Estratti di opere biologiche di Aristotele

Opere Biologiche
di Aristotele


A cura di Diego Lanza e Mario Vegetti

UTET, prima edizione 1971


Introduzione (pag 10)


Il progetto scientifico di Aristotele

Iniziando una delle opere della sua maturità scientifica, Meteorologici, Aristotele scriveva:


“Abbiamo dunque già trattato delle prime cause della natura e di ogni mutamento naturale [Fisica], e ancora degli astri ordinati nel loro moto celeste [Cielo], degli elementi corporei – quanti e quali essi siano –, delle reciproche trasformazioni, dei comuni processi di formazione e distruzione [Generazione e Corruzione]. Resta ancora da compiere una parte di questo cammino di ricerca, che tutti i predecessori chiamarono meteorologia [Meteorologici] … Dopo che avremo esaminato tale campo, vedremo se si potrà rendere conto, secondo il piano seguito, degli animali e delle piante, da un punto di vista sia generale che sia particolare; una volta detto di questi argomenti, sarà giunta al termine l’impresa che ci siamo proposti fin dall’inizio”. (Meteor., I, i).


Questo passo ha soprattutto la funzione di esporre ordinatamente i contenuti dell’enciclopedia aristotelica delle scienze e il piano dei corsi ad essa ispirati. Per comprendere la collocazione della biologia all’interno di tale enciclopedia, è necessario intrattenersi brevemente sulle origini, il senso e la natura del programma aristotelico di riorganizzazione del sapere naturalistico.
Aristotele aveva assistito al tentativo di Platone di ricondurre le scienze e la filosofia all’unità di un sistema, di cui il Timeo costituiva il modello. L’organo scelto per la costruzione di tale sistema unitario era il procedimento logico-dialettico, e le strutture portanti sui cui si reggeva erano fornite dai metodi e dai paradigmi della matematica: le proprietà complesse dei corpi venivano ridotte ad una elementare struttura spaziale, e questa veniva, a sua volta, ridotta ad una matrice numerica.
Il “sistema Timeo” platonico venne rapidamente irrigidito (ed Aristotele fu testimone diretto di questo processo), ad opera degli accademici quali Speusippo e Senocrate, in uno schema metafisico chiuso ed anche investito di accentuate implicazioni teologiche.
Di fronte al fallimento del disegno accademico, Aristotele scelse un approccio radicalmente diverso e decise di accettare: a) l’effettiva molteplicità delle scienze e la loro acquisita autonomia; b) l’impossibilità di discriminare tra scienze “nobili” (matematica, astronomia) ed “empiriche” (fisica, zoologia e meteorologia), e c) l’irriducibilità, di principio e di fatto, dei generi dell’essere, sia nel senso “categoriale” (la qualità non riducibile alla quantità) che della “stratificazione” (la natura organica non è riducibile a quella inorganica). Da ciò deriva che scienze relative a diversi generi dell’essere non sono riducibili l’una all’altra, né derivabili l’una dall’altra, e che il linguaggio con cui si parla della realtà non è riducibile a nessun linguaggio speciale di tipo logico-matematico o fisico (come vorrebbero rispettivamente gli Accademici e Democrito).
Nel sistema enciclopedico e orizzontale di Aristotele, funzioni come materia e forma, atto e potenza, sostanza e attributo, agente e fine, risultano implicite in ogni corretta descrizione dei fenomeni della natura e pertanto possono essere utilizzate per unificare quegli elementi che, nella loro diversità, svolgono una ruolo identico rispetto ai processi diversi. L’enciclopedia aristotelica delle scienze, non più sistematizzate e gerarchizzate, risultava ugualmente unificata da un fitto tessuto connettivo di analogie funzionali, a matrice prevalentemente linguistico-concettuale. L’enciclopedia aristotelica delle scienze non è organizzata sillogisticamente, cioè in maniera deduttiva, ma secondo modalità analogiche di unificazione.

La posizione della biologia nell’enciclopedia aristotelica delle scienze (pag. 13)

La ricerca biologica, sebbene non possa occupare una posizione privilegiata nel quadro dell’enciclopedia aristotelica (in quanto questa posizione non esiste), viene presentata in qualche modo come il coronamento dell’impresa scientifica di Aristotele. Ciò è legato al fatto che verso la metà del IV secolo ac, le discipline biologiche presentano un avanzato grado di profondità che necessita organizzazione e connessione di sapere mediante adeguata teorizzazione. Il particolare tipo di rapporti che intercorrono nel mondo biologico tra struttura e funzione, processo e fine, individuo e specie, esaltava le capacità di analisi e di comprensione degli strumenti aristotelici consentendo l’unificazione di frammenti copiosi offerti dalla tradizione naturalistica greca.
Il ruolo di Aristotele nel campo della biologia è simile a quello di Euclide nei riguardi della geometria: egli tramanderà alla scienza moderna l’eredità della biologia greca. Entrambi non furono i creatori originali di due scienze ma i loro organizzatori concettuali.

Le premesse storiche della biologia aristotelica (pag. 15)

Aristotele rivendica a sé l’eredità della tradizione naturalistica, sulla quale egli innesta la più raffinata consapevolezza logico-concettuale acquisita tramite Socrate e Platone. Da questa eredità egli deriva la concezione della natura (physis) come un insieme di realtà dotate non solo di piena ed autonoma esistenza, ma anche di una intrinseca capacità di dar luogo a processi finalizzati alla realizzazione di un ordine, al mantenimento e al compimento di un “piano del mondo” che non ha nulla di provvidenziale ma che si identifica, appunto, con la stessa physis delle cose. La physis che Aristotele riprendeva dalla tradizione presocratica eliminava la necessità del mito dell’anima del mondo, cui era ricorso Platone nelTimeo, per colmare lo iato tra una natura empirica, disordinata e inspiegabile e la paradigmatica natura ideale, solo possibile oggetto di scienza.
In questo modo Aristotele si concede la possibilità di fruire direttamente dal patrimonio di conoscenze scientifiche reperibili nelle matrici empedoclea, democritea, del Timeo platonico, delle acquisizioni delle tre principali scuole mediche (ippocratica, cnidia e siciliana, variamente contaminatesi nella prima metà del IV secolo), e dell’esperienza pratica accumulata dalle tecniche non scritte, specialmente della zootecnia e dell’agricoltura.
La tradizione naturalistica: per quanto riguarda la physiologia, Aristotele attinge soprattutto dal versante siciliano, che era quello fondato da Empedocle e continuato dal Filistione (questa scelta è spiegata storicamente dai rapporti molto stretti dell’Accademia platonica con il mondo culturale siciliano nel periodo della formazione di Aristotele). Di derivazione empedoclea e filistionica è innanzitutto la dottrina della composizione della materia a partire dai 4 elementi – aria, acqua, terra e fuoco – e della “qualificazione” dei composti materiali ad opera delle 4 proprietà attive – caldo, freddo, umido/liquido, secco/solido. Tale dottrina verrà contrapposta a quelle quantitative dell’atomismo democriteo e delle intuizioni di tipo “biochimico” di Anassagora e del gruppo ippocratico.
Dalla stessa fonte arrivavano alcune importanti dottrine di fisiologia generale. Al centro di esse stava la nozione della centralità dl calore nella vita organica (su questo punto la stessa tradizione empedoclea si incontrava con quella pitagorica rappresentata da Filolao); da ciò dipendeva il privilegio fisiologico delle “sedi” corporee del calore stesso, cioè cuore e sangue. Dal momento poi che vita e psichicità sono strettamente connesse, per Aristotele come per Empedocle, ciò comportava l’assegnazione al “principio” del calore di un ruolo centrale anche nella vita psichica, secondo un’altra dottrina tipica della scuola siciliana, dallo stesso Empedocle fino al medico filistionico autore del trattato Sul Cuore. Questo insieme di vedute comportava un progressivo e sempre più marcato allontanamento di Aristotele non solo dalla linea Alcmeone-Anassagora-Ippocrate, spiccatamente encefalocentrica, ma dallo stesso Platone che riconosceva la doppia centralità, del cuore nelle funzioni organiche e del cervello in quelle psichiche.
Un altro importante elemento di fisiologia generale aristotelica proveniva dalla physiologia di origine ionica, probabilmente da Diogene di Apollonia: si tratta del ruolo assegnato all’aria e precisamente al “respiro” (pneuma), nei processi vitali. Aristotele si distacca tuttavia profondamente dalle sue fonti ioniche, facendo del pneuma un componente innato dell’organismo, e quindi rescindendone il rapporto (mediante respirazione) con l’aria fisica dell’ambiente.
La scuola di medicina: dal punto di vista della biologia e della zoologia generale, il sapere medico presentava una serie di limiti gravi in quanto il suo orientamento era rivolto prevalentemente verso la patologia e la stessa concentrazione sul corpo umano non era supportata da profondi conoscenze anatomiche per lo scarso sviluppo della dissezione. L’impiego aristotelico di quel sapere dovere perciò essere assai selettivo; nondimeno numerosi risultati della ricerca medica potevano venire incorporati, o perlomeno esposti criticamente, nel corpus biologico aristotelico.
Quanto all’anatomia, Aristotele si rifaceva ad opere ippocratiche quali ArticolazioniFrattureFerite nella Testa per le informazioni del tessuto osseo, e la Natura dell’uomo per quelle relative al sistema vascolare. L’anatomia del cuore era trattata, con una precisione superiore a quella aristotelica, nell’opera siciliana Sul Cuore, la cui conoscenza da parte di Aristotele è però dubbia.
Senz’altro più importanti furono i prestiti di Aristotele dalle opere “ginecologiche” del Corpus, che risentono sia dell’influenza ippocratica che cnidia. La metodica di osservazione embriologica, che da prove brillanti nella Historia animalium, viene per esempio suggerita dal De genitura.
Qualcuna delle informazioni di carattere patologico offerte dalla medicina, inoltre, poteva interessare anche il biologo: così ad esempio la discussione sugli umori ed in particolare sulla bile, per la quale Aristotele si riferisce al trattato sui Luoghi nell’Uomo.
Nel complesso, però, il maturo atteggiamento di Aristotele nei confronti della medicina è fortemente condizionato dalla netta distinzione di livelli che egli fu il primo ad operare tra questa scienza e la biologia. Nel momento in cui istituisce la biologia e la zoologia generale come scienze autonome, e le accoglie a far parte della sua enciclopedia del sapere naturalistico, Aristotele declassa la medicina a tecnica applicativa e subordinata.
A riguardo, il medico peripatetico Diocle di Caristo, accettò il declassamento aristotelico del livello teorico della medicina e chiese a quest’ultima di abdicare riguardo alla ricerca delle “cause” a favore della zona assegnata da Aristotele alla biologia.
L’esperienza degli allevatori, dei pescatori e dei cacciatori: Nella Historia animaliuml’atteggiamento di Aristotele è aperto (molto di più che in età matura) nei confronti delle “tecniche”, e ciò gli permette di attingere pienamente non solo al patrimonio di sapere della medicina, ma anche a quello accumulato da tecniche non scritte, quali zootecnia e agricoltura. Il ricorso a questa terza fonte di conoscenze naturalistiche, prevalentemente empiriche, è forse ancor più importante, ai fini della costituzione della zoologia come scienza, di quanto non lo siano gli elementi derivati dalla physiologia e dalla medicina.
La conoscenza delle 500 specie animali che Aristotele menziona, e in particolare del gran numero di animali marini e di uccelli accuratamente descritti, non sarebbe potuta venirgli se non dai pescatori e dai cacciatori dell’arcipelago ionico e dell’entroterra greco, specie macedone. Ciò vale sia per quanto riguarda la morfologia di questi animali sia, soprattutto, per i loro comportamenti più tipici (migrazioni, ibernazione, costumi sessuali).
I ragguagli aristotelici sull’anatomia degli organi interni, così dei quadrupedi come dei pesci, dei crostacei e dei molluschi, presumono senza dubbio l’esperienza del macellaio e del pescivendolo: non a caso la grandissima parte degli animali la cui anatomia è nota ad Aristotele sono commestibili, dal bue al riccio di mare; alcune delle eccezioni, del resto, riguardano animali usati nelle tecnologie di trasformazione, ad esempio la porpora per la fabbricazione dei colori e la larva impiegata per la filatura della seta.
Dagli allevatori di bestiame venivano senza dubbio le ricche informazioni di cui Aristotele dispone circa la crescita degli animali, la dentizione, l’alimentazione, le epoche e i modi di accoppiamento e di parto, le malattie più diffuse, ecc.; dai pescatori gli venivano le notizie relative per esempio alla presenza dei vari sensi nei pesci e negli altri animali marini, oltre ad una profonda conoscenza del loro habitat e dei loro modi di riproduzione.
Lo stesso discorso vale per l’entomologia: quanto Aristotele scrive sugli insetti, sulla metamorfosi della larva, sui costumi delle api, sulla caprificazione e così via, gli viene senza dubbio dalla conoscenza pratica che gli agricoltori greci dovevano possedere intorno agli insetti nocivi ed il loro lavoro.
L’osservazione diretta e l’organizzazione della ricerca: in questo modo si può inquadrare storicamente la personalità di Aristotele, e il biologo assume le giuste dimensioni, sia come osservatore sia come direttore di ricerche e teorico della scienza. Leones, per esempio gli attribuisce la sezione diretta di circa 50 specie di animali, dal riccio di mare all’elefante, e dal feto umano di 40 giorni, nonché la vivisezione del camaleonte e di qualche insetto. Questa valutazione sembra eccessiva e sproporzionata sia alle effettive possibilità di ricerca di Aristotele negli anni di Asso e Mitilene (in cui egli raccolse la gran parte delle sue informazioni zoologiche), sia al suo stile di lavoro, dove la parola scritta e parlata predomina di molto sulla vista e sul tatto. Certo però, Aristotele osservò di persona molti animali sezionati, e compì egli stesso non poche dissezioni sia su piccoli animali marini sia, molto probabilmente, su qualche quadrupede e anche sul feto umano abortito o sul cadavere di neonati. Sempre nel campo dell’osservazione diretta, uno dei maggiori meriti di Aristotele resta il paziente ed accuratissimo studio condotto sullo sviluppo dell’uovo e dell’embrione del pollo.
A partire dalla collaborazione con Teofrasto, nell’epoca dei soggiorni ad Asso e Mitilene, fino al ritorno ad Atene ed alla fondazione del Liceo, avendo chiara l’idea della vastità delle ricerche, egli riservò a sé il lavoro di organizzazione e interpretazione delle materie, affidando ad altri il compito di raccogliere informazioni, di intervistare gli “esperti”, di reperire ed esaminare sia gli esemplari zoologici che i testi di biologia, di cui ebbe conoscenza vastissima. Varie discrepanze nell’informazione, ad esempio nellaHistoria animalium, sono indici di questa pluralità di fonti di informazioni.
Per i suoi scopi di ricerca, Aristotele poté probabilmente valersi dell’aiuto organizzativo e finanziario di personaggi come Ermia, tiranno di Atarneo, ed i re macedoni Filippo e Alessandro; ma la tradizione ha senza dubbio esagerato il contributo di quest’ultimo alle ricerche aristoteliche.

Lo stile della biologia aristotelica (pag. 23)

Come avvertì Singer parecchi anni or sono, è difficile, per non dire impossibile, tentare di ricostruire da una esperienza scritta il metodo di lavoro scientifico che ha guidato la ricerca, le difficoltà incontrate, l’articolazione dell’indagine tra più ricercatori.
Per quanto riguarda lo stile descrittivo, la Historia non solo rappresenta un repertorio enciclopedico di osservazioni e notizie, ma possiede una propria struttura e una propria consapevolezza teorica, che è chiarita nell’introduzione a quest’opera. Egli rielabora a più riprese le osservazioni, le notizie, i dati raccolti, e una parte non indifferente della riflessione aristotelica è dedicata non tanto alla risoluzione dei problemi posti dalle diverse discipline, quanto proprio alla delimitazione delle discipline stesse e alla determinazione del tipo di indagine. Ciò porta inevitabilmente ad accavallamenti inconcepibili una volta che ogni campo di ricerca abbia conquistato una propria autonomia.
La biologia aristotelica, recuperata in Europa nella seconda metà del duecento, viene inserita nella costruzione di enciclopedismo sistematico che la scolastica aveva ereditato dalla tradizione dei commentatori neoplatonici ed arabi.
Può riuscire interessante a questo punto il confronto tra la nomenclatura zoologica aristotelica e quella linneana. La sistemazione di Linneo porta conseguentemente e coerentemente ad una normalizzazione della nomenclatura: il doppio nome serve ad inquadrare con rigore classificatorio la specie nel genere e ad apparentarla anche onomasticamente alle specie congeneri; il nome latino offre poi il rigore del simbolo, assicurando alla nomenclatura zoologica una fissità e una permanenza al riparo da ogni possibile fluttuazione delle lingue parlate. Nulla di questo si ha per la nomenclatura aristotelica. Il conio di una parola nuova è fatto estraneo alla sua riflessione biologica. La nomenclatura aristotelica riproduce la terminologia popolare: se quindi c’è sempre un nome per ogni specie (o anche più di un nome), non c’è sempre il nome che indichi i raggruppamenti di più specie. Quando la lingua gli offre il termine, Aristotele lo adopera; talvolta però egli giunge ad individuare una affinità tra specie cui dovrebbe corrispondere un gruppo intermedio (ordine, famiglia, ecc.), cui non corrisponde però alcun nome. Neppure in questo caso Aristotele inventa un nuovo termine, ma si limita ad osservare che il raggruppamento non ha un nome, è cioè “anonimo”. Una classificazione è sì ricavabile dai diversi passi dell’opera aristotelica, ma Aristotele non dedica espressamente alcuna parte delle sue opere alla sua esposizione sistematica. Nella Historia predominano, nei raggruppamenti aristotelici, considerazioni di ordine ecologico, nel De partibus punti di vista morfologici, nel De generatione infine criteri di tipo fisiologico (modi di riproduzione, temperatura corporea). Appare perciò che la classificazione rappresenta sempre un momento strumentale della ricerca e mai un vero e proprio oggetto di riflessione in sé e per sé.

