigione dello stato clinico.
Gli amuleti sono innumerevoli e di diverso genere: geroglifici in ceramica smaltata, lo scarabeo, il nodo di Iside, ecc.
I rimedi repellenti potevano essere prescritti per applicazioni locali, instillazioni, inalazioni o per ingestione, e sono costituiti da escrementi di asino, coccodrillo, gazzella, ippopotamo, lucertola, pellicano, altri animali e persino dell’uomo.
Le statue guaritrici non furono per nulla trascurate dalla magia egizia. Sono tutte destinate a guarire i morsi di serpente e le punture di scorpione contro i quali la farmacopea appariva impotente.
Esistono due tipi di statuette: una si tratta di una stele raffigurante un dio, Bes o Horo, in piedi su due coccodrilli; l’altra si tratta di una figura umana che ha davanti a sé la stessa stele. Era sufficiente, secondo la pratica magica, versare acqua sulla stele di Horo o sula statua guaritrice perchè essa si impregnasse delle magiche virtù della formula. Versata sul ferito o ingerita dallo stesso, era in grado di guarire i morsi degli animali velenosi. Una statua che si trova al Louvre reca tale iscrizione: “Possano il cuore ed il petto di quell’uomo che beve quest’acqua, irrobustirsi, grazie alle protezioni magiche che gli sono conferite. Il veleno non entri nel suo cuore …”


Gli Dèi: 

La dea Iside, una delle grandi divinità dell’Egitto, originata dal Delta, sembra far risalire la origine da una dea del cielo. Introdotta nel mito di Osiride, perse alcune caratteristiche, essendo invocata dai pazienti soprattutto come madre di Horo. Diodoro la riteneva dea della salute, inventrice dei farmaci.
Horo: figlio di Iside e Osiride, viene rappresentato il più delle volte con la testa di un falco. Dio solare, originario del Delta, era in contrasto con suo fratello Seth, originario dell’Alto Egitto, uccisore del loro padre Osiride. Egli viene evocato in molte formule magiche, in particolare in caso di morsi di animali.
Hathor: viene rappresentato con l’aspetto di una mucca o di una figura femminile avente corna e orecchie di mucca. Fra i suoi numerosi attributi, spicca quello di dea dell’amore e questo è il motivo per cui i Greci la paragonarono ad Afrodite. Essa era dunque protettrice delle donne. Hator fu adorata particolarmente nell’Alto Egitto.
Thot: era rappresentato solitamente con un uomo con la testa di ibis, talvolta come un babbuino pensante vigilante su uno scriba in atto di scrivere. Era il dio della saggezza e della scrittura, essendo lui stesso medico e mago degli dei.
Sekmet: la dea è sempre raffigurata con la testa di una leonessa. I rapporti di Sekmet con la medicina sono a prima vista incomprensibili, dal momento che era considerata una divinità feroce e sanguinaria. In realtà Maspero afferma che i suoi sacerdoti che la conoscevano bene erano in grado di calmarla ed invitarla ad allontanare le malattie.
Oltre queste divinità principali vi erano una serie di divinità secondarie che, in epoche differenti, vennero adorate per proprietà taumaturgiche, come Bes, divinità con l’aspetto naniforme, genio protettore delle partorienti e nutrici; come Thueris, divinità con le sembianze di ippopotamo, considerata anch’essa dea della fecondità; come Khnum, divinità con la testa di ariete, dio “modellatore” dei nascituri; come Hekbet, dea con la testa di rana, protettrice delle gestanti; come Meret-Seger o Miritskro, divinità della montagna, protettrice di coloro che venivano morsi dai serpenti, ed altre divinità, anche straniere, che entrarono man mano nel Pantheon egizio.
Tra costoro ricordiamo Amenothep e, soprattutto, Imhotep.
Imhotep: Quello di Imhotep fu senza dubbio un destino straordinario, che lo vide elevato dalla posizione di uomo comune al rango di dio. Conosciamo la sua storia grazie ai lavori di Kurt Sethe e di Hurry, essendo in possesso di documenti che riguardano la sua storia postuma.
Della sua vita sappiamo che nacque ad Ankhtue, sobborgo di Menfi intorno al 2.800 ac sotto la III dinastia. La madre, Keredu-Ankh, proveniva da Mendes, mentre il padre, Kanofer era architetto. Il giovane Imhotep, secondo la prassi egizia in cui le attività e professionalità si trasmettevano nella maniera familistica della società chiusa, seguendo la tradizione familiare, fu iniziato all’architettura. A lui è attribuito il complesso funerario di Saqqara comprendente la piramide a gradoni di Djeser. Imhotep si dedicò con successo a molte altre attività in diversi campi arrivando ad ottenere i seguenti titoli: architetto, sacerdote-lettore-capo o ritualista, saggio e scriba, astrologo, mago e, soprattutto, visir. E, in virtù, di quest’ultima carica, egli riuscì a porre fine, secondo la leggenda, ad una carestia durata 7 anni. La sua ascensione deve essere attribuita a fatti che non conosciamo. Nel “Canto dell’Arpista”, poema del medio impero, egli viene semplicemente ricordato come sapiente.
Secondo il papiro Oxyrynchus, risalente all’epoca greca, il re Micerino (IV Dinastia) avrebbe instaurato il culto di Imhotep, ma è solo durante il periodo Saita (XXVI Dinastia) che compaiono statuette raffiguranti Imhotep come un semidio.
Imhotep godette di particolare venerazione ad Menfi dove fu ritenuto figlio di Ptah ed assieme a questi ed a Sekmet, costituì la grande triade divina di Menfi.
I Greci lo identificarono con Asclepio (Esculapio).
Amenhotep, figlio di Hapu: anche egli è un mortale divinizzato. Come Imhotep, lavorava in qualità di architetto presso un faraone, Amenofi III, cui costruì un grande tempio funerario. Dopo la morte fu elevato al rango di divinità intercessore presso Amon.


Luoghi di culto-terapia: 

Le cure di carattere più strettamente religioso trovarono applicazione nei cosiddetti “Sanatoria”. Questi sanatoria costituivano una parte del tempio, frequentata da malati che venivano ad implorare la guarigione per la loro infermità.
Durante l’epoca tolemaica, la terrazza superiore del tempio di Hatshepsut, a Deir el Bahari, venne consacrata ad Imhenotep ed a Amenhotep. Sulla parete a sud ed a nord, Tolomeo VII Ervegete II, ricavò dalla roccia, una terza cappella le cui pareti vennero decorate con le scene che lo riguardano. Il colonnato doveva servire come spazio riservato al passaggio dove gli infermi attendevano la guarigione miracolosa. Antistanti il tempio centrale, dentro dei “magazzini”, erano presenti un impianto per la balneazione ed alcune stanze. In esso vi erano vasche di pietra diverse tra loro: la prima può contenere l’intero corpo, la seconda è un semicupio in cui ci si immerge parzialmente stando seduti, la terza è riservate alle sole gambe, mentre la quarta è adibita a pediluvi. L’acqua, prima di arrivare a queste vasche, passava, molto probabilmente all’interno di statue guaritrici, riferentesi alla guarigione di Horo e del corpo di Osiride, acquisendo in questo modo la virtù medico-sacrale.


Il corpo sanitario 

Jonckheere ha descritto in tutti i suoi aspetti il corpo sanitario dell’Egitto antico, che comprendeva sia i medici generici che gli specialisti, sia i medici del popolo che quelli reali.
Omero diceva dell’Egitto: “Terra fertile che produce droghe in abbondanza; alcune sono medicine, altre veleni; è il paese dei medici più sapienti della terra.”
Erodoto scriveva: “La medicina in Egitto è così ripartita: ogni medico si occupa di una e una sola malattia. … esiste un’infinità di medici, gli uni curano gli occhi, gli altri la testa, altri ancora i denti, altri l’addome, altri le malattie ad incerta localizzazione.”


Il medico 

La parola medico si pronuncia “sunu”: questo geroglifico raffigura il più delle volte una freccia (“sun”) sovrastante un vaso rotondo (“nu”) seguito dal determinativo dell’uomo seduto. Il termine sunu potrebbe derivare dal verbo “sun” che significa “essere malati, soffrire”, e quindi significare al sua volta “colui che appartiene a colui che è malato”.
I nomi degli specialisti ci sono noti, per la maggiorparte, dall’iscrizione posta sul luogo della sepoltura, mentre quello di “sunu” privi di specializzazione ci sono pervenuti solo grazie alla segnalazione dei loro nomi nelle tombe appartenenti a personaggi di riguardo, o nelle liste dei portatori di offerte.
Non si conoscono medici militari; tuttavia alcune comunità erano provviste di un’organizzazione sanitaria. Anche nelle miniere e nelle cave esisteva un’organizzazione medica.
La preparazione dei medici, come per le altre professioni, avveniva di padre in figlio. Afferma Diodoro Siculo:

I figli del popolo ricevono l’educazione dai padri o genitori, i quali trasmettono al figlio il mestiere che ciascuno deve svolgere nella vita”.

