Un pioniere della moderna cardiologia: il dott. James Hope

Un pioniere della moderna cardiologia: il dott. James Hope

Immagine tratta dal frontespizio della terza edizione del “Treatise on the Diseaseas of the heart and great vessels”, pubblicata nel 1846.

Nato a Stockport, Cheshire, il 23febbraio 1801, decimo di una famiglia di dodici figli, James Hope studiò Medicina a Edimburgo, dove si diplomò nel 1825 con una tesi sull’aneurisma dell’aorta.

Dopo aver trascorso due anni in viaggi all’estero, compreso un anno a Parigi sotto Chomel, si stabilì a Londra nel 1828 e presto acquisì una vasta pratica. Diede numerosi contributi alla letteratura periodica sulle malattie cardiache e nel 1831 pubblicò la sua opera principale intitolata “Trattato sulle malattie del cuore e dei grossi vasi“, che comprendeva una nuova visione della fisiologia dell’azione del cuore secondo la quale i segni fisici vengono spiegati. L’anno successivo fu eletto Fellow della Royal Society.


il lavoro al St. George’s Hospital

Nel 1834 fu eletto assistente medico e nel 1839 medico a pieno titolo al St. George’s Hospital. La sua seconda opera più importante fu pubblicata nel 1833 e 1834, intitolata “Principi e illustrazioni di anatomia morbosa adattati agli elementi di M. Andral e alla ciclopedia di medicina pratica, essendo una serie completa di disegni litografici colorati da originali dell’autore”. Morì il 12maggio 1841, all’età di quarant’anni.

È ironico che questo grande medico che descrisse così tante anomalie anatomiche avesse una marcata ripugnanza verso la dissezione anatomica.

Tale particolare, insieme al suo intimo desiderio di perfezionare la sua abilità artistica, è sottolineato da A. F. Hope:

“Egli costringeva sé stesso a fare tre o quattro disegni a settimana durante la sua permanenza a Parigi; per fare ogni disegno impiegava dalle due alle otto ore … Questo fu il lavoro più faticoso che abbia mai eseguito. La sua ripugnanza per l’anatomia [da studente, quando dissezionava, egli indossava sempre i guanti] sebbene combattuta, non fu totalmente eradicata, e questa occupazione era conseguentemente così aliena al suo gusto, che fu solo per il suo grandissimo sforzo mentale che riuscì a procedere nel suo lavoro. Egli era solito dire che come copista era lontano dall’essere un mero impiegato meccanico; nel fare i disegni, si dipinge con la testa, non con le sole mani; ogni tocco, ogni ombra di colore è un pensiero, e perciò il processo intellettuale è arduo. Ciononostante, egli lavorava cinque ore al giorno, e si appagò così tanto che, in seguito, non dipinse più, eccetto che per pura necessità”.


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