 

Continuità e variazioni tematiche nelle opere biologiche di Aristotele (pag. 30)

Non c’è probabilmente opera più empirica della giovanile Historia; al tempo stesso, essa adotta largamente il metodo della diairesi (o divisione dicotomica), che era il procedimento scientifico per eccellenza del tardo Platone e dell’Accademia. Tale metodo viene radicalmente rifiutato nel maturo De partibus.
Dal punto di vista fisiologico, la supremazia del cuore risulta attenuata dall’introduzione di un nuovo principio, il “pneuma innato” (lo spiritus medievale), che si affianca al cuore stesso ed al calore che vi ha sede assumendo un ruolo via via più importante nel quadro dei processi organici. La questione del pneuma innato rappresenta un altro dei maggiori nuclei problematici della biologia di Aristotele. NellaHistoria animalium e nel De partibus tale agente o componente organico, di cui non viene mai chiarito il rapporto con l’aria esterna immessa nella respirazione, appare svolgere funzioni marginali e sporadiche; nella prima opera essa ha il compito di favorire l’eiaculazione, “soffiando” fuori lo sperma; nella seconda è invocato per spiegare il raffreddamento organico, normalmente svolto dall’aria inspirata, in quegli animali come gli insetti che sono privi appunto di organi respiratori. Il pneuma o “soffio” innato sembra dunque qui più di un fossile di concezioni precedenti che il fulcro di una vera teoria scientifica. Ma è proprio la sua connessione con lo sperma da un lato, con la respirazione, il calore organico e il cuore dall’altro, a far si che il pneuma balzi in primo piano nella biologia aristotelica allorchè questo nodo di problemi viene affrontato direttamente. Così nel De generatione il pneuma svolge nel processo riproduttivo una funzione assolutamente decisiva: esso è quel componente dello sperma che trasmette la forma specifica da genitore a figlio. Nel De motu il pneuma viene invocato per spiegare il fenomeno della “auto-motilità” che è fondamentale in ogni organismo vivente; nel De respiratione questo “soffio” funge, si potrebbe dire, da principio di autoregolazione del calore corporeo e, tramite esso, dell’intero processo vitale.

L’eredità aristotelica nella biologia moderna (pag. 35)

Ben presto la ricerca biologica, resasi autonoma proprio con Aristotele, viene riassimilita alla scienza medica e ad essa di fatto subordinata. Tale subordinazione si trasmette, con la sistematica di Galeno, per gran parte del Medio Evo, e non è se non con la ripresa scientifica rinascimentale che la speculazione biologica aristotelica ritorna al centro dell’attenzione della scienza del tempo. Seppure infatti, le traduzioni latine di Michele Scoto e Guglielmo di Moerbeka segnano una ripresa di interessi biologici, come stanno peraltro a dimostrare le opere di Alberto Magno, il vero valore del pensiero aristotelico si rivela appieno agli studiosi che in Aristotele non cercano la conferma di un quadro sistematico e dogmatico, il conforto dell’osservazione specifica.
Fin dagli inizi della ripresa cinquecentesca si può con facilità notare quale diversa fortuna abbiano l’anatomo-fisiologia (nell’ambito della quale è l’embriologia il campo nel quale il ritorno ad Aristotele si rivela più fecondo) e la zoologia comparata. Bisogna attendere Linneo e Cuvier per avere una revisione globale della sistemazione della zoologia comparata aristotelica.
William Harvey non usa l’analisi aristotelica come autorità teorica né come curiosità antiquaria, ma cita Aristotele come diretto interlocutore scientifico, talora confermando le osservazioni fatte e avvalendosene, talora correggendole o contrastandole. Non è raro il caso che Harvey contrapponga Aristotele a Fabrizi di Aquapendente, trovando nell’antico una perizia di osservazione mancante al suo maestro. Diverso il caso della teoria cardiocentrica che ha per Harvey un’importanza che supera il limite della ricerca scientifica per diventare la conferma naturale dell’assolutismo monarchico di cui lo scienziato è fervente sostenitore.
Nella difesa della generazione spontanea l’autorità di Aristotele fu adoperata come contro la fisica galileiana, ma tale uso appare oggi manifestamente indebito. La generazione spontanea non era infatti sostenuta da Aristotele sulla base di principi teorici, ma accettata secondo le credenze e le possibilità di osservazione del suo tempo. Essa non rappresenta in nessun caso un elemento centrale della sua trattazione, né per sostenerla Aristotele spende molti argomenti, poiché manca ogni presupposto per una polemica al riguardo.
Tra i problemi posti da Aristotele di cui la biologica moderna al suo inizio si è rapidamente liberata si può ricordare la distinzione nell’uovo di una parte in cui consiste il vero e proprio embrione (l’albume) e una parte il nutrimento (il tuorlo). Questa distinzione, topica nella biologia antica, viene eliminata da Harvey con l’individuazione del blastoderma, così come Stensen, riconoscendo l’omologia anatomica degli apparati genitali maschile e femminile, sposta tutto il problema della fecondazione, da Aristotele spiegata come una cozione operata nell’utero dallo sperma del maschio sul flusso mestruale della femmina.
Il suo nome e il riferimento alle sue opere tendono a scomparire con il procedere dello sviluppo scientifico e con l’affermarsi del meccanicismo.
C’è traccia di evoluzionismo in Aristotele? Questo problema è stato posto da alcuni studiosi contemporanei. Se è facile escludere una vera e propria dottrina evoluzionistica in Aristotele, non sono tuttavia da tacere alcuni spunti dai quali non dovrebbe essere difficile ricavare suggestive indicazioni per il concetto di adattamento. Ora, se uno dei presupposti dell’adattamento, la diretta correlazione di struttura anatomica e funzionalità fisiologica, è, come si è visto, in Aristotele sempre presente, manca per contro il concetto di variazione, centrale nell’evoluzionismo.
Spesso si contrappone Aristotele alla scienza moderna per il suo finalismo. Va subito chiarito che detto finalismo è assai diverso da quello tradito dalla metafisica scolastica, che si ritrova invece significativamente nel digitus Dei harveyano.

Il senso della tematizzazione aristotelica in biologia (pag. 41)

Due problemi per i quali Aristotele può essere considerato un ottimo punto di riferimento sono: a) polemica tra concezione vitalistica e concezione meccanicistica e b) problemi dei rapporti tra la specie umana e le altre specie animali.
Può essere interessante una rapida considerazione di Aristotele che per primo impostò organicamente i problemi, pur se in un quadro d’insieme diverso e quindi in termini diversi. Soprattutto interessante può apparire il fatto che proprio grazie alla sua impostazione tematica, Aristotele presenta in nuce gli argomenti più consistenti a sostegno dell’una e dell’altra soluzione.
A proposito del rapporto tra vita e non vita, se da una parte egli parla di pneuma, cioè di una sorta di soffio vitale come condizione essenziale di ogni processo organico, dall’altra parte mostra chiaramente di riconoscere la causa della vita nella diversa forma (struttura) assunta dalla materia e non in una diversità di materia. Così l’anima, che contraddistingue ogni fenomeno vitale, tende a identificarsi con la forma, cioè con la struttura funzionale del corpo. Se questo secondo aspetto della riflessione aristotelica è rimasto per lo più in ombra, ciò è evidentemente dovuto alla tradizione vitalistica nella quale Aristotele fu inquadrato e che portò a valorizzare l’altro aspetto del suo pensiero.
Analogamente Aristotele, se non distingue in linea di principio tra animali e uomo, e si diffonde nella valutazione dei diversi caratteri degli animali, stabilisce tuttavia un brusco salto tra gli uni e l’altro secondo la discriminante della ragione (nous).

Nota Bibliografica (pag 47) 
1. Historia animalium
2. De partibus animalium
3. De incessu animalium
4. De generatione animalium
5. Parva Naturalia
6. De motu animalium

Altri testi, commenti e glossari utilizzati nel commento hanno come autori: a) Aristotele; b) i Presocratici; c) Il Corpus Hippocraticum; d) Platone; e) la critica.



La presente edizione 

  • A Mario Vegetti sono dovuti la traduzione ed il commento delle Ricerche sugli animali, della Parti degli animali e della Locomozione degli animali.

  • Diego Lanza ha tradotto e commentato la Riproduzione degli animali, le Brevi opere di psicologia e fisiologia; il Moto degli animali, ed ha inoltre elaborato la sinossi del trattato Sull’anima.

  • Il problema principale riferito della traduzione aristotelica è stato quella lessicale, legato all’impossibilità di costruire una corrispondenza biunivoca a livello della nomenclatura tra il linguaggio di Aristotele e un qualsiasi linguaggio filosofico-scientifico contemporaneo.

  • Data la perdita delle illustrazioni raccolte dallo stesso Aristotele si è cercato di riprodurre un’iconografia che potesse rispecchiare l’ideale aristotelico.


Elenco delle abbreviazioni usate nel commento (pag. 67)


Ricerche sugli animali (pag 71)

Historia Animalium 

A cura di Mario Vegetti

Introduzione


Le 
Ricerche sugli animali (la critica moderna si è ormai orientata verso questa traduzione della parola greca historia) costituiscono il più ampio dei trattati zoologici di Aristotele. Nella tradizione che ci è pervenuta, l’opera consta di 10 libri; ma nelle liste antiche delle opere di Aristotele il X libro è considerato come un’opera a sé stante dal titolo Sulla Sterilità, e non è difficile rilevarne il carattere non-aristotelico. Anche il libro IX viene ormai considerato come risultante da una compilazione post-aristotelica elaborata nell’ambito del Peripato. La presente traduzione comprende i primi otto libri delle Ricerche, mentre in appendice viene dato un riassunto degli ultimi due.
Il contenuto di questi otto libri copre l’intero arco del sapere zoologico aristotelico. L’opera è così strutturata; introduzione metodologica (libro I, capp. 1-6); anatomia generale delle parti degli animali (libro I, cap. 7 – libro IV, cap. 7); psicofisiologia della percezione, il sonno e la veglia (libro IV, capp. 8-10); comportamenti riproduttivi, genetica ed embriologia generale (libro IV, cap. II – libro VII); psicologia, ecologia e comportamenti animali (libro VIII).
Dai primi quattro libri derivano il de 
Partibus Animalium e, parzialmente, i Parva Naturalia, mentre il de Generatione Animalium dipende a sua volta dai libri V-VIII.
Quanto alla data dell’opera, la critica moderna concorda nel collocarla negli anni immediatamente successivi all’abbandono dell’Accademia platonica e di Atene da parte di Aristotele, cioè tra il 347 ed il 343 ac. Ciò significa che la 
Historia è la prima opera zoologica, ed anche la prima opera in tutta la storia della storia occidentale nella quale la zoologia abbia assunto un assetto scientifico.
La storia della scienza ha rifiutato la svalutazione da parte dello stesso Aristotele della 
Historia Animalium, che arrivò a considerarla una mera opera enciclopedica, a favore delle altre opere di biologia “teorica”. Già nel Peripato, poi nel mondo romano, con la Naturalis Historia di Plinio, e in quello medievale, con il De Animalibus, di Alberto Magno, la nostra opera godette di immenso prestigio. In pieno Rinascimento, dopo la traduzione umanistica di Gaza, Gesnerus ne fece la base della sua Historia Animalium (1551-1558) che segnava l’inizio della zoologia moderna; intorno agli stessi anni Giulio Cesare Scaligero ne redasse un ampio e fondamentale commentario.
Ma fu dalla fine del settecento alla metà dell’ottocento che la 
Historia conobbe il suo maggiore successo, non tanto tra i filologi quanto tra gli scienziati e gli storici della scienza. Del 1783 è la grande edizione parigina di Camus, che si ispirava a Buffon; del 1881 quella lipsiense di Schneider, che era dedicata a Cuvier. La riscoperta ottocentesca della zoologia aristotelica come ancora suscettibile di una diretta fruizione scientifica ricevette poi un impulso decisivo dalle ricerche del grande J. Muller (con la classica memoria Ueber den glatten Hai des Aristoteles all’Accademia di Berlino nel 1840), di L. Agassiz sul Parasilurus Aristotelis (1856) ed altri.
Durante la seconda metà dell’ottocento, il successo della 
Historia venne eclissato da quella del de Partibus. Da una parte il rapido progresso delle scienze biologiche rese la Historia sempre meno utilizzabile, e semmai gli indirizzi vitalistici alla Driesch e Uexkull preferirono orientarsi verso il de Partibus, altamente apprezzato, del resto, dallo stesso Darwin.

 

Origini e metodi della Zoologia Aristotelica nella Historia Animalium

I

Cronologia, Scopo e Struttura dell’Opera

I problemi della Historia Animalium (p. 77)


La 
Historia Animalium, fra le opere del corpus biologico aristotelico, è quella che ha goduto di una più larga fortuna a partire dalla scuola peripatetica fino alla metà del XIX secolo, cioè fino a quando il suo ricco contenuto scientifico ha potuto venire direttamente fruito dal sapere zoologico delle varie epoche. Dopo di allora, l’interesse si è spostato verso opere di più rilevante interesse teorico, come il de Partibus e il de Generatione.

Il problema della datazione dell’opera viene risolto come risalente tra il 347 ed il 343 ac, circa 15 anni prima del de Partibus e del de Generatione.
Il problema del perché di questa opera viene risolto nella seguente maniera dallo stesso autore: “lo studioso della natura deve, al modo stesso dei matematici nelle loro esposizioni sull’astronomia, osservare prima i fenomeni relativi agli animali e le parti di ognuno di essi, per poi spiegare il perché e le cause” (de Part., 639b 7-10).

La struttura dell’opera e il suo aspetto teorico (p. 84)


Ad un’introduzione del metodo (I, 1-6) fa seguito una 
parte prima di carattere anatomico, cui Aristotele si riferisce con l’espressione “le differenze delle parti”. Questa trattazione va da I, 7 a IV, 10, ed è pressoché integralmente ripresa nei libri II-IV del de Partibus. Gli ultimi due capitoli di questa parte (IV, 8-10), che Aristotele definisce “sulla percezione e sul sonno e sulla veglia”, sono ripresi nelle omonime operette dei Parva Naturalia.
La 
seconda parte, che tratta della riproduzione degli animali, è suddivisa in due sezioni: la prima è definita “sulla copulazione” e va da IV, II a V, 14; la seconda intitolata “sulla riproduzione” si estende da V, 15 alla fine del libro VII, e include un’ampia trattazione embriologica. Questa seconda parte è interamente rifusa da Aristotele nel de Generatione Animalium.
La 
terza parte, che tratta della di ecologia ed etologia animale, ed è preceduta da cenni generali di psicologia comparata e di ecologia (VIII, 1-2), si suddivide in quattro sezioni. La prima sezione costituisce la trattazione “sull’alimentazione” e va da VIII, 2 fino a VIII, 11. La seconda sezione tratta dei costumi e dei comportamenti degli animali, con speciale riferimento alle migrazioni ed occupa i capitoli 12-13 del libro VIII. La terza sezione, dedicata ai fenomeni dell’ibernazione e della muta, va dal VIII, 13 a VIII, 17. La quarta sezione, infine, che tratta della patologia animale, si estende fino alla fine del libro VIII.
Una constatazione, che emerge dal riconoscimento della struttura della 
Historia, è di grande importanza ai fini della comprensione della sua natura: il materiale scientifico vi è organizzato nello stesso modo che nel de Partibus e nel de Generatione, cioè non specie per specie ma da un punto di vista generale e comparativo, con la successiva trattazione delle “parti” (organi, apparati, sistemi) delle maggiori funzioni fisiologiche (percezione, riproduzione, alimentazione) e dei più significativi comportamenti animali (copulazione, nidificazione, migrazione, ibernazione, ecc.).
La Historia Animalium fu concepita e scritta da Aristotele, subito dopo la morte di Platone e l’abbandono dell’Accademia, come il suo grande trattato zoologico, parallelo e probabilmente concorrenziale agli 
Homoia di Speusippo (opera naturalistica di ispirazione accademica, purtroppo perduta).
Il declassamento che lo stesso Aristotele operò in seguito della Historia Animalium, riducendola a mera raccolta di dati in funzione delle altre opere biologiche, si può individuare in tali ragioni: a) definitivo rifiuto del metodo dicotomico, espresso nel libro I del 
de Partibus; b) sviluppo della teoria ontologica della ousia, elaborata nel libro VI della Metafisica; c) l’applicazione della teoria delle cause al mondo biologico, e il nascere di nuove e più rigorose esigenze epistemologiche a garanzia della teorizzazione scientifica, testimoniate dal libro I del de Partibus e dal de Generatione.

II

La Nascita della Zoologia nella Historia Animalium

1. Il problema delle fonti (p. 90)
 


La 
Historia Animalium segna, nella storia del pensiero scientifico, una data fondamentale, quella della nascita di una scienza fino allora affatto inesistente in quanto tale, la zoologia. E se questo è già un fatto straordinario, è forse ancora più degna di nota la considerazione che per circa venti secoli dopo la comparsa della Historia, la zoologia non ha compiuto progressi rilevanti almeno quanto al suo contenuto scientifico. Ad essa fanno capo sia le compilazioni peripatetiche sia la Naturalis Historia di Plinio. È dalla Historia che deriva il sapere zoologico del medioevo sia arabo che cristiano, come testimoniano i commentari arabi e quello di Alberto Magno; e ancora nel cinquecento, da Fabrizio di Acquapendente a Gesnerus, ci si richiama a quest’opera come alla fonte principale di informazione sugli animali. Del resto, nell’età di Linneo, lo stesso Buffon poteva scrivere che la “Historia Animalium di Aristotele è forse ancor oggi quanto abbiamo di meglio in questo genere…”.
Ma da dove arriva il sapere zoologico di Aristotele? In parte dalla esperienza personale e, come egli stesso ammette, per larga parte da tutto quanto la letteratura greca poteva offrirgli in proposito.