In realtà non era completamente così. Per quanto riguarda l’alta nobiltà, i sovrani affidano i principi e le principesse di sangue reale ad alcuni precettori. Il passo successivo si compie quando numerosi allievi vengono raggruppati sotto la direzione di un precettore. Anche le amministrazioni possedevano centri educativi, accanto ai templi, le Case della Vita, in cui anche il futuro medico poteva apprendere la sua professione. Gardiner, più che vere e proprie scuole della medicina, le riteneva sorte di biblioteche dove instancabili scribi, uomini di lettere e sapienti, ricopiavano gli antichi testi. Per quanto riguarda la retribuzione, Diodoro Siculo, affermava che

nel corso di viaggi e di spedizioni militari, ognuno riceveva assistenza medica gratuita poiché i medici erano pagati dalla società”.

Grapow ritiene che tale testimonianza, valida per la Bassa Epoca, non può essere estesa ad epoche più remote. Altri documenti ci informano che il medico riceveva una retribuzione in natura. Alcuni medici altolocati godevano di una condizione invidiabile. Il celebre Neb-Amon aveva fatto riprodurre sulla sulla sua tomba l’episodio della visita di un principe siriano accompagnato dalla moglie. Come ringraziamento per le cure ricevute, quest’ultimo portò in dono metalli preziosi, donne, schiave, bestiame, onorari veramente principeschi, degni di essere trasmesse ai posteri. Jonckheere ha scoperto che alcuni medici possedevano immobili e proprietà terriere. I medici di palazzo, oltre alla ordinaria prebenda, potevano ricevere dal re una ubicazione per la sepoltura con arredi o una stele. La ricompensa più ambita restava, comunque, il dono dell’oro.
L’oculista:
è chiamato “sunu-irty”, vale a dire medico dei due occhi.
Medico dell’addome:
il titolo “suu khet” potrebbe essere riferito al ginecologo dal momento che il termine “khet”, nel linguaggio popolare, significava utero.
Il custode dell’ano:
con questa curiosa espressione si era soliti indicare, non il moderno proctologo, ma una persona il cui compito era quello di introdurre, per via rettale, differenti medicamenti. Diodoro Siculo riferisce che

per prevenire le malattie, gli Egizi sottoponevano il corpo ad alcuni tipi di clisteri”.

Il guardiano dell’ano potrebbe essere considerato come un semplice assistente del medico, colui che preparava i clisteri.
Il medico delle malattie occulte:
si trattava di quei medici che Erodoto qualifica come i medici delle malattie ad incerta localizzazione. Il medico Khuy si definisce come “colui che conosce gli organi del corpo umano, celati alla vista dell’uomo”. Ed un altro medico, Iry, si definisce a sua volta “colui che conosce i liquidi disciolti negli umori”.
Il dentista:
esistevano dentisti che erano anche medici e che potrebbero essere paragonati ai moderni stomatologi. Altri erano esclusivamente medici.


La gerarchia medica:

Al di sopra del sunu, che occupava la posizione meno invidiabile, stavo lo “Ur sunu”, la cui traduzione potrebbe essere Grande Medico. Segue poi il “Sehedj sunu” ovvero l’ispettore medico. Infine, sul sarcofago di Neferi è possibile leggere il titolo, più onorifico che ufficiale, “Sunu-u-Semesu”, decano dei medici. 
Il medico “Per aa”, che significa Grande Casa (Palazzo), aggiunto a “sunu”, conferisce la qualifica di medico reale.
I medici di Palazzo erano incaricati di curare il re e tutta la famiglia, la moglie, le concubine, i figli. Ma la loro attività non si fermava qui, visto che nel palazzo vivevano un gran numero di dignitari, di principi, con le loro rispettive famiglie, di sacerdoti, un numeroso stuolo di personale civile e militare ed una grande quantità di servitori. I medici reali godevano di ottima reputazione tanto che anche gli stranieri non esitavano a mettersi in viaggio per venire a consultarli. Talvolta era il medico stesso a spostarsi, inviato dal Faraone, a consulto presso una corte straniera. Le tavolette babilonesi degli archivi di El Armana e di Boghaz Koy testimoniano tali spostamenti.


Il farmacista:
Non è nota l’epoca in cui si iniziarono a produrre i primi farmaci, e se la mansione della preparazione spettasse ai medici o al clero.
Nei templi tolemaici esiste una stanza le cui pareti riportano incisioni di ricette preparate da tre persone: “colui che cuoce”, “l’uomo dell’unguento” e “colui che sta nel laboratorio”. Talvolta queste ricette riguardano unicamente preparati destinati al culto e le esigue dimensioni della stanza non rispecchiano l’ideale di un laboratorio farmaceutico.
Appare ragionevole attribuire al medico anche il ruolo di farmacista. Fra le tante ricette del papiro Ebers, una prima parte concerne la diagnosi, la seconda il trattamento e la preparazione del farmaco; la formulazione terapeutica è specificatamente rivolta al medico, introdotta dall’espressione “Preparerai”.


Anatomia e Fisiologia 

Il numero dei cadaveri che, nel corso dei millenni, furono aperti per le pratiche di imbalsamazione non sembra avere invogliato i medici ad approfondire le loro conoscenze di anatomia. È certo che i medici non prendevano parte al rito della mummificazione. Questa operazione era destinata a paraschisti e imbalsamatori, corporazione disprezzata pur facente parte della classe sacerdotale.
Diodoro Siculo descrive l’inizio del processo di imbalsamazione:

Il paraschista, munito di una pietra di Etiopia [un pezzo di salice tagliente] pratica un’incisione di determinata grandezza. Quindi fugge frettolosamente inseguito dagli assistenti, che lanciano pietre verso di lui profferendo ingiurie per attirare la vendetta per il crimine; gli Egizi, infatti, aborriscono chiunque violi il corpo di un loro simile o provochi ferite o eserciti altro tipo di violenza.

Se prendiamo per completamente vero il racconto di Diodoro Siculo, i paraschisti venivano ritenuti al momento colpevoli di sacrilegio o contaminati dallo spirito malefico che aveva generato la morte, come in una sorta di rappresentazione teatrale.
In effetti, il racconto di Diodoro Siculo non trova conferma in nessun altro documento né scritto né dipinto. Anche la distinzione tra paraschista, incaricato della prima incisione e l’imbalsamatore addetto all’estrazione dei visceri appare alquanto artificiosa agli occhi di Revillout, il quale individua un unico incarico: quello del paraschista-taricheuta, o più semplicemente imbalsamatore. Quest’uomo sapeva riconoscere gli organi che estraeva, dava loro un nome, che non era necessariamente lo stesso adottato dai medici, tanto è vero che ogni corporazione possedeva un proprio linguaggio tecnico.


MUMMIFICAZIONE:

Il processo di preparazione della mummia durava settanta giorni e comprendeva diversi rituali di purificazione e conservazione del corpo per il suo viaggio finale nell’aldilà. Dopo la dichiarazione di morte aveva inizio un meticoloso rituale di mummificazione del cadavere che durava settanta giorni ed era diviso in due fasi ben differenziate: la preparazione del corpo e il successivo bendaggio. Il suo svolgimento era un segreto che non poteva essere profanato e furono due autori greci, Erodoto e Diodoro Siculo, a trasmettere ciò che sappiamo sulle tecniche della mummificazione.
Tutte le operazioni erano supervisionate dall’imbalsamatore divino, Anubi, rappresentato dal sommo Sacerdote dei Misteri. In realtà esistevano tre tipi di imbalsamazione visto che non tutti gli egizi si potevano permettere un processo di mummificazione così elaborato. Solo i ricchi preparavano il loro corpo con tanta cura. I più poveri dovevano accontentarsi di una pulizia abrasiva delle viscere e di un bagno di natron (sale naturale utilizzato per disidratare il corpo). Il processo “medio” consisteva nell’iniettare olio di cedro nell’addome, mentre si disidratava il corpo col natron. Quando l’olio fuoriusciva portava con se gli organi interni decomposti. Una volta disidratato il corpo, si bendava il cadavere. Indipendentemente dal processo di imbalsamazione prima di avvolgere il corpo nelle bende bisognava proteggerlo con formule magiche e amuleti (che fossero oggetti reali o rappresentati con immagini) che garantissero la sua magica conservazione. 
Quando una persona moriva, i familiari portavano il cadavere alla tenda della Purificazione (ibu), dove il corpo veniva bagnato con acqua fresca, mentre un officiante recitava preghiere rivitalizzanti; in questo modo cominciava il processo di mummificazione.
Prima di tutto si doveva conservare il corpo affinchè non si rovinasse. Per questo si estraeva attraverso gli orifizi nasali la maggiore quantità possibile di massa encefalica. Poi, con un coltello di pietra di Etiopia, si praticava sul corpo un’incisione attraverso la quale si estraevano le viscere. Queste venivano imbalsamate separatamente e conservate per sempre nei quattro vasi canopi.
Il cadavere veniva pulito con vino di palma e spezie, poi riempito con mirra, cassia, natron ed essenze aromatiche. Era quindi lasciato ricoperto di natron per 36 giorni per disidratarlo. In seguito i sacerdoti lo lavavano, lo ritoccavano per dargli un aspetto migliore, chiudevano la ferita dell’eviscerazione con una placca di cera o d’oro, tamponavano gli orifizi con lino e resina e coprivano le dita con ditali decorati.
Il corpo veniva spostato nella sala della Rigenerazione (nefer), dove si bendavano le membra separatamente e poi tutto l’insieme del defunto inserendo amuleti di protezione fra le bende. A volte nella zona del cuore veniva inserito uno scarabeo, simbolo di rinascita. A partire dal Nuovo Regno ebbe inizio l’usanza di posizionare il Libro dei Morti tra le gambe del morto, come guida per il viaggio nell’aldilà.
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Secondo gli Egizi esisteva un forte legame tra cuore e anima (“ib” e “haty”), ed il cuore non veniva estratto dal torace al momento dell’imbalsamazione: se, per errore, esso veniva asportato, lo si riponeva con cura “al suo posto”
Una prima nomenclatura dei termini anatomici ci proviene dai papiri Ebers, Smith e 3080 di Berlino. Un’altra nomenclatura ci proviene da una ventina di “Elenchi Anatomici” facenti parte di scritti religiosi o magici. Così sappiamo, per esempio, che la parola “sema” indica il polmone, che “shepetyet” significa vescica e che il cuore viene chiamato “ib” dai sacerdoti e dai maghi e “haty” dai medici.
Grapow ha dedicato all’anatomia ed alla fisiologia un trattato di 102 pagine. Lefebvre ha redatto un volume di 72 pagine sulle parti del corpo umano. Per quanto riguarda l’apparato scheletrico, l’osso viene detto “kes”. Il termine “medu” verrebbe tradotto con scheletro, mentre il suo plurale “metu” ha significato generico di tendini, legamenti, muscoli e nervi.
La pelle si indica con il vocabolo “inem” ed è determinata da un segno riproducente una ciocca di capelli.
La testa viene chiamata “tep”, ossia estremità, o talvolta “dada”. Il cranio, menzionato soprattutto nel papiro Smith, allorchè si occupa di ferite e fratture, viene definito “djenet”. Le ossa del cranio vengono indicate con il vocabolo “paket”, mentre le suture sono chiamate “tepau” e le fontanelle “deher”. Le meningi, note presso gli Egizi, portano il nome “netenet” ed il liquido cefalo-rachidiano è conosciuto con il nome “nekh”, riportato in una glossa del papiro chirurgico Smith.
Il noto incantesimo contro la coriza (Ebers, 90, 15 – 91, 1), riporta: “Altro incantesimo contro la coriza: vattene coriza, figlio di coriza! Tu che spezzi le ossa, che fracassi il cranio, che penetri nel cervello, che rendi malate le 7 aperture della testa, schiave di Re, che lodano Thot …”. I sette fori della testa sono uno nella bocca, “er”, due nell’occhio, “iret”, due nel naso, “fenedj”, e due nell’orecchio, “mesedjer”.
La parte anteriore del collo, “kham”, viene opposto alla nuca, “nehebet”. La vertebra cervicale viene detta “tes en nehebet”, il cui significato equivale a nodo nella parte posteriore del collo.
Lo sterno si chiama “kabet”, mentre il seno “menedj” e il capezzolo “ten en menedjui”, che significa estremità dei seni. Il termine usato per le coste è “seper”. Un vocabolo assai particolare è “netenet”, seguito dal determinativo carne, che indica il diaframma. Questo organo era ben noto agli imbalsamatori. L’eviscerazione avveniva unicamente attraverso l’incisione del fianco sinistro e, per poter raggiungere i polmoni era necessario superare la barriera del diaframma. Il termine “netenet”, già trovato per indicare le meningi, poteva indicare un tessuto solido di consistenza dura.
L’addome, “khet”, contiene l’epigastrio, “uepet net khet”, e l’ipogastrio, “khery khet”. L’ombelico, “khepa” porta lo stesso nome del cordone ombelicale. Il fegato viene indicato con il vocabolo “miset”, mentre la bile con il nome “ueded”. L’espressione figurata “ro-ib”, bocca del cuore, indica lo stomaco. A tale riguardo, Lefebvre riporta una curiosa affermazione, tratta da un’iscrizione risalente alla XVIII Dinastia: “Il cuore (ib) è un dio il cui tempio è lo stomaco (ro-ib) il quale si rallegra quando le membra sono in festa”. I reni venivano indicati con il temine “geget”.
Gli Egizi facevano grande uso del segno fonetico dei genitali, senza pudori. Il pene, come segno fonetico ha valore di “met”, come funzione, lasciando fuoriuscire un getto di urina o sperma, si dice “bah”, e in qualità di organo anatomico, negli Elenchi, si dice “henen”, mentre nei testi medici “bah” o “kerenet” (questi soprattutto per il pene non circonciso). Gli organi genitali femminili assumono il nome fonetico di “kh”. La vagina è sovente menzionata nel papiro ginecologico Kahun con il termine “kat”.
Da testi tardivi, che apparvero dopo la seconda dominazione persiana sulle mura del tempio di Hibis, ed ancor maggiormente nel periodo greco-romano, apprendiamo che la formazione dello sperma avviene nel midollo osseo. Presso Edfu leggiamo: “Tu fecondi la donna attraverso il seme proveniente dalle ossa”.
L’insieme degli arti superiori è indicato con il termine “khepet” nei testi religiosi, mentre per la coscia viene usato il termine “menet”.


Il trattato sul cuore e sui vasi: 

Si tratta dell’unico trattato monografico di anatomia di cui disponiamo. Esso è contenuto nel papiro Ebers. Si potrebbe definire come un tentativo di spiegazione della natura libero da qualsivoglia influenza religiosa o magica; vi si nota lo spuntare degli albori del pensiero scientifico, il quale, seppure imperfetto, riflette un notevole sforzo di comprensione dell’anatomia e della fisiologia umana. Esso è composto al suo interno da due trattati.
PRIMO TRATTATO:
Nella parte prima dell’esposizione:

Inizio del segreto de medico: conoscenza del battito cardiaco e conoscenza del cuore. In esso sono presenti vasi [che raggiungono] tutte le membra. … egli sentirà il battito cardiaco, poiché i vasi di questo [raggiungono] tutte le membra; per questo motivo il cuore parla attraverso i vasi di ogni parte del corpo”.


Non vi è dubbio che gli Egizi avessero stabilito un rapporto tra i battiti del cuore, organo centrale, ed i polsi periferici, che essi sapevano percepire in diversi punti.
Il trattato colloca una certa distribuzione dei vasi:

All’interno delle tempie si trovano quattro vasi che portano il sangue agli occhi; da essi deriva ogni malattia degli occhi.”. “Nella testa sono collocati quattro vasi che confluiscono alla nuca; da questi dipendono il sonno, la calvizie, …


Quanto alla prima parte delle glosse:

Quanto all’aria che entra nel naso, essa penetra nel cuore e nei polmoni; questi la distribuiscono poi in tutto il corpo.
Riguardo alla causa della sordità, trattasi di due vasi che raggiungono la radice dell’occhio che sono responsabili di tale malattia. … tali vasi sarebbero inoltre la causa dell’emicrania, in quanto essa sottrae l’aria necessaria.

Quanto alla congestione del cuore, si tratta di saliva per cui si produce un indebolimento di tutte le membra.


Nella seconda parte dell’esposizione:

Quattro sono i vasi da ricordare, diretti alle due orecchie: due al di sopra della spalla destra e due della spalla sinistra. Il soffio di vita entra nell’orecchio destro, il soffio di morte entra invece nell’orecchio sinistro, secondo un’altra teoria ancora, esso [il soffio di vita] entra nella spalla destra, mentre il soffio di morte entra nella spalla sinistra.
Vi sono sei vasi diretti alle braccia, tre verso il braccio destro e tre verso il sinistro, che arrivano (anche) alle dita.” “Vi sono sei vasi diretti alle gambe, tre verso la gamba destra e tre verso la gamba sinistra, essi discendono fino alla pianta del piede.”

Trattasi forse dell’arteria omerale, cubitale e radiale da una parte e dell’arteria femorale, tibiale anteriore e tibiale posteriore dall’altra?


I vasi diretti ai testicoli sono due, in essi è contenuto lo sperma”.
Vi sono quattro vasi diretti al fegato: sono essi che portano l’aria e l’acqua. Da essi dunque traggono origine tutte le malattie del fegato, …

Secondo Ghaliongui, i visceri venivano esaminati quando estratti dal corpo, ed in tal caso si evidenziavano all’ilo epatico quattro condotti: la vena porta, le due arterie epatiche ed il coledoco.

Quattro sono i vasi al polmone: che vanno alla milza. Sono questi che la forniscono di aria e acqua.

Questo passo, a differenza di altri (vedi Testi delle Piramidi: “Salve anima che è nel suo sangue …”) sembrano mostrare che gli Egizi non considerassero il sangue come un elemento fondamentale per la vita, a differenza di aria ed acqua.

Vi sono due vasi diretti alla vescica, essi portano l’urina.”

Questi due vasi potrebbero essere gli ureteri.
Il seguente passo mostra un grande errore interpretativo dell’anatomia e fisiologia del sistema vascolare (che infatti il Leca preferisce chiamare sistema tubulare).

Quattro vasi si aprono nell’ano, essi vi apportano acqua ed aria. L’ano offre un’uscita ad ogni vaso del lato destro e sinistro, anche per le braccia e le gambe, quando sia carico di escrementi.