 

2. La scoperta del mondo delle technai (p. 92) 


In realtà, fu soprattutto una geniale intuizione che consentì ad Aristotele di creare la zoologia come scienza: l’intuizione che occorreva prestare orecchio e dare voce alle 
technai più umili e fino ad allora ignorate dalla scienza ufficiale – le tecniche dei pescatori, degli allevatori, dei cacciatori, delle levatrici, sulla scorta di quanto già Platone aveva fatto per una techne più illustre e accreditata, la medicina in dialoghi come il Carmide, il Fedro e il Timeo.
Un assiduo lavoro di interviste e di inchieste su questo vergine terreno di esperienza pratica consentì ad Aristotele di raccogliere non solo un’inesauribile messe di dati, ma anche quei linguaggi semi-specializzati, quei metodi osservativi ed euristici, attorno ai quali prese forma la 
Historia. Per poter compiere questo passo rivoluzionario Aristotele decise di riconoscere il possesso della empeiria(indispensabile alla scienza della natura) agli agricoltori, ai cacciatori, ai pescatori ed alle levatrici. Tutte le informazioni sono state manifestamente raccolte da Aristotele con la pratica delle interviste, e molte delle leggere contraddizioni si spiegano con l’inserimento di protocolli o “schede” ottenuti da fonti diverse e non accuratamente coordinati (come per esempio il comportamento sessuale della cagna).
La differenza di atteggiamento nei confronti dell’osservazione che intercorre tra la 
Historia e il de Partibus è ulteriormente evidenziata dalla questione del numero del ventricoli cardiaci. NellaHistoria “il cuore presenta sempre dei ventricoli; negli animali molto piccoli, tuttavia se ne vede a stento il maggiore, mentre in quelli di medie dimensioni è visibile anche il secondo, e nei più grandi tutti e tre” (513a, 27-30). Nel de Partibus: “Negli animali di grandi dimensioni il cuore ha 3 ventricoli, in quelli più piccoli 2, in ogni caso comunque almeno uno: si è già esposto per quale causa” (661b, 21-3).

3. Il mondo dell’inferenza semeiotica (p. 97)


Portando alla luce della scienza il patrimonio di sapere accumulato da lunghe generazioni di pescatori, contadini e allevatori, Aristotele non vi scopriva soltanto una inesauribile messe di osservazioni e preziose regole empiriche per il controllo delle osservazioni stesse. A quel sapere ineriva in effetti anche qualcosa di più importante, vale a dire un preciso metodo euristico, il metodo dell’inferenza semeiotica.
L’esplicita teorizzazione di tale metodo ci è nota solo attraverso le opere della medicina ippocratica del V secolo e la parallela riflessione anassagorea: esso consisteva nello scoprire il valore di indizio (
tekmerion), di sintomo (semeion), insomma la funzione semeiotica dei singoli dati di esperienza per trarne inferenze (tekmairesthai) sia sui dati ancora ignoti apparenti al medesimo sistema, sia sulla totalità del sistema stesso, sia, infine, sui suoi sviluppi dinamici (il momento “prognostico” o previsionale).
Il metodo semeiotico era divenuto il principale strumento euristico delle grandi 
technai del V secolo ac, la medicina, la meteorologia, la storiografia, ed era riconosciuto come tale dalla riflessione filosofica che preparava e accompagnava quelle technai, da Alcmeone ad Anassagora, al primo Platone.
Ad esempio, la brillante discussione nella 
Historia del IV, 8, sulla presenza dei diversi sensi degli animali marini è interamente condotta trattando semeioticamente l’esperienza dei pescatori. Il fatto che i pesci dormano è così argomentato: “Se ne può trarre una prova (semeion) non dagli occhi, perché nessuno di questi possiede palpebre, bensì dalla loro immobilità. Ma i seguenti indizi meglio consentono di inferire il fatto che essi dormono” (537a, 3-13). Sullo stesso argomentato è assai interessante notare per contro l’argomentazione del posteriore de Somno, tutta deduttiva e “dialettica” (cfr. 454b, 23 segg.).
Un altro interessante esempio di discordanza tra il metodo semeiotico della 
Historia e la posteriore teorizzazione aristotelica (nel de Partibus) è data dalla questione della longevità dei cervi. NellaHistoria: “quanto alla vita del cervo, si favoleggia che sia longevo, ma non vi è nulla di certo che confermi questa leggenda, e invero la gestazione e l’accrescimento dei cerbiatti hanno luogo in un modo che non è quello proprio di un animale longevo” (578b, 23-26). Nel de Partibus, invece, l’opinione degli antichi è accettata nel quadro di un rapporto “causale” fra l’assenza di bile e la longevità dei cervi (cfr. 677a. 30-32 e nota).
Molto interessante è notare la presenza nella Historia di alcune fra le rarissime considerazioni di tipo “statistico” in Aristotele. È pur vero che l’intera scienza della natura venne da lui considerata come la scienza di ciò che accade “per lo più”, e quindi basata sulla “frequenza” dei fenomeni e delle loro connessioni.
Importanti sono anche i prestiti di carattere linguistico dal mondo delle 
technai: lungi dal creare un vocabolario tecnico della zoologia, lo Stagirita adotta in larghissima misura la nomenclatura sia anatomica sia classificatoria dei pescatori, allevatori e così via.

III

Il metodo diairetico, il problema della sistematica e le origini dell’anatomia comparata 

1. Il metodo della divisione dicotomica (p. 102) 


Il senso della procedura diairetica si può così riassumere: definire una nozione (un'<>) significa scoprirne il significato e la struttura; a tal fine è necessario mettere in luce, analiticamente, la complessa rete di relazioni ontologiche e noetiche (esprimibili in rapporti di inclusione o di esclusione in classi più ampie) che costituiscono la nozione stessa, e determinarne l’esatta collocazione nel contesto di tali relazioni.
La diairesi parte perciò da un campo ideale-concettuale assai ampio (cioè il “genere”, per esempio “animale”) di cui è intuitivamente noto che include la nozione cercata (cioè la specie-idea, per esempio “uomo”). Tale campo va suddiviso ad ogni passo in due sezioni equidistese (“dicotomia”) mediante l’impiego di una differenza (
diaphorà, per esempio quella ecologica che divide gli animali in terrestri ed acquatici). Sempre ad ogni passo, si compirà un’operazione di differenziazione della nozione cercata dalla sezione in cui essa non è inclusa, e di identificazione con quella in cui è inclusa. Alla fine l’ultima differenza ci permetterà di identificare la nozione cercata con altra ad esse simili (per esempio differenza “bipede” identificherà l’uomo differenziandolo dagli animali terrestri quadrupedi).
A livello ideale-noetico, la dicotomia ha anche un’importante funzione euristica. Ad esempio, analizzando la struttura ed il contesto concettuale della nozione “cavallo”, essa costruisce un modello che può servire come uno strumento di interpretazione e di organizzazione del mondo naturale, nella misura in cui – misura che la dicotomia non può determinare, che spetta semmai alle singole scienze – i singoli concreti cavalli si rivelino via via rapportabili a quel modello.
Fu probabilmente Speusippo, nei suoi 
Homoia, a tentare di trasformare la dicotomia in ordinamento sistematico naturale; con ciò egli sostituiva alla rifiutata ontologia noetico-ideale di Platone, una sorta di metafisica del metodo dicotomico che, come vedremo, Aristotele avrebbe duramente combattuto nel de Partibus.
Quanto ad Aristotele, nel periodo accademico egli differenzia con precisione il suo atteggiamento nei riguardi della dicotomia. In questo strumento logico generale, la dicotomia è nettamente rifiutata a vantaggio della nuova teoria sillogistico-dimostrativa che egli andava sviluppando (An. Pr. I, 31; An. Post., II, 5). In quanto, invece, strumento di organizzazione e di interpretazione del mondo naturale, privo di implicazioni ontologiche o metafisiche, la dicotomia è riconosciuta come strumento valido ed efficace. Date queste premesse, nulla di più naturale che lo schema di ordinamento del sapere zoologico prescelto da Aristotele nella 
Historia Animalium fosse proprio quello diairetico; del resto lo Stagirita aveva forse presente un grande esempio di applicazione naturalistica di questo schema, e cioè gli Homoia di Speusippo.
Tutto il capitolo iniziale della 
Historia è destinato ad una tematizzazione delle differenze dicotomiche che possono valere da punti di vista per l’organizzazione del mondo animale; l’impiego di tali differenze è esemplificato in una serie di grandi abbozzi diairetici distinti ma complementari per la loro efficacia ordinativa-euristica. Il maggiore di questi abbozzi si può così schematizzare.

Animali:

  • Acquatici

1) Respirazione branchiale
2) Nessuna respirazione
3) Respirazione polmonare

  • Animali acquatici a respirazione polmonare

1) Dotati di piedi
2) Dotati di ali
3) Apodi 


È interessante notare che proprio questo tipo di dicotomie, che spezzano artificialmente i generi naturali e impiegano differenze non omogenee viene violentemente confutato nei capitoli 2-4 del I libro del 
de Partibus.

2. Dicotomia e sistematica nella Historia Animalium (p. 106) 


Accanto alle dicotomie sono presenti numerosi elementi che possono essere interpretati come l’abbozzo di una “sistematica naturale”. Un esempio: “Una parte degli animali può essere suddivisa nei seguenti generi principali: uno è quello degli uccelli, uno quello dei pesci, un altro dei cetacei. Tutti questi poi sono sanguigni. Un altro genere è quello dei gasteropodi che sono chiamati ostriche; un altro ancora è quello dei crostacei … un altro è quello dei cefalopodi, come calamari piccoli e grandi e seppie…”.
La lettura di questi passi impone una prima considerazione, cioè la presenza di un rapporto strettissimo tra l’esistenza dei generi e delle specie e la disponibilità di nomi comuni per i diversi gruppi di animali.
Una seconda ed importante ordine di considerazioni riguarda le due sole chiavi <> che Aristotele possiede, 
genos (genere) e eidos (specie). In Aristotele il genere non ha mai consistenza ontologica, derivando esso dalla specie per via astrattiva o analogica. La specie, invece, nel de Partibus, ha un ruolo centrale nell’ontologia e nell’epistemologia aristotelica: da un punto di vista ontologico, essa è identificata con la ousia, cioè l’essenza delle cose stesse che popolano il mondo e sono l’oggetto della scienza (643a, 24); da un punto di vista epistemologico, la specie è riconosciuta come l’estremo livello di individualità e di particolarità su cui può far presa il discorso scientifico, dalla cui sfera sono sottratti i singoli individui empirici (639a, 15-18). Da tutto ciò risulta che l’eidos-ousia è l’irriducibile nucleo ontologico della realtà, non ulteriormente divisibile (atomon, 643a, 2). Ora, nessua di queste connotazioni ontologiche ed epistemologiche è riferita alla specie nella Historia Animalium. Nel passo sopra citato esistono specie che ammettono differenze e non sono quindi indivisibili. Il termine in questo caso ha un valore neutro di “gruppo”.
Ciò conferma la profonda differenza tassonomica che intercorre tra la 
Historia e il de Partibus. Si può concludere che nella Historiagenos ed eidos non sono vere chiavi tassonomiche, ma indicano semplicemente livelli di organizzazione e di raggruppamento degli animali che possono essere variati con estrema elasticità e tendono ad essere interscambiabili tra loro.

3. Dalla dicotomia all’anatomo-fisiologia comparata (p. 113)


Il capitolo di apertura della 
Historia Animalium imposta con estrema chiarezza il problema dicotomico della identità (homoiothes) e della differenza (diaphorà) tra gli animali e le loro parti, ed analizza i possibili livelli di tali identità e differenze.
Entrambi questi operatori agiscono dal canto loro a tre livelli: a) quello fra individui, all’interno della specie-forma 
(eidos), b) quello tra specie, all’interno del genere (il livello del “più o meno”, cioè delle differenze quantitative), c) quello tra generi, all’interno del mondo animale (il livello dell’analogia).
Ma Aristotele non si limita nella 
Historia ad applicare meccanicamente il metodo della similarità e delle differenze. Il campo delle technai e gli sviluppi prettamente scientifici si intrecciano a questo aspetto quasi prettamente filosofico: esemplare in questo senso è, nella discussione della dicotomia tra animali acquatici e terrestri, il caso di animali che, come i cetacei, si sovrappongono ad entrambi i campi. Ad esempio, il delfino è animale terrestre quanto alla respirazione e marino quanto all’habitat. Osserva Aristotele: “porre gli stessi animali in entrambe le divisioni sarebbe assurdo, perché esse sono reciprocamente opposte. Sembra però che la definizione di <> vada ulteriormente precisata”. Questa precisazione è realizzata su basi anatomo-fisiologiche: vengono distinti gli animali dotati di branchie da quelli provvisti di sfiatatoio. A questo punto il raggruppamento di partenza viene spezzato ed è sostituito da un nuovo schema dicotomico. La diaphorà dicotomica opera quindi, ormai, a tre livelli diversi: quello della fisiologia della respirazione, quello ecologico e quello anatomo-genetico. Ma un quarto livello, quello etologico, è immediatamente aggiunto da Aristotele.
Il metodo dicotomico verrà interamente rifiutato nel 
de Partibus sulla base di una serie di considerazioni ontologiche ed epistemologiche che sono del tutto nuovo rispetto al quadro teorico della Historia. Il rifiuto della dicotomia comportava per Aristotele il declassamento della Historia a mera raccolta di fatti.

IV

La Scienza della Historia Animalium (pag. 120) 

Come detto, la Historia Animalium costituisce la fonte di gran parte del sapere zoologico di Aristotele, che dopo di essa non condusse più estensive ricerche in questo campo e si dedicò piuttosto ad elaborare il materiale entro nuove strutture teoriche. Lo stesso punto di vista comparativo, sviluppato nel de Partibus, è già largamente acquisito nella Historia. Conviene rinviare, per una trattazione più analitica, ai trattati che rielaborano i diversi settori del sapere, e cioè al de Partibus per l’anatomo-fisiologia comparata, al de Generatione per l’embriologia e la genetica, ai Parva Naturalia per la psico-fisiologia.
Ecco i lineamenti per sommi capi della zoologia della 
Historia: 1) le specie animali citate sono circa 450; 2) i cetacei sono collocati tra i mammiferi (un problema che si rivelò di difficile soluzione per lo stesso Linneo); 3) i pesci vengono classificati in ossei e cartilaginei; 4) dal punto di vista anatomico è interessante notare come l’opera non prende esplicitamente posizione contro l’assegnazione al cervello di un ruolo percettivo centrale (in questo senso la Historia appare più vicina al Timeoplatonico che al posteriore de Partibus); 5) a proposito del cuore, v’è un’altra dottrina assai interessante, destinata a cadere nel de Partibus: nella Historia è chiaramente descritta la connessione di quest’organo con i polmoni, ed è formulata l’intuizione di uno scambio di tipo osmotico fra i dotti bronchiali e i vasi polmonari, che consente il passaggio del <> al cuore (496a, 27-30); 6) lo sviluppo embrionale, a partire dall’uovo, viene distinto dalla metamorfosi, a partire dalla larva; 7) Aristotele crede nella generazione spontanea della maggior parte degli insetti, ma ciò non gli impedisce di rilevare esattamente gli stadi metamorfici di larva, pupa, crisalide e immagine. Va notato che Aristotele perviene ad un risultato così eccezionale, rispetto alla biologia antica, mettendo in opera le metodiche di osservazione proposte dal trattato ippocratico Perì Gones. 8) Nel campo dell’ecologia, Aristotele studia attentamente il comportamento migratorio dei pesci e degli uccelli (VIII, 12-13), ed evidenzia il fenomeno dell’ibernazione come caratteristica generale del comportamento animale (VIII, 13-17); 9) sistematicamente studiato è anche il comportamento sessuale degli animali (libro V). 10) Il capitolo I del libro VIII costituisce un potente abbozzo di psicologia comparata.
La ricchezza del patrimonio scientifico della 
Historia può essere confermata da un’ultima osservazione: essa è la prima opera naturalistica dell’antichità, stando a quanto sappiamo, che sia stata corredata da un atlante di tavole illustrate, purtroppo perduto: si tratta delle Anatomai, cui il testo fa spesso riferimento e che dovevano rappresentare un importante sussidio didattico per i corsi zoologici di Aristotele.

V

I problemi del Testo (pag. 124) 

L’opera fu declassata dal suo autore. Successivamente l’opera si trasformò rapidamente in un libro aperto, nel quale gli eredi di Aristotele incorporavano senza scrupoli le notizie addizionali, i commenti, le glosse ritenute opportune; così il testo tradito appare spesso una inestricabile selva di aggiunte e interpolazioni via via concresciute sul tronco aristotelico.
Per quanto riguarda la 
Naturalis Historia di Plinio, essa non dipende, come ha dimostrato Kroll dalla Historia, ma dalla sua epitome ellenistica, che incorpora anche – e soprattutto – le notizie più o meno favolose sugli animali raccolte dai peripatetici, da Antigono di Caristo e così via.
Più importante, comunque, è la questione della autenticità che si pone per tre libri interi della
Historia, il VII, il IX e il X. Il problema del libro VII è forse il più grave. Esso presenta due caratteri peculiari: a) tratta prevalentemente di medicina umana, il che è difforme dal punto di vista zoologico generale normale in Aristotele, e mostra larghi prestiti del linguaggio e dalla dottrina delCorpus Hippocraticum; b) nei migliori manoscritti della Historia esso non compare nella posizione attuale, che è dovuta alla traduzione quattrocentesca di Gaza, ma fra il libro IX e X, entrambi, quasi certamente spuri. Su queste basi, Aubert e Wimmer ne hanno per primi negata l’autenticità. La loro tesi è stata ripresa da Dittmeyer, che, pur riconoscendo che il libro non contiene cose indegne di Aristotele, lo ritiene composto “a medico vel iatrosophista” non “ita facundus” quanto Aristotele. L’inautenticità del libro VII è stata recentemente sostenuta da studiosi autorevoli come Regenbogen e During, che sembrano aver chiuso la questione, senza tuttavia addurre alcun argomento nuovo rispetto a quelli di Aubert e Wimmer. Contro questa tesi, tuttavia, e a favore dell’ordinamento formato da Gaza, stanno innanzitutto le parole di Aristotele. Iniziando la trattazione sulla riproduzione (V, 1) egli scrive che dell’uomo “è opportuno parlare per ultimo, perché esso richiede la trattazione più ampia. Occorre incominciare dai gasteropodi, per poi passare ai crostacei e via via agli altri generi nello stesso ordine, cioè ai cefalopodi e agli insetti: dopo di questi vengono il genere dei pesci, sia vivipari che ovipari, poi quello degli uccelli; infine si dovrà trattare degli animali terrestri, tanto di quelli ovipari quanto di quelli vivipari”. Al capitolo VI, 18: “Occorre ora esporre, nello stesso modo, i fatti relativi agli altri animali terrestri che sono vivipari e all’uomo”. I sostenitori dell’atetesi del libro VII affermano che la sezione sull’uomo non è invece stata svolta nella Historia,bensì nel de Generatione Animalium, e che il libro è stato aggiunto più tardi per colmare la lacuna nel testo della Historia. Il Vegetti, nella presente trattazione, sulla base di diverse considerazioni, decide di mantenere il libro VII al suo posto nella Historia.
Assai diverso è il caso dei libri IX e X. Il IX è un’accozzaglia abbastanza informe di notizie sui costumi degli animali che fanno dubitare sulla sua autenticità. Ancora più semplice è il caso del libro X. Già nella lista di Diogene Laerzio esso compare come opera a sé, intitolata 
Sulla sterilità. Sia del libro IX che X, tuttavia, viene dato un sommario orientativo posto in appendice alla traduzione degli otto libri della Historia.


(Riassunto di Concetto De Luca sul testo di Mario Vegetti, 06/9/2012) 

Avvertenza: il riassunto presenta estratti delle opere aristoteliche riguardanti, in maniera pressoché esclusiva, l’uomo.


Historia Animalium 

Libro I (pag. 129) 
*(in azzurro annotazioni del traduttore e/o del commentatore) 


1. 486a;
*Dopo una breve introduzione in cui definisce i caratteri di termini come “composizione”, “identicità”, “diversità”, “analogia”, e “differenziazione”, Aristotele abbozza un quadro generale delle chiavi dicotomiche disponibili per l’impianto generale dell’opera.
Gli animali si possono differenziare secondo il modo di vita, le attività, il carattere e le parti.
Alcuni animali sono acquatici, altri terrestri. Gli animali acquatici si dividono in due gruppi: quelli di un gruppo trascorrono la loro vita nell’acqua e vi si nutrono, immettono ed emettono l’acqua, e non possono sopravvivere se ne sono privati, com’è il caso della maggior parte dei pesci; quelli dell’altro gruppo si nutrono e vivono in ambiente acquatico, però non immettono l’acqua ma l’aria e si riproducono fuori dall’acqua. Certi animali, benché non possono vivere fuori dall’ambiente acquatico, tuttavia non immettono né aria né acqua. Gli animali acquatici sono poi marini, fluviali, lacustri o palustri.
Fra gli animali terrestri, gli uni immettono e emettono l’aria, come l’uomo e tutti quanti i terrestri che possiedono polmone; gli altri non immettono aria, ma vivono in ambiente terrestre e ne traggono cibo, come gli insetti.
Certi animali dapprima vivono nell’acqua, poi mutano forma e vivono fuori di essa. Vi sono animali che possono sia stare attaccati sia distaccarsi, come un certo genere delle attinie, che si staccano di notte per cercare cibo, mentre alcuni animali immobili possono vivere nell’acqua.
Fra gli animali terrestri, alcuni sono alati, altri si muovono sul suolo. Fra questi taluni camminano mentre altri strisciano ed altri ancora si muovono per contrazioni (Aristotele pensa ai vermi e alle sanguisughe). Vi sono anche certi uccelli con i piedi deboli, che perciò vengono chiamati “apodi”.
Vi sono inoltre delle differenze relative ai modi di vita e alle attività degli animali. Alcuni di essi vivono in società, altri sono solitari (possono essere terrestri o volatili o acquatici) e altri possono vivere in entrambi i modi. Sono collettivisti quegli animali che si adoperano tutti per un fino unico e comune. Fra questi alcuni si sottomettono a un capo, altri non hanno capi. Inoltre, sia fra gli animali sociali sia fra quelli solitari, alcuni sono sedentari, altri nomadi.
Alcuni sono carnivori, altri erbivori, altri onnivori, alcuni sono cacciatori, altri accumulano cibo, altri ancora no.
Alcuni vivono in abitazioni, altri no, ed alcuni vivono sottoterra.
Certi animali sono notturni, altri vivono alla luce del giorno.
Ancora, vi sono animali domestici e selvatici, mentre altri possono essere rapidamente addomesticati, e tutti quanti i generi che sono domestici sussistono anche allo stato selvatico.
Alcuni animali emettono suoni, altri sono afoni, altri ancora hanno una voce; fra questi alcuni possiedono un linguaggio, altri invece non lo articolano.
Vi sono gli animali aggressivi e quelli difensivi: sono aggressivi quelli che assalgono l’avversario o lo respingono quando sono attaccati: sono difensivi quanti hanno nel loro stesso corpo un mezzo di difesa che li protegge dalle offese.
Altre dicotomie vengono presentate in base a presunte caratteristiche etologiche (come tranquillità, intelligenza, coraggio, ecc.) e sulla capacità di partecipare della memoria e di apprendere; ma nessuno, tranne l’uomo, è in grado di effettuare il richiamo alla memoria. 
2. 
Sono comuni a tutti gli animali le parti con le quali viene ingerito il cibo e nelle quali esso viene accolto. Le parti in cui viene ingerito il cibo si chiama bocca, quello in cui viene accolto, stomaco; il resto assume molte denominazioni diverse. La vescica è la parte atta ad accogliere il residuo liquido, come lo stomaco il residuo solido.
3. 
Gli animali che emettono sperma nel proprio corpo si chiamano “femmina”, mentre, chi lo emette nel corpo della femmina, “maschio”.
Vi è soltanto un senso, il tatto, che sia comune a tutti gli animali.
4. 
Ogni animale possiede anche un fluido, la cui privazione gli è fatale. C’è poi un’altra parte, quella in cui il fluido si trova. Si tratta, in alcuni del sangue e della vena, in altri di parti analoghe a queste (ma in tal caso esse sono imperfette, come la fibra e il siero). Gli animali non sanguigni, come l’ape e la vespa e, tra gli animali marini, la seppia e l’aragosta, possiedono più di quattro piedi. 
5. 490a
Gli animali sono poi vivipari, ovipari o larvipari.
Larvipari sono gli insetti, di cui Aristotele non conosceva l’uovo per la sua estrema piccolezza 
Alcuni animali hanno piedi, altri ne sono privi; di quelli con i piedi alcuni sono bipedi, altri quadrupedi, altri ne hanno maggior numero (sempre però i piedi sono in numero pari). Fra gli animali che nuotano e sono privi di piedi, alcuni hanno pinne (due o quattro) ed altri non possiedono pinne. Quegli animali marini che sembrano provvisti di piedi, come i cefalopodi, si servono per nuotare sia di questi che delle pinne, e si muovono più rapidamente nel senso del tronco.
Dei volatili, alcuni hanno ali formate da penne, altri da una membrana, altri ancora di pelle. Tutti i volatili sanguigni hanno ali formati da penne o pelle, quelli non sanguigni hanno ali membranose. Gli animali con ali di penne o di pelle sono tutti bipedi o apodi. Il genere con ali formate di penne viene chiamato “uccelli”, mentre gli altri due non hanno denominazioni particolari. Fra i volatili non sanguigni, alcuni sono coleotteri (le loro ali sono racchiuse in un’elitra), mentre altri sono privi di elitra (questi hanno due o quattro ali). Nessun coleottero possiede aculeo. I ditteri hanno l’aculeo sito frontalmente.
I maggiori fra gli animali non sanguigni vivono nelle regioni più calde, e in ambiente marino piuttosto che in terra o in acque dolci.
Tutti gli animali che si muovono dispongono di quattro o più organi di locomozione. Gli animali sanguigni ne hanno soltanto quattro: così ad esempio l’uomo ha due mani e due piedi, l’uccello due ali e due piedi, i quadrupedi e i pesci, rispettivamente, quattro piedi e quattro pinne.
6. 491a
In questo capitolo Aristotele suddivide una parte degli animali in generi principali: uccelli, pesci , cetacei, gasteropodi, crostacei, cefalopodi, insetti, e presenta una serie di caratteristiche (riproduttive, di rivestimento del corpo, ecc.) dei vari generi. Inoltre, descrive anche il caso (unico) degli equidi.
7. 491b
Le parti principali in cui si suddivide l’insieme del corpo(che Aristotele nel capitolo precedente riferisce di ricavare dall’anatomia umana) sono la testa, il collo, il tronco (la parte che va dal collo agli organi genitali), le due braccia e le due gambe.
Quanto alle parti della testa, quella ricoperta di capelli si chiama cranio. Parti di quest’ultimo sono, frontalmente, il bregma (fontanella anteriore che Aristotele considera un osso a sé stante. Confrontare con l’ippocratico Ferite nella testa), che si forma dopo la nascita e, posteriormente, l’osso occipitale. Fra l’occipite e il bregma si trova l’apice del cranio. Sotto il bregma, poi, è sito il cervello; la zona occipitale è vuota. Il cranio è nel suo insieme un osso poroso, sferico e rivestito di pelle, ma privo di carne. Esso presenta suture: le donne ne hanno una sola, circolare, gli uomini in generale tre, che si riuniscono in un punto.
8. 
La parte sottostante del cranio è denominata “viso” solo nel caso dell’uomo. La parte del viso che sta sotto il bregma e tra gli occhi è la fronte. Chi ha fronte ampia è piuttosto lento, che l’ha piccola è rapido; chi ha fronte larga è eccitabile, chi l’ha prominente è collerico (accenni di ricerche fisiognomiche, forse estratte da qualche trattato in proposito).
9. 
Sotto la fronte stanno le due sopraciglia. Sopracciglia diritte sono un segno di temperamento molle, se sono incurvate verso il naso indicano durezza, verso le tempie invece carattere ironico ed ambiguo.
Sotto le sopracciglia si trovano gli occhi, che per natura sono due. Parti di ognuno di essi sono la palpebra superiore e quella inferiore. I peli che si trovano alle estremità di queste sono le ciglia. All’interno dell’occhio vi è una parte fluida con la quale si effettua la visione, la pupilla, un’altra che la circonda, il “nero”, e, all’esterno di questo, il “bianco”. I punti in cui si congiungono le palpebre formano due angoli, uno in corrispondenza del naso, l’altro delle tempie. Quando essi sono allungati, è segno di cattivo carattere; se la parte prossima alle narici è carnosa, come quella dei nibbi, ciò indica malvagità. 
10. 492a
Il bianco dell’occhio è simile – per lo più – in tutti i casi, mentre il cosiddetto “nero” si differenzia (nero, azzurro, grigio, verde, ecc.). il verde dorato come quello delle capre è segno di ottimo carattere ed è il migliore per quanto riguarda l’acutezza della vista. Fra tutti gli animali, è solo nell’uomo, o soprattutto nell’uomo che varia il colore degli occhi; negli altri ve n’è di una sola specie (però certi cavalli presentano occhi azzurri).
Gli occhi possono essere grandi, piccoli o medi: questi ultimi sono i migliori. Possono anche essere molto sporgenti o incavati. Quelli più incavati hanno, in qualsiasi animale, la vista più acuta, mentre quelli intermedi sono segno di ottimo carattere. 
11. 492b; 493a
Un’altra parte della testa, con la quale si ode, ma che è priva di respiro, è l’orecchio (non dice il vero infatti Alcmeone quando afferma che le capre respirano con le orecchie).
Nel suo insieme, l’orecchio è composto di cartilagine e carne. Internamente ha una struttura paragonabile a quella delle conchiglie a spirale, mentre l’osso terminale è simile all’orecchio stesso: a questo osso, quasi fosse il termine di un vaso, perviene il suono.
Non v’è condotto che vada da esso al cervello, bensì al palato; e dal cervello si diparte una vena che lo raggiunge. Anche gli occhi sono collegati al cervello, ed entrambi stanno all’estremità di una piccola vena (il poros che va dall’orecchio al palato è la tuba di Eustachio, che fu riscoperta nel XVI secolo. Aristotele non nega qui la connessione degli organi di senso con il cervello).
Soltanto l’uomo, fra tutti gli animali che possiedono questa parte, non può muovere l’orecchio.
La parte che giace tra occhio, orecchio e apice è detta tempia.
Vi è poi una parte del viso che serve da passaggio del respiro, il naso. Tramite questo vengono effettuate l’inspirazione e l’espirazione, ed attraverso di esso passa lo sternuto, in cui il respiro viene emesso tutto insieme, e che rappresenta l’unico tipo di respiro dotato di valore divinatorio e sacro. Sia l’inspirazione sia l’espirazione continuano poi nel petto, ed è altrimenti impossibile inspirare ed espirare con le narici soltanto, giacché l’inspirazione e l’espirazione hanno luogo a partire dal petto e lungo la gola: del resto è possibile vivere anche facendo a meno del naso. Attraverso questa parte ha luogo anche l’olfatto, che è la percezione degli odori. Le narici si constano di un setto cartilaginoso e di un canale vuoto: sono infatti bipartite.
Vi sono inoltre due mascelle: la loro parte anteriore è il mento, quella posteriore il zigomo. Tutti gli animali muovono la mascella inferiore, salvo il coccodrillo di fiume che muove soltanto quella superiore (va notato che Aristotele non distingue mascella da mandibola se non per la posizione – inferiore e superiore).
Dopo il naso vengono due labbra, formate di carne e di facile movimento. L’interno delle mascelle e delle labbra è la bocca. Ne sono parti il palato e la laringe.
La parte in grado di percepire i sapori è la lingua, ma la facoltà percettiva è sita alla sua estremità; questa è minore quando il percepibile è posto sulla parte larga della lingua. La lingua è composta di carne porosa e spugnosa. Una delle sue parti è l’epiglottide. La parte della bocca divisa in due da luogo alle tonsille. Quella divise in molte parti alle gengive. Queste sono carnose. Dentro vi sono i denti ossei. All’interno della bocca vi è un’altra parte a forma di grappolo d’uva (staphylè vale sia “uva” sia “ugola”);questa se si inumidisce e si infiamma, si ha la cosiddetta ugola che determina soffocamento.
12. 
Il collo è la parte intermedia tra il viso e il tronco. La sua parte cartilaginosa, posta anteriormente, attraverso la quale passano la voce e il respiro, è la trachea; la parte carnosa, invece è l’esofago, sito internamente davanti alla colonna vertebrale. La parte posteriore del collo è la nuca.
Nel tronco vi sono parti anteriori e posteriori. Per primo, dopo il collo, viene il petto, diviso in due mammelle. Entrambe presentano un capezzolo, attraverso il quale filtra il latte nelle femmine. 
13. 493b
Dopo il torace vengono, nella parte anteriore, il ventre e la sua radice, l’ombelico. Sotto questa radice vi sono una parte bilaterale, i fianchi, e una unitaria, che costituisce l’addome, la cui estremità è il pube. Sopra l’ombelico vi è l’ipocondrio; la parte cava comune all’ipocondrio e ai fianchi è la cavità intestinale.
Le parti posteriori sono contornate simmetricamente dal cinto pelvico. La parte destinata all’evacuazione comprende da un lato i glutei, che costituiscono una sorta di cuscino, dall’altra la cavità dell’acetabolo, nella quale si articola il femore.
Una parte propria della femmina è l’utero, e del maschio il pene. Questo è sito esternamente al termine del tronco e comprende due parti: l’estremità, carnosa, sempre liscia e di dimensioni costanti, che viene chiamata glande. Il resto del pene è cartilaginoso, accresce facilmente le proprie dimensioni, si protende e rientra in modo contrario a quello dei gatti. Sotto il pene si trovano due testicoli. Li avvolge della pelle che è chiamata scroto. I testicoli non sono identici alla carne ma neppure molto diversi da essa. 
14. 
L’organo genitale femminile è disposto in modo contrario a quello maschile: la parte inferiore della regione pubica, infatti, è cava e non prominente come quella del maschio. Vi è inoltre un’uretra all’esterno dell’utero, che serve da passaggio per lo sperma nel maschio, e da condotto per l’evacuazione del residuo fluido sia nella femmina che nel maschio.
La parte comune al collo e al petto è la gola; quella comune al fianco, braccia e spalla è l’ascella; alla coscia e all’addome, l’inguine; la parte all’interno delle cosce e dei glutei è il perineo; quella all’esterno delle cosce e dei glutei è la piega dei glutei.
La parte posteriore del tronco, corrispondente al petto è il dorso. 
15. 494a; 494b
Parti del dorso sono le due scapole e la colonna vertebrale. Più in basso, all’altezza del ventre, il cinto pelvico. La parte in comune alla zona superiore e a quella inferiore del tronco è costituita dalle costole, che sono 8 in ciascun lato. Circa quei Liguri che chiamano “sette costole”, non abbiamo finora udita alcuna informazione degna di fede. (Autori Vari osservano che senza il ricorso alla dissezione è comprensibile che siano sfuggite ad Aristotele la I, XI e XII costola; la II potrebbe essere stata confusa con la clavicola. Nulla si sa delle origini della leggenda relativa ai Liguri).
L’uomo presenta un “alto” e un “basso”, un “davanti” e un “dietro”, una “destra” e una “sinistra”. Quanto alla destra e alla sinistra, esse comprendono all’incirca le stesse parti e sono identiche in tutto, salvo che la sinistra è più debole.
Gli arti comprendono una parte bilaterale, il braccio. Parti del braccio sono la spalla, l’omero, il gomito, l’avambraccio, la mano. Parti della mano sono il palmo e cinque dita. La parte flessibile del dito è la nocca, quella non flessibile la falange. Il pollice presenta una sola articolazione, le altre dita due. La flessione sia del braccio sia delle dita ha luogo sempre verso l’interno. La parte interna della mano, il palmo, è carnosa e divisa da linee: i longevi hanno una o due linee che attraversano tutto, mentre chi ha vita breve presenta due linee che non traversano l’intero palmo. L’articolazione della mano con il braccio è il polso.
Gli arti comprendono un’altra parte bilaterale, la gamba. Della gamba fanno parte il femore, che ha due capi, un elemento di rotazione, la rotula e la parte inferiore, composta di due ossa, la cui faccia anteriore è lo stinco, quella posteriore il polpaccio, con carne ricca di vene e di tendini; l’estremità anteriore della gamba è la caviglia, che è duplice nei due arti (Aristotele si riferisce ai due malleoli). La parte della gamba composta di molte ossa è il piede. La parte posteriore di questo è il tallone, quella anteriore è divisa e consta di cinque dita, quella inferiore, carnosa, è la pianta, quella posteriore, sul dorso del piede è ricca di tendini.
Parti del dito sono l’unghia e l’articolazione. Chi ha la pianta del piede grossa e non incurvata, e cammina quindi su tutta la pianta, è astuto. Il punto comune al femore e alla tibia è il ginocchio, un’articolazione.
L’uomo più di ogni animale, ha le parti superiori e inferiori ben distinte e in armonia con i luoghi naturali: le prime e le seconde sono infatti disposte in corrispondenza con l’alto e il basso dell’universo (la posizione eretta dell’uomo è la sola corrispondente all’assetto aristotelico dell’universo in cui i luoghi naturali di terra e acqua sono verso il basso mentre aria e fuoco verso l’alto). Allo stesso modo anche il davanti e il dietro, la destra e la sinistra, sono disposti secondo natura.
Quanto ai sensi e ai loro organi – occhi, narici, lingua – essi sono rivolti in avanti; l’udito e il suo organo, le orecchie, sono bensì siti lateralmente, ma sulla stessa circonferenza sui cui giacciono gli occhi. Il senso più acuto che possiede l’uomo è il tatto, e per secondo viene il gusto; per gli altri sensi esso è superato da molti animali. 
16. 495b; 496a
Le parti interne, al contrario di quelle esterne, sono mal note nell’uomo, sicché occorre condurre indagini riferendosi alle parti degli altri animali che presentino struttura simile a quelle umane.
Iniziamo dunque dal cervello. Esso sta nella testa ed è disposto nella sua parte anteriore. A parità di dimensioni, l’uomo ha un cervello più grande e fluido degli altri animali. Lo avvolgono due membrane: più forte quella attorno all’osso, meno della prima quella attorno al cervello stesso (rispettivamente dura mater e pia mater, che Aristotele anche meninx). In tutti gli animali il cervello è bipartito. Alla sua estremità posteriore si trova il cosiddetto cervelletto, la cui forma risulta diversa sia al tatto sia alla vista. La parte posteriore della testa forma in tutti gli animali una cavità vuota, di grandezza proporzionale alle dimensioni di quella.
Il cervello è sempre privo di sangue, non presenta alcuna vena al suo interno, e risulta naturalmente freddo al tatto. Al centro di esso, si trova nella maggior parte dei casi una piccola cavità (uno dei ventricoli cerebrali).
La meninge che lo circonda è ricco di vene: questa meninge è una membrana di pelle che avvolge il cervello. Sopra il cervello vi è l’osso più sottile e debole della testa, che si chiama bregma.
Dall’occhio si dipartono tre condotti che vanno al cervello (si tratta dei nervi ottici scoperti da Alcmeone. Il passo è di eccezionale importanza perché riconosce questa connessione tra organi di senso e cervello, che sarà negata nel de Partibus Animalium. Benché nella Historia, Aristotele non prenda esplicitamente posizione, egli sembra qui accettare implicitamente la tesi encefalo centrica che era stata di Alcmeone, Ippocrate, Anassagora e Platone). Di questi, il maggiore e il medio giungono al cervelletto, il minore al cervello stesso (si tratta di quello più vicino al naso).
All’interno del collo vi sono il cosiddetto esofago, la cui altra denominazione è dovuta alla sua lunghezza e strettezza (il termine è stomachos, che sarebbe composto da stenòs, cioè stretto, e mekos, cioè lungo), e la trachea. La trachea è posta anteriormente all’esofago, è di natura cartilaginosa e povera di sangue, pur essendo ricoperta da molte sottili venuzze; la sua parte superiore si trova all’altezza della bocca, presso l’apertura che connette le narici alla bocca stessa. Tra le due aperture è posta la cosiddetta epiglottide, che è in grado di otturare l’orifizio della trachea rivolto verso la bocca. Ad essa è attaccata l’estremità della lingua. Dall’altro lato la trachea scende fino allo spazio fra le due parti del polmone; a partire da questo punto, essa si biforca e raggiunge entrambi le parti del polmone stesso.
In tutti gli animali che lo possiedono, il polmone tende, infatti, ad essere, bipartito. Il polmone umano, poi, non è molto suddiviso, come quello di molti vivipari, né è liscio, bensì presenta qualche asperità. Negli ovipari, invece, quali gli uccelli e quei quadrupedi che rientrano in questo gruppo, le due parti sono ben distanziate l’una dall’altra, sicchè sembra che essi abbiano due polmoni (Aristotele considera in effetti il polmone come un organo unico). Il polmone è attaccato anche alla grande vena e alla cosiddetta aorta. Quando la trachea si gonfia di aria, il respiro passa nelle parti cave del polmone. Queste presentano setti cartilaginosi appuntiti alle estremità; e a partire da questi vi sono alveoli che attraverso tutto il polmone, diventano sempre più piccoli.
Anche il cuore è attaccato alla trachea con legamenti grassi, cartilaginosi e fibrosi; nel punto di attacco si trova una cavità.
Questo è dunque l’assetto della trachea: essa si limita a ricevere ed emettere il respiro, ma non vi passa nient’altro di solido né di liquido; in caso contrario, essa duole finché ciò che vi è penetrato venga espulso.
L’esofago è attaccato in alto alla bocca, subito dopo la trachea, risultando solidale con la colonna vertebrale e la trachea stessa grazie a legamenti membranosi, e termina, attraverso il diaframma, allo stomaco; è di natura simile alla carne ed è estensibile sia in lunghezza che in larghezza.
Lo stomaco dell’uomo è simile a quello del cane: non è infatti molto più grande dell’intestino, ma assomiglia ad un intestino di notevoli dimensioni. Viene poi un intestino semplice, con circonvoluzioni, piuttosto largo. La parte inferiore dell’intestino è simile a quella del maiale: è infatti larga, e il tratto che la congiunge all’ano è grosso e corto.
L’omento è attaccato alla parte centrale dello stomaco; la sua natura è quella di una membrana grassa. Sopra gli intestini si trova il mesenterio: anch’esso è membranoso e largo e diventa grasso. È appeso alla grande vena e all’aorta, e lo attraversano vene numerose e fitte, che si estendono fino all’altezza degli intestini, dirigendosi dall’alto al basso. 
17. 497a; 497b
Il cuore ha tre ventricoli; esso è sito più in alto del polmone, presso la biforcazione della trachea. Ha una membrana grassa e spessa laddove è congiunto con la grande vena e con l’aorta. Esso si appoggia con il suo apice all’aorta. La parte arrotondata del cuore è posta in alto. L’apice è di solito carnoso e compatto, e nei ventricoli sono presenti dei tendini. Quanto alla posizione il cuore degli uomini è spostato più a sinistra degli altri animali che hanno il petto, in cui è sito al centro. Il cuore del resto non è grande, e nell’insieme la sua forma non è allungata ma piuttosto tondeggiante, salvo l’estremità che da luogo ad un apice appuntito. Come si è detto, il cuore presenta tre ventricoli, il maggiore dei quali si trova a destra, il minore a sinistra (l’immagine delle camere cardiache tripartite deriverebbe dal cuore del bue, su cui si basano probabilmente le ricerche aristoteliche, in cui secondo Lones “non c’è una distinzione ben marcata fra atrio destro e ventricolo destro”). Tutto sono connessi al polmone, e ciò è manifesto per uno dei suoi ventricoli. In basso poi, nel punto di congiunzione, il ventricolo maggiore del cuore è connesso con la grande vena, e quello centrale con l’aorta. Dal cuore si dipartono anche condotti in direzione del polmone, che si biforcano nello stesso modo della trachea e attraversano tutto il polmone parallelamente a quelli provenienti dalla trachea.
I condotti che vengono dal cuore sono posti al di sopra degli altri; non v’è alcun condotto comune, ma i primi ricevono il respiro grazie al contatto con i secondi e lo trasmettono al cuore: uno dei condotti va infatti alla cavità destra, l’altro a quella sinistra (questa dottrina del rapporto tra cuore e polmoni sparisce nel de Partibus Animalium e nel de Generatione Animalium, mentre è ancora menzionata in de Respiratione). Il polmone è interamente poroso, e ad ogni suo alveolo giungono condotti della grande vena. Fra gli altri visceri, solo il cuore contiene sangue. Il polmone, del resto, non lo contiene in sé ma nelle vene, il cuore invece in sé stesso; esso ha infatti sangue in ogni ventricolo, ma il sangue più fine è contenuto in quello centrale.
Sotto il polmone si trova il diaframma toracico, il cosiddetto centro frenico, che è attaccato ai fianchi, agli ipocondri e alla colonna vertebrale; nella zona centrale esso è sottile e membranoso.
Sotto il diaframma si trovano il fegato, a destra, e la milza a sinistra. Esse sono collegate allo stomaco mediante l’omento.
Alla vista, la milza umana appare stretta e lunga, simile a quella dei maiali.
Il fegato dell’uomo è rotondo e simile a quello del bue. Il fegato è congiunto alla grande vena, mentre non è in comunicazione con l’aorta: esso è infatti attraversato dalla vena che si diparte dalla grande vena, laddove stanno le cosiddette porte del fegato.
Anche la milza è attaccata soltanto alla grande vena: da questa si diparte infatti una vena in direzione della milza.
Dopo queste parti vengono i reni, che giacciono presso la stessa colonna vertebrale, e sono di natura simile a quella dei buoi. Giungono ai reni – ma non alle loro cavità – condotti che si diramano dalla grande vena e dall’aorta. I reni presentano infatti una cavità centrale (il bacinetto renale), ora più o meno grande, ad eccezione di quelli della foca. I condotti che li raggiungono si esauriscono nel corpo stesso dei reni: segno del fatto che essi non giungono a termine è che non vi è sangue né coagulazione nei reni. Dalla cavità dei reni portano alla vescica due robusti condotti, e altri, forti e continui, vi giungono dall’aorta (da identificarsi forse, rispettivamente, con gli ureteri e le arterie spermatiche).
La vescica è sita all’estremità dei visceri ed è appesa ai condotti che provengono dai reni, lungo il seno che sbocca nell’uretra. Al collo della vescica è connesso l’organo genitale; alla estremità esterna vi è un unico orifizio, in cui sboccano due condotti che poco più sotto si biforcano, dirigendosi l’uno verso i testicoli, l’altro verso la vescica. Nel maschio, al pene sono sospesi i testicoli.
Tutti questi organi hanno la stessa natura anche nella femmina: nelle parti interne, infatti, essa non si differenzia per nulla salvo che per l’utero, di cui si osservi l’aspetto nella figura delle Tavole Anatomiche(come questo ed altri riferimenti indicano con chiarezza, le Anatomai costituivano l’atlante di illustrazioni anatomiche che corredavano la Historia; la sua perdita costituisce un grave danno per la comprensione dell’anatomia aristotelica). Quanto alla posizione, l’utero giace sopra l’intestino, e sopra di esso si trova la vescica.
Queste sono dunque le parti dell’uomo sia interne sia esterne; questa è la loro natura, questo l’assetto che presentano. 