Quindi risulta che per gli Egizi anche le feci sono veicolate nel sistema vascolare (o meglio chiamarlo a questo punto sistema tubulare).
Seconda parte delle glosse: Questa riguarda prevalentemente concetti di patologia piuttosto che anatomo-fisiologici.
L’aria si può mostrare, oltre che come un elemento fondamentale per la vita, anche come patologica.
Il termine “massa grassa” viene talvolta utilizzato per indicare il muscolo cardiaco.
Nonostante i suoi battiti, il cuore è considerato un organo fisso, saldamente ancorato alla base.

Quanto [all’espressione] il cuore è al suo posto, ciò significa che la massa grassa del cuore è sul lato sinistro; [di conseguenza] esso non può spostarsi verso l’alto, non può scivolare in basso, restando fisso nella sua sede.


Sommando i vasi enumerati nel Primo Trattato si ottiene una somma di 46. Tale cifra non trova una corrispondenza anatomica nella medicina moderna. Il Secondo Trattato elenca solo 22 vasi. Essi sono molto differenti tra loro nella descrizione anatomica, come se lo scriba che ha ricopiato il secondo non sapesse cosa vi era scritto nel primo trattato.
SECONDO TRATTATO: 
Anche in questo vi è una parte che tratta di anatomia ed un’altra che tratta di patologia, gli “ukhedu”.

“Inizio del libro [dei medicamenti] per espellere gli ukhedu [esistenti] in tutte le membra dell’uomo, …
In un uomo vi sono 22 vasi, appartenenti al cuore, essi si dipartono in tutte le membra.


In questo trattato, i vasi dell’occhio si riducono a due non sono più quattro, cosa che accade anche per il naso. Al contrario, le sopracciglia sono dotate di un ampio sistema di irrorazione. Molti organi menzionati nel Primo Trattato vengono dimenticati nel Secondo.

In una considerazione anatomo-fisiologica, appare credibile dal primo trattato l’espressione di un sistema vascolare (o meglio tubulare) in cui l’aria e l’acqua provenienti dall’esterno vengono spinti tramite i battiti ad ogni membra, e in periferia i battiti cardiaci si fanno pulsazioni (“Il cuore parla nei vasi di ogni membra”). Alla periferia si avrebbe l’espulsione, tramite feci ed urina di ciò che sarebbe residuo rispetto a quanto entrato nel corpo. Il termine egizio “metu” ha un significato più ampio della parola “vaso sanguigno”: esso rappresenta tutti i canali escretori sia originanti che provenienti dal cuore, oltre che muscoli, tendini e nervi. In questo senso la funzione stessa del sangue appare meno importante. Secondo Kutumbiah esiste una stretta rassomiglianza tra questo “sistema tubulare” e quello descritto in India da Charaka.
Non è certo se gli Egizi misurassero in qualche modo anche la frequenza cardiaca:

tu esamini un uomo, contare ogni cosa … come contare oggetti con una misura per il grano. … Misurare le cose con una misura per il grano è [come] misurare una malattia con la stessa misura, equivalente a misurare una malattia di un uomo.


Ciò potrebbe anche essere, visto che la prima misurazione conosciuta del polso risale all’alessandrino Erofilo.


Patogenesi 

Gli “ukhedu” sono un principio che, generato dal materiale fecale si diffonde nei vasi, raggiunge le diverse parti del corpo per dar luogo alle malattie. Contro tali “ukhedu” era necessario combattere da parte del paziente per mezzo di clisteri, emetici, purganti, salassi e l’evacuazione di pus. In questo senso il significato stesso della mummificazione potrebbe essere stato un tentativo estremo di impedire il brulicare post-mortem di vermi e insetti necrofagi.
Nell’antico Egitto non si riconosceva la morte naturale. Si pensava che fosse necessariamente un fattore esterno ad interrompere il corso della vita. Quando si assisteva ad un trauma la causa era facilmente rivelabile, ma quando si manifestava la malattia si pensava ad un intervento malefico di un essere invisibile. Esso veniva indicato in molte formule magiche tipo:

… Liberami dal male causato da un dio, dal male causato da una dea, liberami da un morto, da una morta, da un nemico, da una nemica …”.

Tali demoni causanti malattie e morte potrebbero essere dei demoni sottili, chiamati “iadet”.


Patologia 

Il cuore ed i vasi:
Nel “trattato sul cuore e sui vasi” abbiamo appreso che “l’inondazione del cuore” è causata dalla saliva in eccesso e che la sua conseguenza è una forma di debolezza che invade tutte le membra (Ebers n. 855 b). Non siamo in grado di stabilire se si tratti dai una cardiopatia definita o un concetto patogenetico immaginario.
É impossibile stabilire anche il significato della “malattia shes” causata da un vaso che trasporta acqua in eccesso al cuore.
Invece il paragrafo 855 d del papiro Ebers potrebbe riferirsi ad insufficienza cardiaca con risentimento epato-polmonare:

Riguardo alla debolezza riscontrata nel cuore, si tratta di khasef che coinvolge il polmone ed il fegato. [Il paziente] diventa sordo, avendo i suoi vasi ceduto …”.

Una glossa spiega che

la debolezza del cuore significa che il cuore tace e che i vasi sono muti”,

cioè che le pulsazioni sono impercettibili.
La cosiddetta “danza o caduta” del cuore potrebbe avere individuato l’ipertrofia ventricolare sinistra:

Per quanto riguarda la danza del cuore, significa che esso si allontana dal seno sinistro, agitandosi sulla base, si allontana dalla propria sede, cioè la massa grassa viene a trovarsi verso sinistra, verso la radice della spalla”.


I sintomi dell’infarto miocardico potrebbero essere stati indicati 4.000 anni prima di Heberden nel trattato sullo stomaco del papiro di Ebers:

Se esamini un malato sofferente di stomaco, mentre ha dolori al braccio, al petto, da un ato del suo stomaco, puoi dire di lui: … è [qualche cosa] che [gli] è entrato in bocca, è la morte che lo minaccia“.


Per quando riguarda l’aspetto vascolare, gli Egizi sapevano palpare il polso, avevano riconosciuto aneurismi arteriosi ed i chirurghi non esitavano ad operare su tumori vascolari praticando lo strumento della termo-coagulazione per evitare le emorragie abbondanti. Il papiro Ebers segnala che le varici non dovevano essere operate.
Polmone e vie respiratorie:
E’ scritto nel papiro Ebers 855 a:

Quanto all’aria che entra nel naso, esso penetra nel cuore e nei polmoni e sono tali organi che la distribuiscono a tutto il corpo.


Per quanto riguarda la patologia polmonare, il solo sintomo evocato è il polso. Lefebvre segnala non meno di 21 ricette per trattare questo sintomo. Talvolta viene indicata come rimedio anche la coloquintide (che è un glucoside tossico con azione fortemente lassativa) da somministrare anche ai bambini. Altre volte (più semplicemente per le nostre conoscenze attuali) viene indicato il miele.
Apparato digerente:
Il trattato delle malattie dello stomaco, contenuto nel papiro Ebers, ed intitolato “Istruzioni per curare chi soffre di stomaco” comprende una ventina di ricette. Secondo il Leca, la descrizione delle malattie francamente gastriche si limita a quattro e la stessa manca di una credibile precisione.
Per quanto riguarda la stipsi, nel papiro Ebers sono riportate almeno dodici ricette purgative, ma non si riscontrano in maniera chiara rimedi, o tentativi, per la diarrea.
L’ano è probabilmente l’organo dell’apparato digerente maggiormente descritto. Esso è analizzato nel papiro Smith, Hearst, di Berlino ed Ebers, e costituisce la totalità della trattazione contenuta nel papiro Chester Beatty, il quale costituisce un vero e proprio trattato di proctologia contenente non meno di quarantuno ricette.
Il bruciore anale veniva trattato con rimedi a base di uva, carrube fresche e fichi. Venivano trattati anche il prurito ed il prolasso anale.
Per quanto riguarda il fegato, non siamo in possesso di nessun testo medico che descriva un’affezione epatica riconoscibile. Il papiro Ebers contiene un piccolo trattato sul fegato che contiene cinque ricette empiriche a proposito delle quali non viene indicata nessuna patologia specifica.
Apparato urinario:
Il papiro Ebers contiene alcune ricette che riguardano i disturbi della minzione, e 24 paragrafi raccolgono una specie di trattato intitolato: “Inizio dei rimedi per fare scomparire la ritenzione urinaria quando il basso ventre sia dolente.
Tralasciando l’ematuria, che il medico egizio considerava sempre associata ad una malattia parassitaria, tre sono i sintomi vescicali che si trovano chiaramente descritti: la ritenzione urinaria, l’enuresi e la cistite.
La maggiorparte dei rimedi per la ritenzione urinaria sono da assumere per via orale, mentre alcuni vengono applicati sul pene: “…mirto; pestare in mucillagine e applicare sul pene”.
Pelle ed annessi:
Non è possibile trovare, nei papiri medici, una sola descrizione di un’affezione cutanea. Jonckheere, a proposito della fabbricazione degli unguenti a base di grassi animali di varia specie, analizza le differenti indicazioni per ciascuno di essi nel modo seguente: “Per migliorare la pelle (Ebers)”, “Per trasformare la pelle (Smith)”, “Per abbellire il viso(Smith)”, “Per eliminare le macchie dalla faccia (Ebers)”, “Per eliminare le rughe della faccia (Ebers)”, ecc.
Compare anche il prurito come sintomo da trattare, sebbene non venga collegato ad alcuna malattia locale o sistemica. Esempio: “Inizio dei rimedi per il mangiatore di sangue e calmare i pruriti (Ebers)”, “Altro rimedio per far scomparire i pruriti ai piedi… (Ebers)”.
Riguardo alla calvizie si posseggono informazioni un po’ più dettagliate ed essa era oggetto di trattamenti magici:

Altro [rimedio] per far crescere i capelli ad un calvo: grasso di leone, grasso di ippopotamo, grasso di coccodrillo, grasso di gatto, grasso di serpente, grasso di stambecco. Mescolare in un unico ammasso e ungere il cranio calvo (Ebers)”.