Libro II (pag. 166) 

1. 498a e 499a e 499b e 500a e 500b e 501a
Fra le parti degli animali, alcune sono comuni a tutti, come si è già detto, altre proprie di certi generi.
Così i quadrupedi vivipari hanno tutti una testa e un collo e le parti della testa, ma ognuna di queste parti ha una forma differenziata.
Unico fra gli animali, l’uomo può essere ambidestro.
L’uomo ha il petto largo, gli altri animali stretto. Nessun animale, salvo l’uomo presenta mammelle nella parte anteriore.
L’uomo flette entrambe le coppie di arti verso lo stesso punto, cioè in direzione opposta: le braccia si flettono all’indietro (con una leggera inclinazione laterale verso l’interno), le gambe in avanti.
Tutte le parti che l’uomo ha anteriormente, i quadrupedi le presentano in basso, ventralmente, mentre quelle posteriori sono in posizione dorsale.
Praticamente tutti i quadrupedi vivipari sono provvisti di peli, ma non certo alla maniera dell’uomo che ha pelo scarso e corto, eccetto che sulla testa dove ne ha più di tutti gli animali. L’uomo, poi, ha ciglia su entrambe le palpebre, e peli alle ascelle e pube, mentre nessun altro animale ha peli in entrambe queste zone né ciglia sulla palpebra inferiore; alcuni presentano peli radi cresciuti sotto di essa.
Nell’uomo si può dire che le parti più carnose del corpo siano i glutei, le cosce e le gambe (giacché i cosiddetti polpacci delle gambe sono carnosi).
Vi sono numerose differenze tra gli organi genitali. In alcuni animali essi sono cartilaginosi e carnosi, come nell’uomo in cui la parte carnosa non si gonfia, mentre quella cartilaginosa è in grado di dilatarsi.
Altra differenza: quando l’uomo è pienamente sviluppato, le parti superiori del suo corpo sono più corte di quelle inferiori, mentre in tutti gli animali sanguigni accade il contrario. Per le parti superiori intendiamo quelle che si estendono dalla testa fino alla parte in cui ha luogo l’emissione del residuo, per parti inferiori le restanti a partire da questa. Nella prima infanzia, l’uomo ha le parti superiori più grandi di quelle inferiori, e man mano che si accresce il rapporto si inverte (questo spiega anche perchè, unico fra gli animali, egli non presenti lo stesso tipo di locomozione nell’infanzia e nella maturità, bensì nella sua prima infanzia, incominci col camminare a quattro zampe).
Anche per i denti vi sono molte differenze tra i diversi animali e tra essi gli uomini. L’uomo muta i suoi denti, come altri animali quali il cavallo, il mulo e l’asino. L’uomo muta i denti anteriori, mentre nessun animale muta i molari.
2. (tratta dei cani)
3. (tratta dei cavalli)
I cavalli maschi hanno più denti delle femmine sia tra gli uomini sia tra le pecore, le capre e maiali; non sono finora state condotte osservazioni a proposito di altri animali (un’affermazione come questa dipende evidentemente dal pregiudizio della superiorità del maschio sulla femmina, pregiudizio che deve aver condizionato le frettolose osservazioni condotte per osservarlo. Nel de Partibus Animalium l’errore non è ripetuto). Più denti ha un animale, più a lungo di solito esso vive.
4.
Crescono per ultimo nell’uomo i molari che son chiamati “denti del giudizio”: si formano verso il ventesimo anno sia nei maschi che nelle femmine. Però è accaduto che i molari alle due estremità crescessero a certe donne, e parimenti ad uomini, persino all’età di ottanta anni, provocando dolore al momento dell’uscita. Questo accade a quanti non hanno messo i denti del giudizio nella loro giovinezza.
5. (tratta degli elefanti)
6. (tratta degli elefanti)
7.
Gli animali differiscono anche per la grandezza della bocca. Alcuni hanno la bocca piccola come l’uomo. 
8.
Certi animali hanno una natura intermedia fra l’uomo e i quadrupedi: si tratta delle scimmie, dei cercopitechi e dei babbuini. 
La faccia delle scimmie presenta molte similarità con quella umana: le narici e le orecchie sono molto simili, e i denti, sia gli anteriori che i molari sono come quelli umani. Hanno inoltre nel petto due capezzoli su piccole mammelle. Possiedono anche braccia come quelle umane, però irsute; e flettono sia queste sia le gambe come l’uomo. Le scimmie hanno inoltre mani, dita e unghie simili a quelle dell’uomo, a parte il fatto che tutte queste parti hanno un aspetto più ferino.
I loro piedi hanno un carattere particolare: sono infatti come grandi mani, e le dita sono come quelle delle mani; la parte inferiore del piede è simile a quella della mano,e giunge fino all’estremità come un palmo. La scimmia si serve dei piedi per entrambe le funzioni, sia quella dei piedi sia quella delle mani, e li può flettere come fossero mani.
Le femmine hanno anche gli organi genitali simili a quelli della donna, mentre i maschi assomigliano in questo più ai cani che all’uomo. 
9.
Le parti interne di tutti gli animali del gruppo delle scimmie risultano, alla dissezione, simili a quelle umane.
10. 503a: (tratta dei quadrupedi ovipari e sanguigni, come i coccodrilli)
11. 503b: (tratta dei camaleonti)
12. 504a e 504b: (tratta degli uccelli)
Certi generi di uccelli hanno la facoltà di emettere suoni articolati in grado maggiore di tutti gli animali, secondi in questo solo all’uomo: tale facoltà spetta soprattutto agli uccelli di lingua larga.
13. 505a e 505b: (tratta dei pesci)
14. 505a e 505b: (tratta dei serpenti)
15. 506a e 506b
L’assetto delle parti interne va descritto prendendo le mosse da quelle degli animali sanguigni. I generi principali si differenziano infatti dai restanti che raggruppano gli altri animali, in ciò che essi comprendono animali sanguigni, gli altri animali non sanguigni. Fra i primi vanno annoverati i quadrupedi ovipari e vivipari, gli uccelli, i pesci, i cetacei e qualsiasi gruppo altro gruppo che non abbia una denominazione propria perchè non costituisce un genere ma una specie risultante immediatamente dagli individui, come l’uomo.
In generale tutti gli animali che respirano aria, inspirandola ed espirandola, hanno sempre un polmone, una trachea ed un esofago. Non tutti gli animali sanguigni hanno un polmone: così non hanno i pesci, né qualsiasi animale che sia provvisto di branchie.
Tutti gli animali che hanno sangue possiedono inoltre un cuore, e quel diaframma che vien detto centro frenico; nei piccoli animali però, risultando sottile e ridotto esso non è egualmente visibile.
Tutti gli animali che hanno sangue possiedono anche un fegato, e in gran parte una milza.
Alcuni animali hanno una cistifellea sopra il fegato, altri no.
16.
Tutti i quadrupedi vivipari hanno reni e vescica. Quanto agli ovipari, nessuno di essi li possiede.
17. 507a e 507b e 508a e 508b e 509a
La disposizione di queste parti è simile in tutti gli animali che le possiedono. Il cuore occupa una posizione centrale, tranne nell’uomo, in cui, come detto, è piuttosto spostato a sinistra. In tutti gli animali l’apice è rivolto in avanti.
Negli animali che hanno il fegato, questo è talvolta indiviso, e sta tutto intero nella parte destra, talaltra diviso fin dal principio, e sito in gran parte a destra.
La posizione naturale della milza è sempre a sinistra.
I reni, negli animali che li possiedono, presentano sempre la medesima disposizione.
Si è del resto osservato, in qualche quadrupede sezionato, che la milza stava a destra e il fegato a sinistra: ma tali casi vanno considerati come mostruosità.
In tutti gli animali, la trachea si dirige verso il polmone, mentre l’esofago raggiunge lo stomaco attraverso il diaframma negli animali che lo possiedono.
L’intestino viene dopo di esso e termina all’orifizio di uscita del cibo, il cosiddetto ano. Variano però i tipi di stomaco. Gli animali provvisti di dentatura completa, come uomo, maiale, cane, orso, leone, lupo, hanno un solo stomaco. 