Altre ricette si propongono di trattare l’incanutimento. Tutte le ricette riguardanti il cuoio capelluto sono di ispirazione magica. Per similitudine, il grasso del leone, animale dalla folta chioma servirebbe a richiamare la ricrescita dei capelli così come il colore scuro del sangue di bue servirebbe a richiamare il colore scuro dei capelli.
Il Tetano:
La più eloquente descrizione clinica di una malattia clinica è quella del tetano che si trova nel papiro Smith. Essa si svolge in tre esami successivi corrispondenti ai tre stadi della malattia:
Istruzioni riguardanti una ferita aperta alla testa che penetra fino all’osso e perfora le suture del cranio”.

(Esame n° 1):

Palperai la ferita [anche se] egli trema molto. Quindi gli farai alzare il viso. … se osservi che la saliva sgorga dalle labbra senza cadere a terra, e sanguina dalle narici e dalle orecchie, che è colpito da rigidità al collo e si trova nell’impossibilità di girare la testa per guardarsi le spalle ed il petto, a tal punto dirai: un [uomo] che ha una ferita aperta alla testa, che penetra fino all’osso e perfora le suture del cranio; i tendini del mascellare inferiore sono contratti, perde sangue dalle narici e dalle orecchie; soffre di rigidità al collo. Si tratta di una malattia contro la quale io combatterò. … Quindi benderai [il mascellare] con olio, …

(Esame n° 2):

Se riscontri che il corpo di quest’uomo è febbricitante, sotto l’influenza di questa ferita che penetra nelle suture del cranio, mentre quest’uomo è in preda a convulsioni a causa sempre di tale ferita, poserai la mano su di lui. Se trovi il viso madido di sudore, i legamenti del collo tesi, il viso cianotico, … la sua bocca serrata, … dirai allora a tal proposito: … è in preda a convulsioni; ha la bocca serrata e soffre di rigidità al collo. Si tratta di una malattia in cui non c’è più niente da fare.”

(Esame n° 3):

Ma se noterai che questo paziente è pallido ed ha già dato segni di cedimento, preparerai un tubo di legno ricoperto di stoffa che gli sarà infilato in bocca [per contrastare il trisma]. Poi preparerai una bevanda con carrube. Il trattamento da praticargli consiste nel mantenimento in posizione seduta, collocato fra due supporti in mattoni, fino a quando non ti renderai conto che è giunto ad un punto decisivo.


Le Parassitosi:
esse erano note agli Egizi. Grapow e Lefebvre hanno redatto un elenco in cui vengono individuati il verme “betju”, che sarebbe l’anchilostoma, il verme “hefet”, che dovrebbe essere l’ascaride, ed il verme “pened”, che sarebbe la tenia.
Molti autori sono concordi nel riconoscere la bilharziosi urinaria nella malattia che gli Egizi chiamavano “malattia àaà”, sebbene non si faccia mai cenno esplicito all’ematuria, segno cardine di questa patologia. Il termine si trova in quattro papiri: Ebers, Berlino, Londra e Heasrt. La presenza della bilharziosi urinaria nell’antico Egitto è confermata dalla scoperta fatta da Ruffer nel 1910. Egli scoprì nelle vie urinarie di una mummia della XX Dinastia ammassi di uova calcificate di Schistosoma haematobium.
Ancora Ruffer, su molte mummie, ha riscontrato casi di splenomegalia che Sigerist ha interpretato come segno di malaria.
Tumefazioni:
Sebbene i papiri medici offrano raramente una chiara identificazione dei vari tipi di tumefazioni localizzate, sono facilmente identificabili alcune forme di suppurazione.
Ad esempio, nel papiro Ebers si può trovare la descrizione di un rigonfiamento che si potrebbe ricondurre ad un foruncolo:

Se tu esamini un rigonfiamento sul suo collo e tu lo puoi assimilare ad un ascesso della carne, che si raffigura come una mammella e che lascia colare il pus, allora dirai a tale proposito: si tratta di una tumefazione suppurante sul suo collo. Curerò questa malattia con un cauterio; avrò cura di evitare i vasi. …


Nanismo:
Mentre presso gli Ebrei i deformi non potevano accedere al tempio, in Egitto, i nani fruivano di vantaggi notevoli, talvolta addirittura onorifici. Tutti i nani erano stimati ed in modo particolare i Pigmei. Contrariamente a quanto pensato per molto tempo, Vycichl ritiene che assai precocemente gli Egizi abbiano distinto tra il nanismo patologico, brachimorfismo (“nemu”), ed i Pigmei (“deneg”).
Il dio Ptah, o meglio i figli di Ptah che vengono chiamati Patechi hanno l’aspetto di un infante dismorfico, con le braccia molto corte, le gambe storte, l’addome prominente; dalla loro tempia destra pende ancora la ciocca di capelli infantile. Vassal riconosce nelle loro sembianze l’aspetto di un feto piuttosto che quelle di un nano.
Se i Pigmei venivano impiegati soprattutto come danzatori per i riti, gli acondroplasici occupavano posizioni diverse. Montet ha rilevato che, nei laboratori di oreficeria, i lavori di rifinitura, lucidatura e montaggio erano compito dei nani. Non è causale che gli orefici avessero come dio protettore proprio Ptah.
In molte tombe (di Ti, Mera, Kagemni) si trovano nani che conducono al guinzaglio babbuini, cercopitechi, levrieri. Altri erano preposti alla cura della biancheria; altri ancora portano al loro padrone sandali, uno specchio, il guanciale, un fagotto di stoffa.
Nella lista della IV Dinastia, redatta da Pirenne, fra gli incarichi relativi al personale del Palazzo, si nota un “direttore dei nani” ed anche un “capo dei nani preposti al vestiario”.
Malattie nervose e mentali:
Dovrebbe essere rivolta al trattamento della cefalea la ricetta proposta nel papiro Ebers “per fare scomparire la malattia che ha sede nella testa”. Dello stesso tono sono i titoli “Per rinfrescare una testa malata (Ebers)” e “Altro rimedio per guarire una testa malata: stelo in canna-isu, resina di terebinto, grasso, ginepro, pece, bacche di alloro. Sminuzzare e mettere sulla testa (Ebers)”.
Nel papiro Ebers vi è un’allusione ad un caso di paralisi “Altro [rimedio per] fare scomparire la paralisi”, anche se Lefebvre ammette che sia dubbia la traduzione del termine “gebegeb” con paralisi.
In un testo scritto sulla prima colonna della sala del tempio di Esna, Sauneron ha trovato la diagnosi di epilessia. Su questa colonna sono incise le condizioni per le quali è proibito l’ingresso al tempio. In essa si legge anche “Non si lasci entrare nel tempio chi sia nello stato di chi è colpito da bau o sotto hemet sa”. Il termine “hemet sa”, assimilabile al morbo sacro di Ippocrate, significa sortilegio di strega, male che il papiro Ebers cura con l’assunzione a pezzetti di uno scarabeo cotto.
Le grosse malattie mentali non sono descritte. Tutt’al più, Jonckheere ha riscontrato alcuni casi di depressione. Un certo Satni

si chiuse nelle sue stanze. Si coprì tutto il corpo con i vestiti e si coricò senza più rendersi conto di dove fosse. … Quale malattia ti ha colpito? La tristezza nel cuore!


L’occhio:
I papiri medici contengono moltissime ricette per combattere le malattie degli occhi. Il papiro Ebers presenta un centinaio di ricette raccolto sotto il titolo “Inizio del capitolo sugli occhi”. Alcune ricette contengono la descrizione dei sintomi.
La blefarite è definita malattia “haty”. La si curava, come altre malattie oculari con impiastri per via topica.
Il termine “pedeset” dovrebbe trattarsi di calazio o orzaiolo.
La torsione delle palpebre in cui le ciglia irritano la cornea (entropion) è una complicanza cicatriziale del tracoma, malattia frequente in Egitto. Nel papiro Ebers troviamo questa ricetta:

Altro rimedio per far scomparire la torsione delle ciglia negli occhi: olibano, sangue di lucertola, sangue di pipistrello. Si rivolteranno verso l’esterno le ciglia quindi si applicherà [questa pomata] su di esso [cioè l’occhio] fino alla guarigione”.

Il miglior trattamento, comunque, consiste nello strappare le ciglia, piuttosto che agglutinarle con tale impiastro:

… dopo che saranno estirpate: resina di terebinto. Sminuzzare con sterco di lucertola, sangue di bue, sangue di asino, sangue di maiale, sangue di cane, sangue di cane, sangue di capra, galena, crisocolla. Sminuzzare finemente in un’unica massa con questi diversi tipi di sangue e applicare al posto delle ciglia …”.


Al contrario, l’ectropion è definito “ripiegamento delle carni nell’occhio”.
Le congiuntiviti acute erano ben note e i trattamenti propongono di “combattere l’infiammazione” o di “eliminare il pus”.
La lacrimazione non è mai segnalata come singolo sintomo, il che avrebbe potuto far pensare ad una diagnosi di affezione del condotto lacrimale, ma come conseguenza di una contusione oculare.
Le cicatrici conseguenti le macchie opache della cornea venivano chiamate “sehedju”.
Gli Egizi definiva l’opacizzazione del cristallino “montata acquea negli occhi”. Un rimedio, descritto nel papiro Ebers consiglia:

… veri lapislazzuli, crisocolla, succo di balsamite, latte, galena, escrementi di coccodrillo, … ridurre in un’unica massa e quindi applicare sul dorso degli occhi”.

La perdita della visione crepuscolare, emeralopia, veniva definita “malattia sharu”. Nel papiro Ebers si consiglia:

… Fegato di bue arrostito e pressato. Applicare sull’occhio. Rimedio efficace!”.

Il Leca, riprendendo il Krause, fa notare che lo stesso rimedio era consigliato nelle pratiche terapeutiche assiro-babilonesi (700 ac), greche (500 dc), arabe (800 dc), e siriane e copte (1000 dc) e afferma che, sulla base di conoscenze moderne secondo cui alla base dell’emeralopia sta la carenza di vitamina A, e che il fegato è particolarmente ricco di questa vitamina, “si rimane sbalorditi di fronte a questa preveggenza”.
La cecità o “malattia-shepet” era la conseguenza di tutte queste affezioni così diverse l’una dall’altra, così diffuse e così spesso mal curate. Di fronte alla cecità si ricorreva anche a rimedi magici come “occhi di maiale di cui si estrae l’umore (Ebers)”, ricorrendo ad un procedimento magico di transfert. Altre prescrizioni promettono disinvoltamente di guarire dalla cecità.
Tra i rimedi adottati nella patologia oftalmica viene consigliata spesso la galena: è con tale termine che viene tradotta la parola “mesdemet”. Le analisi chimiche condotte sui contenuti dei vasi da collirio da Fischer e successivamente da Florence e da Loret, hanno rilevato che il composto più frequentemente usato era la galena, cioè solfuro di piombo.
Naso, gola, orecchie, bocca e denti:
Mentre l’oftalmologia era una specializzazione ufficialmente riconosciuta, l’otorinolaringoiatria era di pertinenza del medico generico.
Nel papiro Ebers, una ricetta contro la coriza prevede: “Antimonio, aloe, mirra e miele”. Nello stesso papiro si ritrovano altre ricette ed una prevede instillazioni nasali: “… vino di palma. Se ne riempirà l’orifizio [del naso]”. Un incantesimo del papiro Ebers recita:

Vattene coriza, figlia di coriza, [tu] che spezzi le ossa, tu che fracassi la testa, tu che massacri il cervello, che rendi malati i sette fori del capo, servitori di Ré ed adoratori di Thot. Ecco, ho preparato il rimedio contro di te, la bevanda contro di te: latte di una [donna] che ha da poco partorito un bambino e resina profumata. Che essa sia in grado di cacciarti, di espellerti, di cacciarti! A terra fetore, fetore. Da recitarsi quattro volte sul latte di una donna che abbia da poco partorito un bambino e su resina profumata. Mettere nel naso”.


La patologia chirurgica del naso, oggetto di numerosi paragrafi del papiro Smith, riguarda esclusivamente la traumatologia.
L’osservazione n° 28 del papiro Smith prende in considerazione una ferita della gola:

… se esamini un paziente che presenta una ferita aperta alla gola, che penetra fino alla trachea e che, se beve acqua ne rimane soffocato e l’acqua fuoriesce dall’orifizio prodotto dalla ferita; … chiudi la ferita con punti di sutura … La fascerai con carne fresca il primo giorno, quindi la tratterai con grasso e miele e con un tampone, da cambiarsi tutti i giorni fino alla guarigione. …


fra le malattie dell’orecchio si possono riconoscere i diversi stadi di evoluzione di una forma di otite media.
La sordità, o meglio l’ipoacusia che compare al paragrafo n° 764 del papiro Ebers con la definizione “un orecchio in cui l’udito è scarso”, viene curata con applicazioni di olio di “ben” nel quale è stata stemperata ocra gialla e una foglia di albero “iam”.
Nell’antico Egitto esisteva un corpo medico specialistico di dentisti.
Nel papiro di Smith si trovano indicate la suturazione di ferite del labbro superiore e quindi l’applicazione di carne fresca oltre che la riduzione della lussazione del mascellare inferiore:

… se esamini un paziente che presenta lussazione del mascellare inferiore ed osservi che la bocca rimane aperta senza potersi rinchiudere, appoggia i tuoi due pollici all’estremità dei rami della sua mandibola all’interno della bocca mentre le altre dita faranno presa sotto il suo mento, quindi spingi all’indietro i due rami della mandibola: essi rientreranno nella loro sede …”.


Alcune prescrizioni del papiro Ebers sembrano destinate a curare la carie in quanto il rimedio prescritto è volto a otturare il dente. 
Apparato genitale femminile:
Il papiro Kahun, vero e proprio trattato di ginecologia, riporta tutte le indicazioni sul trattamento destinato a combattere le malattie delle donne, così come una parte del papiro Ebers. Il papiro Kahun fornisce tutta una serie di prescrizioni per i dolori di cui si presume un’origine uterina e che, mancando una descrizione dettagliata, è impossibile riferire ad una malattia precisa.
Fra le turbe mestruali, l’amenorrea è facilmente riconoscibile nel papiro Ebers che illustra il trattamento da applicarsi ad una donna che “ha passato diversi anni senza mestruazioni”.
Le malattie della vulva erano curate con instillazioni vaginali. Esempio, dal papiro Ebers:

Altro [rimedio] per una paziente affetta da una malattia alle labbra della vulva: storace [stryax officinalis], terra di Nubia, gomma ammoniaca, resina di terebinto, foglie di acacia, erba di bue, giunco di terra, acqua; ridurre il tutto in un’unica massa ed iniettare nella vagina”.


La seguente ricetta, tratta dal papiro Ebers, potrebbe essere un rimedio per il prolasso uterino. Dal momento che non risulta che i medici egizi praticassero l’esplorazione vaginale, difficilmente potrebbe trattarsi di un’antero o retroversione uterina: “Rimedio per far si che l’utero di una donna torni al suo posto: segatura di abete da mettere su feccia. Imbeverne un tampone di stoffa e farvici sedere sopra la paziente”.
Praticate erano anche le fumigazioni: “… mettere [il farmaco] su carbone di legna e lasciare penetrare il fumo nella vagina (Ebers)”.
Leca, facendo riferimento al racconto del “Principe Predestinato”, dove un re riuscì ad ottenere la possibilità di concepire un figlio maschio la notte stesso in cui pregò gli dèi, riferisce che, per gli antichi egizi, il coito era ritenuto necessario e sufficiente per la fecondazione della donna.
La diagnosi di sterilità si basava su metodi magico-empirici. Talvolta si trattava di valutare come una donna reagiva all’assunzione di una bevanda: “… La donna la berrà. Se vomiterà sarà in grado di partorire, se emetterà gas intestinali non sarà mai in grado di partorire (papiro di Berlino)”. Una variante di questo test consisteva nell’iniettare il composto nella vagina: “Versare nella vagina anguria mescolata a latte di donna che ha appena partorito un figlio. Se vomiterà sarà in grado di partorire. Se emetterà gas intestinali non partorirà mai (papiro di Berlino)”. Il papiro Carlsberg propone un procedimento che, seppure modificato, sarà riproposto da Ippocrate:

Altro metodo per riconoscere se una donna potrà o no partorire. Praticatele delle fumigazioni con escrementi di ippopotamo. Se vomiterà subito non partorirà mai. Se invece emetterà subito gas intestinali, allora sarà in grado di partorire.

Quest’ultimo papiro propone anche un ulteriore metodo che Iversen riferisce tale e quale in Ippocrate:

… farai in modo che uno spicchio di aglio inumidito rimanga per tutta la notte, fino all’alba, [nella] sua vagina. Se l’odore dell’aglio raggiungerà la sua bocca essa sarà in grado di partorire, in caso contrario non partorirà mai”.


Secondo Jonckheere si faceva uso di statuette, chiamate concubine, che erano figurine di donne nude con al seno dei lattanti, il cuoi scopo sarebbe stato quello di propiziare il concepimento. Alcune recavano la scritta “Sia concesso di partorire ad una certa donna”. Queste statuette venivano deposte nella tomba di un defunto dal quale si sperava l’intercessione presso una qualche divinità per ottenere la gravidanza.
L’aborto non viene segnalato in alcun testo, eccezion fatta per per le cure segnalate a proposito della dismenorrea.
Al contrario, si faceva uso di sistemi a scopo anticoncezionale. In tal senso vengono solitamente interpretati due enunciati incompleti compresi nel papiro Kahun con il titolo “Per evitare”, seguiti dal segno del fallo. Il primo raccomanda una specie di pessario a base di sterco di coccodrillo, mentre il secondo propone una mistura di miele e natron con cui si ungeva la vulva e la vagina.
Il paragrafo 192 del papiro di Berlino prescrive una fumigazione grazie alla quale “la donna non riceverà il seme”.
Il papiro di Berlino permetteva, senza rischi, di rispondere alla domanda sul sesso del nascituro:

Altro mezzo per riconoscere se una donna partorirà oppure no. [Metterai] orzo e grano [in due secchi di tela] che la donna bagnerà con la sua orina, ogni giorno; allo stesso modo metterai nei sacchi sabbia e datteri. Se [orzo e grano] germoglieranno entrambi, ella partorirà. Se germoglierà [per primo] l’orzo sarà un maschio; se germoglierà [per primo] il grano sarà femmina. Se non germoglieranno [entrambi] ella non partorirà”.