Libro III (pag. 200) 

1. 509b e 510a e 510b e 511a e 511b
Si è dunque detto quanti e quali siano le parti interne, e quali differenze reciproche esse presentino; resta solo da trattare delle parti che concorrono alla riproduzione.

Nelle femmine, esse sono sempre site internamente, mentre nei maschi presentano numerose differenze.
Fra gli animali che presentano testicoli nella parte anteriore, alcuni li hanno esternamente, verso l’estremità del ventre. Questi animali presentano lo stesso assetto generale, e si differenziano fra loro solo per il fatto che gli uni hanno semplicemente i testicoli, mentre gli altri hanno i testicoli contenuti nel cosiddetto scroto.
Quanto ai testicoli stessi, essi presentano in tutti i vivipari terrestri il seguente assetto. Dall’aorta si dipartono condotti venosi che raggiungono la testa di ciascun testicolo, e altri due dai reni: questi ultimi contengono sangue, mentre quelli che vengono dall’aorta ne sono privi (i condotti che vanno dall’aorta ai testicoli sono le arterie spermatiche, quelli dai reni le vene spermatiche [così AW e AT]. La “testa dei testicoli” è la testa dell’epididimo). A partire dalla testa del testicolo si estende lungo il testicolo stesso un condotto più compatto e ricco di tendini di quello, che si ripiega all’estremità del testicolo e risale verso la sua testa (testo AW, Peck: si tratta del corpo dell’epididimo e del deferente); da entrambe le teste i due condotti vengono a ricongiungersi in avanti verso il pene. I condotti che si ripiegano e quelli che si estendono lungo i testicoli sono avvolti dalla stessa membrana, sicché sembrano formare un sol condotto se non si apre la membrana (testo AW, Peck: la membrana è la tunica vaginale. Aristotele insiste sulla distinzione tra epididimo e deferente, che può venir chiarita solo mediante un’accurata dissezione).
In ogni modo, il liquido condotto che giace lungo il testicolo è ancora sanguigno, meno però di quello presente nei condotti superiori provenienti dall’aorta; invece nei condotti che si ripiegano verso il seno contenuto nel pene, il liquido è bianco.
Anche dalla vescica parte un condotto congiungentesi alla parte alta del seno, attorno alla quale sta, come una guaina, ciò che è detto “pene” (Aristotele afferma quindi che nell’haulos, cioè il seno urogenitale, si unificano tre diversi condotti: i due deferenti e l’uretra, che parte dalla vescica).
Si osservi nella figura seguente quanto si è esposto finora. Indichiamo con A il principio dei condotti che si diramano dall’aorta; con K la testa dei testicoli e i condotti discendenti; con Omega i condotti che partono da questi e giacciono lungo il testicolo; con B i condotti che si ripiegano, nei quali si trova il liquido bianco; Delta è il pene, E la vescica e Psi i testicoli. 

FIG. 9

L’utero in tutti gli animali che lo presentano in corrispondenza degli organi genitali, è bipartito, e una delle parti è sita nel lato destro, l’altra nel lato sinistro (le “corna” dell’utero. Quest’organo non è bipartito nell’uomo, e Aristotele forse scambiava per “corna” gli ovidotti e le tube). Il principio dell’utero però è unico, e unico il suo orifizio, simile, nella maggior parte degli animali e in quelli più grandi, a un tubo ricco di carne e cartilaginoso. Di queste parti, l’una è detta propriamente utero mentre il tubo e l’orifizio dell’utero sono detti vagina.

In tutti i vivipari, compreso l’uomo è sempre sito sotto al diaframma. All’estremità delle cosiddette “corna”, l’utero della maggior parte degli animali presenta una spirale (la tuba di Fallopio). 
2. 512a e 512b
Delle parti omogenee, le più generalmente diffuse in tutti gli animali sanguigni sono il sangue e quella cui esso è naturalmente contenuta, e che si chiama vena. Vengono poi le parti analoghe a queste, il siero e le fibre, e quella di cui in maggior misura consta il corpo animale, cioè la carne o la parte ad essa analoga in ciascuna specie; ancora, l’osso e le parti analoghe ad esso, come la spina e la cartilagine; e inoltre la pelle, la membrana, i tendini, i peli, le unghie, e le parti analoghe a queste; vi si aggiungono il grasso, il sego e i residui (si tratta delle feci, del flegma, della bile gialla e nera) (abbiamo qui nell’insieme l’elenco più completo delle parti omogenee o tessuti. L’elenco dei “residui” manca invece di quelli connessi alla riproduzione, cioè lo sperma e il latte. Il carattere residuale di flegma, bile gialla e nera ne riduce l’importanza nel quadro della tradizione ippocratica dei quattro umori rispetto al sangue).
Dal momento che la natura del sangue e quella delle vene sembrano costituire un principio occorre trattare di esse in primo luogo, tanto più che alcuni autori precedenti ne hanno dato spiegazioni imperfette (si noti che Aristotele, in ciò fedele alla tradizione de V secolo, tende qui a conferire la natura di “principio” alle vene e al sangue piuttosto che al cuore: questa tendenza verrà rovesciata nel de Partibus Animalium. Inoltre mentre per gli argomenti precedenti egli poteva considerarsi un innovatore, in questo caso sa che l’argomento era già tema trattato nella discussione scientifica greca). La causa di questa ignoranza risiede nelle difficoltà di compiere osservazioni su queste parti: negli animali morti, infatti, la natura delle vene principali non è evidente, perché sono soprattutto esse a cedere non appena ne sia uscito il sangue in quanto esso ne defluisce tutto insieme come da un vaso; in nessuna parte del corpo v’è sangue separato per sé stesso, salvo un poco nel cuore, bensì esso è sempre contenuto nelle vene. Negli animali viventi, poi, è impossibile osservare l’assetto delle vene, perché esse sono naturalmente poste all’interno. Sicchè coloro che hanno condotto le osservazioni su animali morti e sezionati non hanno visto le origini delle vene maggiori, mentre coloro che le hanno compiute su uomini estremamente dimagriti hanno individuato le origini delle vene sulla base di quanto appariva esternamente in tali circostanze.
Siennesi, il medico di Cipro (su di lui non si ha nessuna notizia circostanziata), sostiene la tesi seguente: “Questo è l’assetto naturale delle vene grosse: a partire dall’ombelico presso il cinto pelvico, attraverso il dorso presso il polmone, sotto le mammelle, una vena va da destra a sinistra e l’altra da sinistra a destra; quella che proviene da sinistra attraversa il fegato e va al rene e al testicolo, quella che proviene da destra va alla milza, al rene e al testicolo; di qui si dirigono al pene”.
Diogene di Apollonia afferma invece: “Questo è l’assetto delle vene nell’uomo. Due sono le maggiori: esse attraversano l’addome lungo la spina dorsale, una a destra, l’altra a sinistra, ciascuna in direzione della gamba corrispondente, e verso l’alto in direzione della testa, lungo la clavicola e attraverso la gola. Da esse, vene si diramano, per tutto il corpo, da quella di destra nella parte destra, da quella di sinistra nella parte di sinistra; le due maggiori vanno al cuore passando vicinissimo alla spina dorsale, altre leggermente più in alto, passando attraverso il petto e sotto le ascelle, giungono alle rispettive mani. L’una si chiama splenica, l’altra epatica. Si biforca poi l’estremità di ciascuna,e da una parte va al pollice, dall’altra al palmo; e da esse vene sottili e assai ramificate giungono al resto della mano e alle altre dita.
Altre vene più sottili si dipartono da quelle prima citate, e si dirigono, quella proveniente da destra verso il fegato, quella da sinistra verso la milza e i reni. Quelle poi che vanno alle gambe si diramano presso il punto d’attacco di queste al tronco, e si estendono per tutta la coscia. La maggiore di esse giunge alla parte posteriore della coscia, ed è visibilmente grossa; l’altra che va all’interno della coscia è un po’ meno grossa di quella. Poi, passando presso il ginocchio, si dirigono verso la gamba e il piede al modo stesso di quelle che vanno alle mani. Raggiunto il palmo del piede, di qui si diramano verso le dita. Dalle vene principali si diramano anche molte sottili vene verso lo stomaco e verso le costole.
Quelle che poi vanno alla testa attraverso la gola appaiono grandi nel collo: dal punto terminale di ognuna di esse se ne diramano molte in direzione della testa, quelle provenienti da destra verso la parte sinistra, quelle provenienti da sinistra verso la parte destra; e terminano entrambe presso gli orecchi.
3.
Ecco la descrizione di Polibo (Polibo fu il genero di Ippocrate ed il primo caposcuola di Cos dopo di lui): “vi sono 4 coppie di vene: (1) una parte da dietro la testa, attraversa il collo, i lati della colonna vertebrale e si dirige fino alle cosce fino ad arrivare al lato esterno di caviglie e piedi; (2) un’altra coppia di vene, chiamate giugulari, partono dalla testa, passano presso le orecchie ed attraversano il collo, costeggiano internamente la colonna vertebrale e attraverso il muscoli lombari si dirigono ai testicoli e le cosce e poi passano la parte interna delle cosce e attraverso le gambe giungono all’interno di caviglie e piedi; (3) la terza coppia parte dalle tempie, attraversa il collo, passa sotto le caviglie e giunge al polmone, quella di destra dirigendosi a sinistra verso milza e rene e quella di sinistra verso destra dirigendosi verso il fegato ed il rene. Entrambe terminano all’ano; la quarta coppia si diparte dalla zona anteriore della testa e dagli occhi, passa sotto collo e clavicole e di qui si estende verso la mano e le dita da cui risalgono all’ascella ed alla parte superiore delle costole per raggiungere una la milza e l’altra il fegato e concludere il loro percorso entrambe nel pene.

Secondo Aristotele, invece, è possibile raccogliere adeguate informazioni solo sugli animali uccisi per soffocamento dopo averli fatti dimagrire. E questo è l’assetto naturale delle vene: Vi sono due vene nel tronco, lungo il lato interno della colonna vertebrale; la maggiore di essa giace in avanti ed è spostata verso destra, mentre la seconda, più piccola, che alcuni chiamano “aorta” perchè anche nei cadaveri se ne può osservare la parte tendinea, giace dietro questa verso sinistra. Queste due vene hanno il loro principio nel cuore. Il cuore è parte di esse, soprattutto la prima, quella anteriore e più grande (cioè la vena cava) giacchè in alto ed in basso si trovano queste vene.
Il cuore presenta sempre dei ventricoli ed in quelli più grandi se ne vedono sempre tutti e tre. Il ventricolo maggiore si trova a destra ed in alto, quello minore a sinistra, e quello di media grandezza in mezzo agli altri due. Tutti e tre i ventricoli sono connessi al polmone, ma i condotti di collegamento sono invisibili eccetto uno (l’arteria polmonare connessa con il ventricolo destro). La vena che raggiunge il polmone, essendo questo bipartito, si biforca e poi si estende lungo ciascun bronco.
Il cervello è privo di sangue in tutti gli animali e nessuna vena, né piccola né grande, ha termine in esso.
La parte della grande vena sita sotto il cuore attraversa il diaframma e da essa di diparte una vena breve ma ampia che attraversa il fegato ed una sua terminazione si conclude nella parte interna dell’articolazione del braccio (perciò quando i medici incidono questa vena i malati vengono liberati da certi dolori al fegato).
Le parti della vena minore, chiamata aorta, si scindono in maniera simile, seguendo le ramificazioni della grande vena; però i suoi condotti sono più piccoli e più scarsi. I condotti dell’aorta non vanno al fegato ed alla milza, mentre nessuna ramificazione della grande vena raggiunge l’utero a differenza di quelle dell’aorta che sono numerose e fitte.
Dall’aorta e dalla grande vena, dopo la rispettiva biforcazione, provengono ramificazioni per gli arti inferiori (nell’uomo ovviamente).
5. 515b;
Anche i tendini (intesi secondo Aristotele come tendini, legamenti e muscoli ma non nervi), hanno inizio nel cuore e la stessa aorta è una vena tendinea le cui estremità sono semplicemente dei tendini giacchè non sono più cave. La maggiorparte dei tendini è posta nei piedi, nelle mani, nelle scapole, attorno al collo e nelle braccia. Tutti gli animali provvisti di sangue hanno tendini.
La testa non ha tendini perchè le suture stesse delle ossa ne garantiscono la compattezza.
6. 516a;
Le fibre (una sorta di tessuto connettivo?) sono intermedie tra tendini e vene.
7. 516b;
Tutte le ossa dipendono da un solo osso e formano un sistema continuo con le vene. In tutti gli animali che possiedono le ossa, ne è principio la colonna vertebrale.
In questo paragrafo Aristotele compara diversi aspetti riguardante la componente ossea di diverse specie animali. 
8. 517a;
La cartilagine ha pure la stessa natura delle ossa, ma ne differisce per “il più e il meno”. E al pari dell’osso non ricresce se recisa.
9. 517b;
Il paragrafo tratta di diverse parti (come unghie, artigli, zoccoli, corna, ecc.)
10 e 11. 518a; 518b
Il paragrafo tratta di anatomia comparata di peli, squame e pelle.
L’uomo ha la pelle più sottile di tutti gli animai in rapporto alle sue dimensioni. Nell’uomo si incanutiscono per prime le tempie e i capelli della fronte prima di quelli della nuca; per ultimi i peli del pube. Sono soprattutto e in primo luogo i peli siti nelle testa a diradarsi e a cadere con il procedere dell’età. Si tratta però solo di quelli anteriori, perchè nessuno diventa calvo nella parte posteriore della testa.
Alle donne non crescono peli sul mento, ad eccezione di certi casi in cui compare una rada peluria dopo la cessazione delle mestruazioni; questo è il caso delle sacerdotesse, in Caria, ciò che sembra costituire un presagio degli eventi futuri.
Vi sono degli uomini e delle donne congenitamente privi dei peli a crescita tardiva: quanti fra essi mancano anche di quelli sul pube, risultano al tempo stesso sterili.
12. 519a;
Tratta dei peli degli animali alati.
13 e 14. 519b;
Tratta delle membrane degli animali sanguigni. Le membrane più grandi sono le due che avvolgono il cervello; viene poi la membrana pericardica.
Anche l’omento è una membrana.
15.
Anche la vescica assomiglia ad una membrana ma appartiene ad un genere diverso perchè è elastica. Non tutti gli animali la possiedono.
16. 520a;
La carne (sarebbe la muscolatura striata volontaria) si trova in posizione intermedia fra pelle ed osso. Quando gli animali dimagriscono ne prendono il posto vene e fibre; se invece l’alimentazione è troppo ricca, il grasso sostituisce le carni.
17. 520b; Analisi delle differenze tra grasso e sego. 
18. 520b; Prosegue descrizione grasso animali e sue caratteristiche.
19. 521a; 521b
Il sangue è la parte più necessaria e universalmente presente in tutti gli animali sanguigni. Tutto il sangue è contenuto nelle cosiddette vene, e in nessun’altra parte, con eccezione del cuore. E di sapore dolce, se è sano, e color rosso. Il sangue guasto, per natura o malattia, è invece nerastro. Nel corpo vivente è sempre fluido e caldo, ma se ne fuoriesce si coagula. L’uomo ha il sangue più rarefatto e puro. In tutti gli animali il sangue pulsa nelle vene contemporaneamente in ogni parete del corpo. Il sangue si forma per primo nel cuore prima ancora che il corpo si sia interamente differenziato (cioè nell’embrione).
Se ne fuoriesce troppo dal corpo gli animali svengono, ma se la perdita è eccessiva allora muoiono. Se è troppo fluido si ammalano, perchè diventa simile ad un siero e così liquido che a qualcuno è accaduto di secernere un sudore sanguigno.
Il sangue si forma dal siero per cozione, e dal sangue a sua volta si forma il grasso.
Quando il sangue è malato si hanno emorragie al naso e all’ano, come pure le vene varicose. Il sangue putrefatto nel corpo diventa pus, e dal pus derivano dei calcoli.
Il sangue delle femmine differisce da quello dei maschi perchè, a parità di salute ed età, nelle femmine esso è più denso e nero (questa affermazione si fonda probabilmente sull’osservazione del sangue mestruale). Fra le femmine di tutti gli animali, la donna è quella più ricca di sangue, e le cosiddette mestruazioni sono più abbondanti che in ogni altro animale.
Il siero è sangue non concotto, o perchè non ha ancora subito cozione o perchè è tornato ad essere liquido.
20. 522a; 522b
Il midollo è un altro dei fluidi presenti in certi animali sanguigni. Così come il sangue è contenuto nelle vene, il midollo è contenuto nelle ossa. Solo le ossa cave contengono midollo. Nei giovani il midollo è del tutto simile al sangue, ma via via che gli animali invecchiano esso diventa simile al grasso o al sego.
In tutti gli animali che hanno latte, esso è contenuto nelle mammelle. Ogni tipo di latte contiene un umore acquoso, che è chiamato “siero”, ed una parte corposa detta “formaggio”. Per lo più il latte non si produce in nessun animale prima della gestazione.
Il caglio è latte: si forma infatti nello stomaco degli animali ancora durante l’allattamento.
21. 523a;
Il caglio è dunque latte che contiene in sé del fuoco; questo proviene dal calore animale mentre il latte subisce cozione.
Quanto alle donne, il latte piuttosto scuro è migliore per i lattanti di quello bianco, e le brune hanno un latte più sano delle bionde. Il latte più nutriente è comunque quello che contiene più formaggio, ma il più sano per i bambini è quello che ne contiene di meno.
22.
Tutti gli animali dotati di sangue eiaculano sperma. L’uomo ne eiacula la quantità maggiore in rapporto alle dimensioni corporee. Esso è sempre bianco, ed Erodoto era in errore quando scriveva che gli Etiopi emettono il liquido seminale nero. Lo sperma fertile affonda nell’acqua, mentre quello sterile vi si discioglie. 