Il papiro di Berlino prevede così un parto difficoltoso:

Dopo aver unto con grasso la paziente la notte precedente, se la mattina successiva il suo colore sarà diventato verde, ella partorirà con facilità, se esso sarà umido come la sua carne, la donna partorirà con difficoltà”.


Per quanto riguarda il parto, Leca afferma che, contrariamente a quanto scritto da alcuni storici della medicina, il parto non avveniva nei “mammisi”. Tali luoghi, tutti di tarda epoca, ai quali Daumas ha dedicato degli studi, si possono vedere a Dendera, Edfu, ecc. Il nome fu creato da Champollion. Maspero pensava che le regine partorissero i futuri faraoni in simili templi. Di fatto, il mamisi era un santuario consacrato al culto divino, legato al culto reale, dove si celebravano misteri liturgici.
Alcuni geroglifici mostrano la partoriente ora inginocchiata su dei mattoni, ora seduta sui propri talloni: in ogni caso la raffigurazione è quella di una presentazione cefalica in cui la testa fuoriesce sola o accompagnata dalle braccia. “Sedersi sui mattoni” è il termine equivalente a partorire. Raramente le donne ricorrevano alla “sedie da parto”, come risulta in una scultura di calcare bianco proveniente da Dendera su cui si può vedere una donna seduta in un naos, su una sedia bassa, con le ginocchia alzate, le braccia aperte, aiutata da due levatrici con la testa di Hathor.
La donna non partoriva sola; nelle grandi rappresentazioni teogamiche, è assistita da una corte di donne. In realtà due avevano il ruolo effettivo di levatrici: una situata dietro la partoriente, le permetteva di appoggiarsi contro di lei, premendo con le braccia sul corpo, per favorire, probabilmente l’espulsione del nascituro; l’altra donna, di fronte alla partoriente, controllava l’uscita del bambino ed aiutava il parto; talvolta anche una terza donna assisteva alla nascita. Il parto riguardava le ostetriche e non i medici. Nel papiro Westcar, il racconto dei figli dei Re, descrive la successione degli avvenimenti.
In caso di parti difficoltosi, il papiro Ebers riporta circa 20 ricette per favorirne l’esito favorevole.
Allattamento e malattie infantili:
Reciso il cordone ombelicale e lavato il bambino, la prima preoccupazione della madre, dopo aver mangiato il “pane fresco della nascita”, specie di dolce con miele confezionato da lei stessa, era l’allattamento del neonato. Il più delle volte esso avveniva al seno materno.
Raffigurazioni rappresentano il faraone adolescente, con ancora le trecce dell’infanzia, o già adulto, con gli attributi della regalità, in piedi, mentre è allattato da una dea.
Il papiro Ebers propone diversi rimedi per “provocare la montata lattea in una nutrice che allatta il bambino”. Se qualità del latte era scadente “… ti accorgerai che il suo odore è simile al fetore dei pesci (Ebers)”, mentre per il latte buono “il suo odore deve essere simile a quello della farina di carrube (Ebers)”.
Le affezioni mammellari sono indicate con il termine generico di “seno malato” nel papiro Ebers.
Quando il bambino nasceva prematuro, tutte le apprensioni erano giustificate. L’unico rimedio possibile era il ricorso alla magia con incantesimi recitati sugli amuleti.
Il metodo per stabilire se il bambino sarebbe sopravvissuto dopo il parto è indicato nel papiro Ebers: “… se dice ny, vivrà. Se dice embi morirà”. Un altro procedimento, citato da Lexa, consiste nel far mangiare al bambino un pezzetto di placenta il giorno della nascita: “… sminuzzare un pezzetto della placenta nel latte e darglielo da bere il giorno della nascita. Se lo vomiterà, il bambino morirà. Se lo [mangerà], il bambino vivrà”.
Le sole malattie dell’infanzia di cui ci sono state tramandate notizie sono la ritenzione urinaria e soprattutto l’enuresi e la tosse.
La ritenzione urinaria veniva curata con dei procedimenti magici.
L’incontinenza urinaria poteva essere trattata in due modi indicati nel papiro Ebers: 1) midollo di canna sminuzzato in un vaso con birra dolce, in modo che la stessa si addensi, da dare da bere alla nutrice; 2) pietra bollita e ridotta in pillole.
Contro la tosse dei bambini, senza che la cause venisse precisata, l’unico rimedio conosciuto era il latte zuccherato (papiro di Berlino).
Nel caso di situazioni di morte ritenuta imminente per il bambino si arrivava a somministrare topo cotto al bambino stesso o alla madre. Smith e Dawson nel canale digerente di molti bambini inumati nel cimitero predinastico di Naga-ed-Der, hanno rinvenuto ossa di topo che dimostrano che le stesse erano state ingerite, poco prima del decesso, durante una malattia mortale.
Accidenti vari:
Le spine e le schegge di legno dovevano essere estratte in maniera empirica, eppure esistevano a riguardo un gran numero di ricette. “Cos’è necessario per fare estrarre una spina dalle carni: casa dell'[insetto?] bibi; miele. Applicare sopra. (Ebers)”.
Il testo magico demotico di Londra e di Leida contiene una “formula da recitare su un uomo nel quale un osso si è infilato nella gola.
Nel papiro Ebers le ustioni sono oggetto di un trattato particolare dal titolo “Inizio dei rimedi per un’ustione”. La maggiorparte delle ricette sembra rivolta a lesioni di primo e secondo grado e sono di carattere empirico: l’applicazione di sostanze grasse trova largo spazio, e talvolta viene consigliata la terapia a base di escrementi (bestiame di piccola taglia, ecc.).
Il papiro Ebers prende in considerazione anche un tipo di ustione che si potrebbe classificare come di terzo grado:

Altro [rimedio] per un’ustione che evolve in gangrena: particelle di rame, crisocolla, pigmenti di inchiostro, resina di terebinto fresca, cumino; natron, olibano dolce, olio-safet, sterco del diavolo, cera, cinnamono, brionia, miele. Sminuzzare finemente e ridurre il tutto in un ammasso unico, quindi bendare con quanto ottenuto”.


Questa ricetta, invece, proveniente dal papiro Ebers, garantisce la guarigione dell’ustione:

Altro [rimedio]: pane d’orzo con olio, fieno greco. Mescolare in un impasto. Bendare con il farmaco ottenuto e cambiare spesso il bendaggio in modo che guarisca rapidamente. Si tratta di un rimedio efficace! L’ho constatato io personalmente e la guarigione avviene assai spesso”.


Nei casi di ustione molto spessa e profonda si faceva ricorso alla magia. Tutti gli incantesimi rivolti a questi casi si rifanno ad una mitologia artificiale nella quale Horo è ritenuto essere vittima di ustioni. Le formule dovevano essere recitate su latte di donna che abbia appena partorito un figlio, come quando Iside guarì Horo per mezzo del suo latte. Ecco un incantesimo contro le ustioni: “… Horo, assai giovane, era in una zona paludosa, ed un tizzone, scosso, cadde su di lui. … Iside, dopo averlo ascoltato … Verso [il mio latte] sul tuo corpo per guarire le tue vene … (papiro di Londra)”. Eccone un altro:

Incantesimo contro le ustioni: Horo figlio mio! C’è un incendio sulle montagne! C’è acqua? Non c’è acqua, ma l’acqua è nel mio corpo, il Nilo è fra le mie cosce. Andrò a spegnere l’incendio. Recitare su del latte di donna che abbia partorito un bambino, su dolci e peli di capro e applicare il tutto sull’ustione (Ebers)”.

Quest’ultimo incantesimo fa sorgere il dubbio che una pratica di “primo intervento” potesse essere quella di urinare sulla cute ustionata.
Si hanno altre ricette costituite da prescrizioni cosmetologiche che avevano lo scopo di mascherare le cicatrici dell’ustione.
Nel bassorilievo raffigurante la famosa battaglia di Kadesh, su una parete del Ramesseum, una scena presenta il principe di Aleppo, che stava per annegare, tirato fuori dall’acqua dai suoi soldati. La respirazione artificiale non era conosciuta, ma al superstite viene facilitato un drenaggio posturale, tenendolo con la testa in basso. Per permettere al principe di eliminare più facilmente l’acqua ingurgitata, un soldato preme con la mano destra sul suo stomaco.
Nel libro demotico di magia di Londra e Leida, si fa ricorso alla magia per salvare un uomo dal morso di un cane probabilmente idrofobo in quanto si parla di veleno.
Contro i morsi di serpente velenoso si implorava la dea Miritskro o Meret-Seger, la famosa dea dalla testa di serpente della Cima di Occidente. La stele di Torino n° 102 fu fatta fabbricare da un uomo che era stato morsicato da un serpente e guarito dalla dea.
La puntura di scorpione causa una sensazione di atroce bruciore: “E’ più caldo del fuoco, più ardente della fiamma, più aguzzo di un pungiglione (papiro Ch. Beatty)”. La puntura poteva essere mortale. Fra le mummie greche conservate a Berlino, si legge questo epitaffio: “Apollonio … ucciso da uno scorpione …”. Si cercava la salvezza nell’acqua delle statuette guaritrici ed anche invocando Selket, la dea con la testa di scorpione.

Traumatologia:
Le ferite più semplici sono quelle del cuoio capelluto (Smith n° 1 e n° 2). Nella prima osservazione, la definizione la ferita “non presenta due labbri” significa che essa è molto stretta.
Una ferita dell’arcata sopraciliare (Smith n° 10) deve essere suturata e quindi medicata con carne fresca, ma se la sutura non tiene si dovrà ricorrere a delle strisce adesive. L’utilizzo della carne fresca è spesso indicata nel trattamento delle ferite.
La lussazione dell’articolazione sterno-clavicolare è stata descritta, nel papiro chirurgico Smith, in modo particolareggiato ed il suo trattamento deve consistere nella riduzione, seguita dall’applicazione di un bendaggio stretto.
La frattura dell’omero, senza spostamento, veniva soltanto bendata (Smith n° 38).
Le fratture del cranio sono descritte nel papiro Smith e le si trovano associate alla frattura di ossa delle faccia (naso, mascellare). Da notare che in tutti i casi di otorragia la prognosi è infausta ed il paziente viene abbandonato a sé stesso: “Si tratta di una malattia in cui non vi è nulla da fare”.
Il papiro Smith indica anche il procedimento chirurgico da seguire in caso di frattura esposta della volta cranica e della frattura comminuta del cranio.
È difficile dire se gli Egizi praticassero la trapanazione del cranio sia con fini magici, sia a scopo terapeutico. Gli esempi di crani perforati sono rari e discutibili da non potere attribuire con certezza, agli antichi Egizi, questa tecnica.
Pratiche di mutilazione riguardo ai genitali:
Erodoto afferma che “i Fenici e i Siriani residenti in Palestina accettarono che gli Egizi insegnassero loro l’arte della circoncisione”. Il simbolo del fallo, così come appare dai geroglifici, raffigura sempre l’organo privo di prepuzio. Le divinità itafalliche, prima fra tutte il dio Min, mostrano sempre il glande scoperto. È incerto se il prepuzio fosse sempre oggetto di una vera e propria peritomia, ossia di una resezione completa e circolare oppure di una semplice incisione lineare sulla parte dorsale. Secondo Jonckheere esistono esempi convincenti a favore di questa seconda tecnica. Lo scopo della circoncisione è stato spiegato in diversi modi e con opinioni diverse. Erodoto afferma che i sacerdoti “praticavano la circoncisione per ragioni di igiene in quanto preferivano la pulizia all’estetica.” Allen considerava questo intervento il mezzo per evitare il ristagno delle cercarie nel sacco prepuziale e di qui la loro penetrazione nell’uretra come profilassi alla bilharziosi”. Sigerist ritiene la circoncisione come imitazione del Dio Rè, facendo dunque un atto di ispirazione religiosa. Stracmans la considerava un rito di iniziazione che permetteva il passaggio dall’infanzia alla vita da adulto.
Nessuna testimonianza diretta conferma la pratica nell’Antico Egitto di interventi di clitoridectomia o asportazione della piccole e grandi labbra tenendo unite le cosce della paziente fino a cicatrizzazione (infibulazione).
Tre pratiche ci sono note: la semplice mutilazione del pene, la soppressione dei due testicoli e l’evirazione totale. Diodoro riferisce che la castrazione veniva praticata in due circostanze: sui prigionieri, cui venivano amputati le mani e gli organi genitali, e sugli uomini rei di aver violentato una donna.
Amputazioni:
Diodoro Siculo riporta che “la legge prescriveva l’amputazione della lingua a coloro che avessero rivelato segreti di stato ai nemici; essa condannava all’amputazione di entrambe le mani i falsari, coloro che avessero alterato pesi o misure o cambiato l’incisione dei sigilli, gli scribi che avessero redatto documenti falsi …”.
Le donne “ree” di tradimento coniugale venivano condannate all’amputazione del naso.
Da una stele che Horemheb fece erigere nel tempio di Karnak si apprende che i funzionari prevaricatori venivano puniti con “l’asportazione del naso e il confino a Zel”, città di frontiera ai margini del deserto.
Sotto Ramesse III, durante il processo della grande congiura dell’harem, due giudici si erano lasciati sedurre da alcune donne implicate nel misfatto. Questo atto di tradimento venne giudicato molto grave e “la punizione inflitta consistette nell’asportazione del naso e delle orecchie”.
Anestesia, droghe e veleni:
La farmacopea animale, vegetale e minerale egizia è contenuta in modo dettagliato, nei lavori di Lefebvre e, soprattutto, di Grapow.
Dioscoride (De Materia Medica) era convinto che gli Egizi praticassero l’anestesia locale, servendosi di una pietra magica presente nei dintorni di Menfi. Era sufficiente ridurla in polvere ed applicarla nella parte desiderata per ottenere la scomparsa di qualsiasi dolore. Diverse ipotesi sono state formulate a proposito di questa pietra ma nessuna risolutiva.
Il coriandolo (unshj) veniva usato per guarire l’ulcera ai denti, curare le secrezioni uterine, calmare la tosse.
L’oppio, lattice estratto dalle capsule del papavero, viene menzionato soltanto nel papiro di Ossirinco, risalente all’epoca greco-romana. Tuttavia, ben molto prima, i papaveri venivano raccolti sia per usarne i fiori che per utilizzarne le capsule. In una tomba della XVIII Dinastia (1580-1320 ac), è stato trovato un vaso contenente olio, nella cui composizione sono state rinvenute tracce di morfina. Il papiro Ebers prescrive l’uso della capsula nel trattamento delle eruzioni del cuoio capelluto e per calmare le grida del bambino.
Le formule contro il veleno avevano lo scopo di “eliminare il veleno” di un serpente o di uno scorpione; nessuna di esse è stata impiegata per i veleni preparati dall’uomo.
Si ritiene che anche gli Egizi facessero uso di frecce avvelenate. Lucas ha potuto esaminare alcune di queste frecce ed ha accertato che il pigmento rosso, usato per dipingerle, consisteva in ossido di ferro, ma non ha rinvenuto alcuna traccia di veleno organico. Pertanto, né i testi medici, né gli oggetti, né le mummie sono in grado di confermare l’asserzione secondo cui gli Egizi praticavano l’uso di veleni.


Influenze della medicina egizia 

La medicina egizia, per quanto imperfetta e governata da influssi magico-religiosi, costituisce un tentativo ammirevole di dominio dell’intelligenza umana sulle leggi della natura. Da un punto di vista pragmatico, inoltre, essa ha esercitato la sua influenza sulle medicine straniere ad essa contemporanee o posteriori.
La medicina ebraica:
stretti furono i rapporti che si stabilirono tra la medicina ebraica del periodo biblico e la medicina dell’Antico Egizio. Le “piaghe d’Egitto” venivano considerate tremende malattie. L’imbalsamazione di Giacobbe, la pratiica della circoncisione, il nome di molte malattie sono i segni di questa relazione.
Le scuole pre-ippocratiche:
Il pensiero egizio giunse fino alle coste dell’Asia Minore, come afferma Ippone di Samo.
Yoyotte traccia un parallelo tra la dottrina degli “ukhedu” egizi e quella dei “perittomas” della scuola di Cnido. Il perittoma, così come l’ukedu, è l’elemento patogeno degli escrementi.
Ippocrate:
La scuola di Cnido non era l’unica a ritenere il midollo osseo come fonte dello sperma; secondo Ippocrate, esso deriverebbe dal rachide, di qui scenderebbe nei reni, raggiungendo poi i testicoli ed infine il pene.
Abbiamo già menzionato come alcune tecniche ippocratiche, riguardo ai pronostici di nascita, sembrano ricopiare quasi integralmente quelle del papiro Calrsberg. 
La scuola alessandrina:
La scuola alessandrina, sebbene formata in Egitto, esprime le caratteristiche della scuola greca. Tutt’al più si può ammettere che gli anatomisti poterono operare a “cadavere aperto”, grazie all’influenza delle tecniche di imbalsamazione, cosa che fu impensabile in tutti gli altri Paesi e della quale i medici egizi non seppero approfittare.


 

Un pensiero su “La Medicina Egizia 


  1. Lenire il dolore, renderlo sopportabile al fine della cura, ha permesso non solo lo sviluppo della tecnica operatoria in un ottica moderna; ma ha consentito di avviare un lungo itinerario che molto ha a che vedere con la qualit della vita. E, se indubbio che una tematica come questa meriterebbe articoli e articoli di approfon-dimento, se non interi volumi, ecco intanto un primo approccio a quelli che sono i capisaldi di una narrazione che proseguir in questo blog. Vittorio A. Sironi, neurochirurgo, storico, antropologo e professore di Storia della Medicina e della Sanit presso l Universit Milano-Bicocca ci ha guidato in questo viaggio che parte da molto lontano.

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