Libro IV (pag. 241) 

1. 523b; 524a; 524b; 525a; 2. 526a; 526b; 527a; 3. 527b; 4. 528a; 528b; 529a; 529b; 530a; 5.530b; 531a; 6. 531b; 7. 532a; 532b; Questi paragrafi trattano di animali non sanguigni (crostacei, insetti, ecc.)
8. 533a; 533b; 534a; 534b; 535a;
Questo paragrafo tratta dei sensi. Sono al massimo cinque: la vista, l’udito, l’olfatto, il gusto ed il tatto. L’uomo possiede tutti manifestamente questi cinque sensi. L’occhio è deputato alla vista, le orecchie all’udito, le narici all’olfatto, la lingua al gusto. Il senso del tetto appartiene a tutti gli animali.
9. 535b; 536a; 536b;
Quanto alla voce degli animali, essa presenta i seguenti caratteri: la voce ed il suono sono due cose diverse, e una terza è il linguaggio.
La voce non può mai venir emessa da nessun’altra parte se non dalla laringe: perciò quegli animali che sono privi di polmone neppure possono emettere la voce.
Il linguaggio è l’articolazione della voce mediante la lingua. Dunque le vocali sono emesse dalla voce, cioè dalla laringe, mentre le consonanti dalla lingua e dalle labbra: e di questo consta il linguaggio. Il linguaggio è una caratteristica propria dell’uomo. Chi è capace di un linguaggio ha anche una voce, ma non tutti quelli che hanno una voce possiedono un linguaggio. Gli uomini che sono sordi alla nascita, sono sempre anche muti: possono emettere suoni vocali, ma non articolare un linguaggio.
10. 537a; 537b;
Questo paragrafo esamina il sonno e la veglia negli animali.
Coloro che hanno palpebre le chiudono per addormentarsi. Sembra che sognino anche altri animali oltre all’uomo, come i cavalli, i cani, ecc. I cani lo mostrano con il loro guaire durante il sonno. L’uomo è l’animale che sogna di più. Nei bambini ancora piccoli non si producono sogni, che incominciano di solito a 4 o 5 anni.
11. 538a; 538b; Questo paragrafo esamina le “distinzioni” secondo Aristotele fra maschio e femmina 
La distinzione tra maschio e femmina è presente in certi gruppi di animali ed in altri no. Non vi è alcuna distinzione fra maschio e femmina negli animali immobili.
In tutti gli animali, le parti superiori ed anteriori dei maschi sono migliori, più vigorose e meglio protette, mentre nella femmina lo sono quelle che si potrebbero chiamare posteriori o inferiori. La femmina è meno dotata di tendini ed ha articolazioni meno robuste; ha pelo più sottile e le sue carni sono più umide. Le femmine hanno voce più sottile ed acuta in tutti gli animali dotati di voce. 

Libro V (pag. 285) 

1. 539a; 539b; Intende trattare delle modalità di riproduzione incominciando dai gasteropodi, per poi passare ai crostacei e via via agli altri generi nello stesso ordine.
Vi è intanto un carattere che gli animali hanno in comune con le piante. Certe piante infatti nascono dal seme di altre piante, altre invece si generano spontaneamente, venendosi a formare un principio equivalente al seme. Allo stesso modo, fra gli animali, alcuni sono generati da animali secondo la parentela della forma, altri nascono spontaneamente, cioè non vengono da animali congeneri. Fra quest’ultimi, alcuni sono prodotti dalla putrefazione di terra e piante, come accade a molti insetti, mentre altri si sviluppano all’interno degli animali stessi dai residui che si trovano nelle loro parti.
Gli animali che traggono origine da animali congeneri in cui è presente la distinzione tra maschio e femmina, vengono generati per copulazione.
Tutti gli animali che si generano spontaneamente, se presentano una distinzione tra maschio e femmina, genereranno in seguito al proprio accoppiamento un essere che però non sarà identico a nessuno dei due genitori.
2. 540a;
Si accoppiano dunque quegli animali cui inerisce la distinzione tra maschio e femmina. Ma l’accoppiamento non è simile per tutti gli animali. Gli animali sanguigni che sono vivipari e terrestri possiedono organi finalizzati alla funzione riproduttiva, ma le modalità del coito non sono uguali per tutti.
3. Prosegue il discorso sull’accoppiamento (in questo caso quadrupedi e ovipari terrestri)
4. 540b; Prosegue il discorso sull’accoppiamento (in questo caso apodi e lunghi)
5. 541a; Prosegue il discorso sull’accoppiamento (in questo caso animali d’acqua)
6. 541b; Prosegue il discorso sull’accoppiamento (in questo caso cefalopodi)
7. 542a; Prosegue il discorso sull’accoppiamento (in questo caso crostacei)
8. 542b; Prosegue il discorso sull’accoppiamento (in questo caso insetti e uccelli)
9. 543a; Prosegue il discorso sull’accoppiamento (in questo caso uccelli e pesci)
10. 543b; Prosegue il discorso sull’accoppiamento (in questo caso selacei)
11. Prosegue il discorso sull’accoppiamento (in questo caso deposizione delle uova e gestazione nei pesci)
12. 544a; Prosegue il discorso sull’accoppiamento (in questo caso deposizione delle uova e gestazione nei cefalopodi)
13. 544b; Prosegue il discorso sull’accoppiamento (in questo caso deposizione delle uova e gestazione negli uccelli)
14. 545a; 545b; 546a; 546b; Prosegue il discorso sull’accoppiamento (nei mammiferi terrestri).
Negli uomini l’età in cui essi diventano maturi per l’accoppiamento è segnalato dal mutamento della voce, della peluria e degli organi genitali. L’uomo comincia ad avere sperma verso i 14 anni ed ad essere fecondo verso i 21.
15. 547a; 547b; 548a; Prosegue il discorso sull’accoppiamento e la copulazione.
16. 548b; 549a; Prosegue il discorso sull’accoppiamento e la copula (nelle spugne).
17. 549b; Prosegue il discorso sull’accoppiamento e la copula (nei crostacei). 
18. 550a; 550b; Prosegue il discorso sull’accoppiamento e la copula (nei cefalopodi). 
19. 551a; 551b; 552a; 552b; Prosegue il discorso sull’accoppiamento, la copula e lo sviluppo (negli insetti). 
20. 553a; Prosegue il discorso sulla riproduzione e lo sviluppo (negli insetti). 
21. 553b; Prosegue il discorso sulla riproduzione e lo sviluppo (negli insetti). 
22. 554a; 554b; Prosegue il discorso sulla riproduzione e lo sviluppo (organizzazione sociale delle api).
23. 555a; Prosegue il discorso sulla riproduzione e lo sviluppo (organizzazione sociale di calabroni e vespe). 
24. Prosegue il discorso sulla riproduzione, lo sviluppo e organizzazione sociale (nel mondo degli insetti).
25. Prosegue il discorso sulla riproduzione, lo sviluppo e organizzazione sociale (nel mondo degli insetti).
26. Prosegue il discorso sulla riproduzione, lo sviluppo e organizzazione sociale (nel mondo degli insetti).
27. 555b; Prosegue il discorso sulla riproduzione, lo sviluppo e organizzazione sociale (nel mondo degli insetti).
28. 556a: Prosegue il discorso sulla riproduzione, lo sviluppo e organizzazione sociale (nel mondo degli insetti).
29. Prosegue il discorso sulla riproduzione, lo sviluppo e organizzazione sociale (nel mondo degli insetti). 
30. 556b: Prosegue il discorso sulla riproduzione, lo sviluppo e organizzazione sociale (nel mondo degli insetti).
31. 556b; 557a; Prosegue il discorso sulla riproduzione, lo sviluppo e organizzazione sociale (nel mondo degli insetti). 
32. 557b; Prosegue il discorso sulla riproduzione, lo sviluppo e organizzazione sociale (nel mondo degli “animaletti”). 
33. 558a; Prosegue il discorso sulla riproduzione, lo sviluppo e organizzazione sociale (nel mondo dei quadrupedi ovipari). 
34. 558b; Prosegue il discorso sulla riproduzione, lo sviluppo e organizzazione sociale (nel mondo dei serpenti). 

Libro VI (pag. 340) 

1. 559a; Prosegue il discorso sulla riproduzione e lo sviluppo animale (negli uccelli). 
2. 559b; 560a; 560b; 561a; Prosegue il discorso sulla riproduzione e lo sviluppo animale (negli uccelli e ovipari). 
3. 561b; 562a; 562b; Prosegue il discorso sulla riproduzione e lo sviluppo animale embriologico (nelle galline). 
4. 563a; Prosegue il discorso sulla riproduzione e lo sviluppo animale embriologico (nei colombiformi). 
5. Prosegue il discorso sulla riproduzione e lo sviluppo animale embriologico (negli avvoltoi). 
6. 563b; Prosegue il discorso sulla riproduzione e lo sviluppo animale embriologico (nelle aquile). 
7. 564a; Prosegue il discorso sulla riproduzione e lo sviluppo animale embriologico (nei cuculi). 
8. Prosegue il discorso sulla riproduzione, la cova e lo sviluppo animale embriologico (negli uccelli). 
9. 564b; Prosegue il discorso sulla riproduzione, la cova e lo sviluppo animale embriologico (negli pavoni). 
10. 564b; 565a; 565b, 566a; Prosegue il discorso sulla riproduzione e lo sviluppo animale embriologico (negli animali d’acqua). 
11. 566b; Prosegue il discorso sulla riproduzione e lo sviluppo animale embriologico (negli animali d’acqua). 
12. 567a; Prosegue il discorso sulla riproduzione e lo sviluppo animale embriologico (negli animali d’acqua). 
13. 567b; 568a; Prosegue il discorso sulla riproduzione e lo sviluppo animale embriologico (negli animali d’acqua). 
14. 568b; 569a; Prosegue il discorso sulla riproduzione e lo sviluppo animale embriologico (negli animali d’acqua). 
15. 569b; 570a; Prosegue il discorso sulla riproduzione e lo sviluppo animale embriologico (negli animali d’acqua). 
16. 569b; 570a; Prosegue il discorso sulla riproduzione (o generazione spontanea) e lo sviluppo animale embriologico (nelle anguille). 
17. 570b; 571a; 571b; Prosegue il discorso sulla riproduzione e lo sviluppo animale embriologico (negli animali d’acqua). 
18. 572a; 572b; 573a; 573b; Prosegue il discorso sulla riproduzione e lo sviluppo animale embriologico (negli animali terrestri).
19. 574a; Prosegue il discorso sulla riproduzione e lo sviluppo animale embriologico (negli animali terrestri).
20. 574b; 575a; Prosegue il discorso sulla riproduzione e lo sviluppo animale embriologico (nei cani di Laconia). 
21. 575b; Prosegue il discorso sulla riproduzione e lo sviluppo animale embriologico (nei bovini).
22. 575b, 576a; 576b; 577a; Prosegue il discorso sulla riproduzione e lo sviluppo animale embriologico (nei cavalli).
23. 577b, Prosegue il discorso sulla riproduzione e lo sviluppo animale embriologico (negli asini).
24. 577b, 578a; Prosegue il discorso sulla riproduzione e lo sviluppo animale embriologico (nei muli).
25. Prosegue il discorso sulla riproduzione e lo sviluppo animale embriologico (nei quadrupedi).
26. Prosegue il discorso sulla riproduzione e lo sviluppo animale embriologico (nei cammelli). 
27. Prosegue il discorso sulla riproduzione e lo sviluppo animale embriologico (negli elefanti).
28. 578b: Prosegue il discorso sulla riproduzione e lo sviluppo animale embriologico (nei cinghiali).
29. 579a; Prosegue il discorso sulla riproduzione e lo sviluppo animale embriologico (nei cervi).
31. 579b; Prosegue il discorso sulla riproduzione e lo sviluppo animale embriologico (nei leoni).
32. Prosegue il discorso sulla riproduzione e lo sviluppo animale embriologico (nelle iene). 
33. 580a; Prosegue il discorso sulla riproduzione e lo sviluppo animale embriologico (nelle lepri).
34. Prosegue il discorso sulla riproduzione e lo sviluppo animale embriologico (nelle volpi).
35. Prosegue il discorso sulla riproduzione e lo sviluppo animale embriologico (nei lupi).
36. 580b; Prosegue il discorso sulla riproduzione e lo sviluppo animale embriologico (negli emioni).
37. 580b; Prosegue il discorso sulla riproduzione e lo sviluppo animale embriologico (nei topi).

 

Libro VII (pag. 398) 

1. 581a; 581b; 582a;
L’uomo comincia ad aver sperma per lo più a 14 anni compiuti. Contemporaneamente inizia la crescita dei peli del pube. In questo stesso periodo la voce prende a mutarsi facendosi più rauca e diseguale.
Nello stesso periodo anche nelle donne le mammelle si inturgidiscono e scendono le cosiddette mestruazioni: si tratta di un flusso di sangue simile a quello di un animale appena sgozzato. Anche la voce si trasforma diventando più grave (sebbene più acuta di quella dell’uomo).
Certi uomini e certe donne restano impuberi per un’affezione congenita della regione genitale. Quei ragazzi e quelle fanciulle, il cui corpo è troppo pieno di residui, quando questi vengono espulsi negli con lo sperma, nelle altre con le mestruazioni, si trovano ad avere un corpo più sano e robusto, giacchè è stato eliminato quanto ostacolava la salute e una buona nutrizione. Quelli che si trovano nelle condizioni contrarie, si ritrovano invece con un corpo più magro e malaticcio.
Fino a 21 anni lo sperma è inizialmente infecondo. Dopo i 21 anni le donne hanno ormai raggiunto l’età propizia per dare alla luce dei figli, mentre gli uomini sono ancora suscettibili di sviluppo. Lo sperma rarefatto è sterile, quello glutinoso invece è fecondo e tende a generare dei maschi; lo sperma rarefatto e non glutinoso produce femmine.
2. 582b; 583a;
Il flusso mestruale ha luogo verso la fine di ogni mese. Perciò certi scienziati per burla sostengono che anche la luna è femmina, perchè cala contemporaneamente alla mestruazioni delle donne, e le une e le altre, dopo le mestruazioni ed il calo, diventano piene (la connessione fra ciclo mestruale e fasi lunari, che qui è accentuata piuttosto scherzosamente, viene invece teorizzata nel de Gen. An.).
Natura vuole che le donne concepiscano dopo la cessazione del flusso mestruale. In alcuni casi i flussi mestruali continuano fino alla fine della gravidanza: però accade a queste donne di partorire figli malsani.
Fra le femmine di tutti gli animali, la donna è quella che presenta le mestruazioni più copiose. Da questo punto di vista, anche i maschi si trovano in una situazione simile: in rapporto alle sue dimensioni, l’uomo è l’animale che emette più sperma.
3. 583b;
Un segno che la donna ha concepito si ha quando il luogo diventa secco immediatamente dopo il coito.
Dopo il parto, le mestruazioni tendono a ricomparire dopo un pari numero di giorni.
Nel caso che si sia concepito un maschio, i primi movimenti tendono ad aver luogo intorno al quarantesimo giorno per lo più verso il lato destro, quelli della femmina invece nel lato sinistro verso il novantesimo giorno.
In questo stesso periodo l’embrione comincia a differenziarsi: nella fase precedente è un insieme carnoso e indistinto.
Si chiama “deflusso” la distruzione dell’embrione che ha luogo entro i primi sette giorni, “aborto” quella che avviene entro i quaranta.
Fino alla nascita, tutti i processi di sviluppo delle parti avvengono nella femmina più lentamente che nel maschio.
4. 584a; 584b, 585a
Quando ha raccolto lo sperma, l’utero si racchiude subito nel più delle donne, finchè siano passati 7 mesi; all’ottavo mese si schiude, e l’embrione, se è vitale, incomincia a discendere durante l’ottavo mese. 
Dopo il concepimento le donne avvertono pesantezza in tutto il corpo, e sopravvengono oscuramenti della vista e dolori di testa. Questi sintomi compaiono in alcune già al decimo giorno. Inoltre le più sono colte da nausee e vomiti, e specialmente quelle ricche di residui. Il massimo di nausea è provato quando il bambino comincia a mettere i capelli.
Per lo più le donne incinte di un maschio superano meglio la gestazione e conservano fino alla fine un colorito più sano.
Le donne incinte sogliono provare desideri di ogni genere e mutarli di colpo, ciò che alcuni chiamano “aver le voglie”; e questi desideri sono più acuti nelle donne incinte di una femmina.
Talvolta le donne credono di avvertire le doglie, non perchè sia cominciato il travaglio, ma perchè l’embrione inverte la posizione della testa.
La nascita può aver luogo al settimo, ottavo, al nono e più spesso al decimo mese. Certe donne entrano perfino all’undicesimo mese (si tratta di mesi lunari. La maggior parte delle informazioni qui esposte vengono da trattati ginecologici del Corpus Hippocraticum). I bambini dati alla luce prima dei 7 mesi non possono in nessun modo sopravvivere; quelli di 7 mesi cominciano ad essere vitali ma sono quasi sempre deboli.
Se il bambino muore nel quarto o nell’ottavo mese perisce per lo più anche la madre.
La madre è solitamente unipara. In molte regioni, come l’Egitto, danno alla luce gemelli. Ne generano anche 3 o 4. Al massimo vengono dati alla luce 5 figli.
Fra gli animali sono soprattutto la donna e la cavalla ad accettare il coito durante la gestazione; le altre femmine fuggono il maschio durante la gravidanza. Ed è accaduto questo caso illuminante di superfetazione: una donna adultera diede alla luce due gemelli, di cui uno assomigliava al marito e l’altro all’amante.
5. 585b
Il latte prodotto prima dei 7 mesi non è fruibile, ma appena il bambino è vitale anche il latte diventa utile.
Le mestruazioni cessano nella maggiorparte verso i 40 anni anche se si sono avuti casi di parti intorno ai 50 anni. 
6. 586a
Il più degli uomini generano fino a 60 anni ed anche fino a 70.
Le donne incapaci di concepire, se vi riescono grazie ad una terapia o a qualche altra favorevole circostanza, tendono per lo più a dare alla luce delle femmine.
Da genitori menomati nascono anche dei figli menomati, ad esempio zoppi da zoppi e ciechi da ciechi. I figli possono presentare anche segni congeniti come verruche e cicatrici. Comunque non v’è alcuna norma fissa per queste cose. La somiglianza del resto può ricorrere anche dopo molte generazioni, come nel caso della donna siciliana che commise adulterio con un negro: sua figlia non nacque negra, bensì il figlio di questa (queste note appaiono quasi essere un’anticipazione accidentale delle leggi sulla trasmissione mendeliana dei caratteri dominanti e recessivi). Per lo più le femmine somigliano alla madre e i maschi al padre. Quanto ai gemelli, è avvenuto che ne nascessero non somiglianti tra loro, ma per la maggiorparte e per lo più si assomigliano.
7. 
Nell’eiaculazione dello sperma si ha un’uscita preliminare di pneuma. L’eiaculazione stessa avviene per l’azione del pneuma. Nulla infatti può esser gettato lontano senza una forza pneumatica.
Quando lo sperma ha raggiunto l’utero e vi è rimasto per qualche tempo, viene avvolto da una membrana. La membrana è ricca di vene.
8. 586b
Tutti gli animali che hanno un ombelico si accrescono tramite l’ombelico. Il cordone ombelicale aderisce all’utero stesso sopra una vena. Il bambino dentro l’utero ha una posizione raccolta con il naso tra le ginocchia. Nelle prime fasi la testa si trova in alto; quando però sono accresciuti e si accingono all’uscita, essa compie un’inversione e viene a trovarsi in basso, sicchè la nascita ha luogo secondo natura dalla parte della testa, mentre se il feto è rattrappito e con presentazione podalica, la nascita è contro natura.
Il cordone ombelicale è una guaina attorno a vene che traggono origine dall’utero. Le vene sono 4, due di queste raggiungono il fegato là dove sono site le cosiddette “porte”, in direzione della grande vena; le altre due vanno invece all’aorta, là dove essa si scinde a dà luogo a due ramificazioni (si tratterebbe delle vene ombelicali e delle arterie ombelicali connesse con le arterie iliache).
9. 587a
Durante il travaglio, le doglie prendono le donne in molte e diverse parti del corpo, ma nella maggiorparte dei casi si localizzano all’attaccatura di uno dei due femori. La nascita di un maschio è preceduta dall’uscita di umori acquosi e scoloriti, quella di una femmina da umori sanguigni. Nelle donne le doglie sono più dolorose rispetto agli altri animali.
10. 587a; 587b
La recisione del cordone ombelicale è una parte dell’opera della levatrice che non può essere compiuta senza un’attenta riflessione. Infatti occorre non soltanto che nei parti difficili ella sia in grado di soccorrere con abilità la partoriente, ma anche che possieda la prontezza necessaria per far fronte agi eventi e per provvedere alla legatura del cordone ombelicale del bambino. Se infatti la placenta viene espulsa insieme con il bambino, il cordone viene separato da essa legandolo con un filo di lana e poi reciso sopra la legatura. Nel punto in cui è stato legato si rimargina, e il tratto seguente cade. Se però il legame si scioglie, il bambino muore per sopravvenuta emorragia.
Accade sovente che il bambino sembri essere nato morto, allorchè presenta un aspetto infermo e il sangue, prima che il cordone venga legato, è accidentalmente defluito nella placenta e regioni circostanti; ma certe levatrici esperte della loro arte fanno riaffluire il sangue all’interno premendo il cordone, e subito il bambino, che prima era rimasto come esangue, riprende vita.
Appena usciti, i bambini emettono un vagito e portano le mani alla bocca. Espellono inoltre del residuo, entro giornata: le donne lo chiamano meconio ed il suo colore è simile alla pece.
11. 588a;
Dopo il parto e le depurazioni, il latte si presenta abbondante nelle puerpere, e in certi casi fluisce non solo dai capezzoli ma da varie parte della mammella, talvolta persino dalle ascelle.
11. 588a;
I bambini sono per la maggiorparte soggetti ad attacchi convulsivi, specie quelli meglio nutriti e alimentati con troppo abbondante o troppo denso. 
Le malattie dei bambini si aggravano nei pleniluni. C’è pericolo per quei bambini in cui le convulsioni abbiano inizio a partire dal dorso. 

Libro VIII (pag. 421) 

1. 588b; 589a
I comportamenti e i modi di vita differiscono secondo l’indole e il tipo di alimentazione.
Nei bambini è dato scorgere come delle tracce e dei germi di quelli che diverranno in futuro i tratti del loro carattere, benchè la loro anima in questo periodo si può dire non differisca molto da quella delle bestie. Dunque non vi è nulla di assurdo se i caratteri psichici degli altri animali sono ora identici ora prossimi ora analoghi a quelli dell’uomo.
2. 589b; 590a; 590b; 591a; 591b
Gli animali vengono divisi secondo i luoghi: gli uni terrestri, gli altri acquatici. Viene trattata in questo paragrafo l’alimentazione degli animali d’acqua. 
3. 592b; 593a; 593b; 594a; Viene trattata in questo paragrafo l’alimentazione degli uccelli. 
4. Viene trattata in questo paragrafo l’alimentazione degli animali a squame cornee. 
5. 594b; 595a; Viene trattata in questo paragrafo l’alimentazione degli animali quadrupedi vivipari. 
6. 595b; Viene trattata in questo paragrafo l’alimentazione di certi tipi di animali (con denti a sega, che bevono succhiando, dotati di corna, ecc.) 
7. Viene trattata in questo paragrafo l’alimentazione dei buoi. 
8. 596a; Viene trattata in questo paragrafo l’alimentazione dei cavalli, muli, asini e cammelli. 
9. Viene trattata in questo paragrafo l’alimentazione di elefanti e cammelli. 
10. 596b; Viene trattata in questo paragrafo l’alimentazione di pecore e capre. 
11. Viene trattata in questo paragrafo l’alimentazione degli insetti. 
12. 597a; 597b; Le attività degli animali sono tutte connesse da un lato alla procreazione e all’allevamento della prole, dall’altro alla ricerca del cibo.
Tutti gli animali possiedono una congenita sensibilità per le variazioni di freddo e caldo. E mentre alcuni trovano nei luoghi stessi in cui sono soliti vivere il modo di proteggersi, altri migrano.
13. 598a; 598b; 599a; Tratta di etologia dei pesci. 
14. Tratta di etologia degli insetti. Alcuni di essi ibernano. 
15. 599b; 600a; Tratta dell’ibernazione. 
16. Prosegue trattazione sull’ibernazione. 
17. 600b; 601a; Prosegue trattazione sull’ibernazione. 
18. 601b;
Gli animali non prosperano tutti nelle medesime stagioni, e neppure sopportano nello stesso modo qualsiasi eccesso stagionale. Il paragrafo tratta di malattie stagionali nelle diverse specie animali. 
19. 602a; 602b; Tratta delle condizioni che favoriscono la buona vita dei pesci.
20. 603a
Neppure i pesci di fiume o di lago sono affetti da alcun morbo contagioso. Alcuni di essi però vengono colpiti da malattie specifiche. Ad esempio il siluro, nuotando alto sull’acqua, soffre la canicola ed è paralizzato dal tuono. Il paragrafo tratta delle condizioni che ostacolano la buona vita degli animali acquatici.
21. 603b; 604a; Il paragrafo tratta delle malattie dei maiali.
22. Il paragrafo tratta delle malattie dei cani.
Una di questa, la rabbia provoca follia e il morso del cane che ne soffre rende idrofobi tutti gli animali morsi tranne l’uomo; e questa malattia è mortale per qualsiasi animale, ad eccezione dell’uomo.
23. Il paragrafo tratta delle malattie dei buoi.
24. 604b; 605a; Il paragrafo tratta delle malattie dei cavalli.
25. Il paragrafo tratta delle malattie degli asini.
26. 605b; Il paragrafo tratta delle malattie degli elefanti.
27. Il paragrafo tratta delle malattie delle api.
28. 606a; 606b; 607a; Il paragrafo tratta delle differenze animali secondo i luoghi (Egitto, Grecia, Libia, Arabia, ecc.).
29. Il paragrafo tratta delle differenze animali secondo i luoghi (zone montuose, pianeggianti, Italia, ecc.).
30. 607b; 608a; Il paragrafo tratta delle differenze animali secondo i loro periodo riproduttivo, le stagioni. 


APPENDICE 

Sommario del Libro VIII (pag. 474) 

Il libro tratta di comportamenti e psicologia animale. 

Sommario del Libro IX (pag. 481) – Sulla Sterilità 


1. Le cause della sterilità possono dipendere dall’uomo o dalla donna. Occorre in primo luogo studiare l’utero di quest’ultima sì da trovarne una terapia se la sterilità dipende da esso.
L’utero è in buona salute quando non duole, svolge bene le sue funzioni e non presenta alcuna secrezione. Occorre in primo luogo che l’utero si trovi nella sua normale posizione per poter ricevere adeguatamente lo sperma. Bisogna poi che le mestruazioni siano regolari sia per frequenza che per quantità.
2. Occorre che il collo dell’utero sia nella posizione appropriata per ricevere lo sperma maschile, che raggiunge lo stesso punto in cui viene emesso quello femminile, e di qui viene aspirato mediante il pneuma.
3. Segni che deve presentare l’utero quando è in buone condizioni.
Casi di gravidanza apparente (“isterica”), che vengono attribuiti all’intervento di una divinità.
4. Varie cause di impedimenti uterini al concepimento: spasmi, tumori, restringimenti dell’imboccatura dell’utero.
Pur essendo l’utero in buono stato e l’uomo fecondo, il concepimento non ha luogo se uomo e donna non eiaculano contemporaneamente.
5. Sintomi che indicano se la causa della sterilità della coppia risiede nell’uomo.
6. Negli animali è chiaro quando le femmine hanno bisogno dell’accoppiamento, perchè esse ne prendono l’iniziativa. 
7. Formazione delle “mole” uterine. 


Inizio
Intro
Il Corpo Biologico
Biografia 

(in azzurro annotazioni del traduttore e/o del commentatore) 

Le Parti degli Animali (pag 483)

De Partibus Animalium 

A cura di Mario Vegetti

Introduzione


L’opera che la tradizione ci ha trasmesso sotto il titolo 
Le Parti degli Animali, consta in realtà, secondo opinione unanime degli studiosi, di due sezioni ben distinte.
Il libro I costituisce una introduzione metodologica generale all’intero gruppo dei trattati biologici di Aristotele, ad esclusione della sola 
Historia Animalium: esso affronta i grandi temi del metodo e del linguaggio della biologia, del rapporto fra elaborazione teorica e materiale d’osservazione, della causalità in campo biologico, dell’importanza e della collocazione della biologia nell’edificio delle scienze. Esso delinea l’evoluzione dei metodi biologici da Empedocle a Democrito all’Accademia platonica, discutendo poi quel metodo della dicotomia che l’Accademia stessa aveva elaborato.
La seconda sezione del 
de Partibus (libri II-IV) è quella cui propriamente spetta il titolo di trattato “sulle parti degli animali”. Il punto di vista che orienta e delimita il trattato sulle Parti è prevalentemente anatomico e morfologico, arricchito da ampi riferimenti ai problemi fisiologici; il metodo è quello comparativo.
La cronologia dell’opera può venir delimitata con un buon margine di sicurezza: essa è certamente posteriore alla 
Historia Animalium, e la stesura definitiva dovrebbe risalire agli anni del ritorno ad Atene e della fondazione del Liceo, cioè fra il 335 e 330 a.c.
Quanto alla tradizione e fortuna del de Partibus, va innanzitutto osservato che essa è, anche fra le opere biologiche, una di quelle meno ricche di commenti antichi, sia greci sia arabi. Probabilmente, sulla traduzione in arabo di Ibn al-Batriq (IX sec. dc), Michele Scoto condusse a Toledo la prima versione latina di tutta la zoologia di Aristotele, verso il 1210 dc. Il de Partibus costituì l’oggetto di un commento in 26 libri di Alberto Magno, scritto intorno alla metà del XIII secolo dc. Pochi anni dopo Guglielmo di Moerbeke compilava la prima traduzione latina del de Partibus condotta sull’originale greco. Essa rimase insuperata fino alla comparsa dell’elegante e rigorosa traduzione rinascimentale dovuta a Teodoro Gaza, stesa intorno alla metà del ‘400. Dopo un’eclissi di fortuna (a favore del 
de Gen. An. In epoca harveyana), la riscoperta dalla fine del ‘700 in poi si ebbe grazie a biologi come Cuvier ed alla filologia germanica (è del 1831 la fondamentale edizione di Bekker). L’opera suscitò anche l’interesse di Darwin da un lato e quella dei biologi vitalisti dall’altro.

I Fondamenti Teorici della Biologia Aristotelica nel De Partibus Animalium

I.

L’Introduzione Metodologica

1. Dalla 
Historia al de Partibus (p. 489)
Il I libro del de Partibus Animalium costituisce un’introduzione teorica e metodica non solo agli altri tre libri dell’opera, ma anche a tutta la produzione biologica aristotelica, quella elaborata negli anni ateniesi del Liceo.
Cambia l’idea stessa di scienza che non verte più sul livello essenziale-formale delle cose, sul loro 
logos ed eidos, che da solo presenta i requisiti imprescindibili di permanenza e invariabilità. La conclusione viene immediatamente trasferita in sede ontologica: “pertanto, nella ricerca del perchè si ricerca a causa della materia, vale a dire di forma (eidos) per cui la materia è una determinata cosa: e questa è appunto la sostanza (ousia)”.
2. Il problema del metodo: modalità e livello di discussione.
“La Cultura”, “Evitare di ripetere le stesse cose”, “Validità del metodo comparativo”, “I Fenomeni”, “La Zoologia Comparata”.
3. La struttura delle cause nella natura vivente.
Il de Partibus tiene ferma la dottrina aristotelica che conoscere scientificamente significa conoscere le cause dei fenomeni. Sono discusse la causa finale (telos), la causa formale (logosousia o einai), la causa efficiente (archè) ed infine la causa materiale (hyle).
4. La struttura scientifica della biologia.
Che cosa significa “conoscere per cause”?.
5. La critica aristotelica alla dicotomia.
L’ampiezza e l’impegno della critica di Aristotele contro la dicotomia, che occupa quasi metà del libro I del de Partibus, si spiegano agevolmente ove si consideri che la dicotomia si presentava, intorno alla metà del IV secolo ac come l’ultima parola di Platone e della sua scuola in fatto di metodo scientifico.
6. L’elogio della biologia.
Il capitolo finale è dedicato per buona parte alla celebre esortazione agli studi biologici. Aristotele ritiene opportuno compiere una nuova valutazione della scienza del vivente alla luce delle sue mature acquisizioni epistemologiche ed ontologiche, che il de Partibus consolida.

II.

L’Anatomia Comparata

1. La disposizione degli argomenti nel trattato (p. 525)

Il vero e proprio trattato inizia con il libro II. Dalla discussione serrata e incalzante sui problemi filosofici e metodici si passa ad un’esposizione più distesa ed organica.
2. Il “metodo per cause” e la costruzione della teoria scientifica.
La metodologia delineata nel libro I viene precisandosi nelle sue strutture. Vengono raggruppate la varietà dei processi e delle attività degli organismi: si tratta dei punti di vista del “necessario (anankion) e del “meglio (beltion). Secondo Vegetti, la biologia di Aristotele non è dunque finalistica più di quanto non sia meccanicistica.
3. I principi dell’anatomia comparata.
I maggiori principi dell’anatomia comparata aristotelica sono:

  • La natura adatta l’organo alla funzione. Così per esempio è possibile comparare le penne degli uccelli e le squame dei pesci sulla base della comune funzione del tegumento.

  • La natura non fa nulla invano. Questo non significa, secondo Vegetti, che tutto sia finalizzato in natura, ma piuttosto che esiste in ogni caso tra funzione e struttura una relazione significativa ed esprimibile al livello teorico mediante analisi delle cause.

  • La natura cerca sempre di porre riparo all’eccesso di una parte associandola alla parte contraria, perché l’una compensi l’eccesso dell’altra (principio di compensazione). E’ impossibile che la natura assegni la stessa eccedenza a molte regioni contemporaneamente (principio degli equivalenti organici).

  • Il principio della divisione del lavoro organico per il quale è preferibile che ad un solo organo sia assegnata una sola funzione. Dal principio della divisione consegue la legge secondo cui tanto maggiore è la complessità delle funzioni e dei rapporti con l’ambiente di un organismo, tanto maggiore dovrà essere il numero delle sue parti e la complessità della sua organizzazione. In effetti, la cosiddetta “scala naturale” di Aristotele, che va dalle piante all’uomo, altro non significa se non un succedersi di indici di complessità funzionale e quindi strutturale sempre più elevati.

  • La natura da un organo solo a chi è in grado di impiegarlo, e non concede più di un organo efficace per ogni funzione.

  • Un solo principio nell’organismo, laddove è possibile, è preferibile a molti.

  • Il maschio è superiore alla femmina, l’alto al basso, il davanti al dietro, la destra alla sinistra. Anche questo principio appare ad Aristotele giustificato dall’esperienza.

  • Continuità della natura: “La natura passa senza soluzione di continuità dalle cose inanimate agli animali per il tramite di esseri che, pur essendo viventi, non sono tuttavia animali”.

  • L’uomo è il solo animale in cui il corpo sia organizzato secondo perfetta normalità naturale, soprattutto grazie alla posizione eretta. Per Aristotele, comunque, non vi è alcuna comunicazione dinamica tra le diverse specie, ed è il vertice di una gerarchia statica che l’uomo occupa.

4. I capisaldi scientifici.
All’inizio del libro II del de Partibus Aristotele espone a grandi linee la sua teoria sulla formazione degli organismi viventi a a partire dai componenti elementari della materia. Tale formazione avviene per un processo di “sintesi” o composizione articolato in tre fasi successive, che segnano progressivi livelli di specificazione formale della materia. La prima fase è quella della costituzione della materia vivente a partire dagli “elementi” (terra, acqua, aria e fuoco) e dalla qualità attive o dynameis(caldo-freddo, solido-liquido). Nella seconda fase si formano le “parti omogenee” dell’organismo (carne, ossa, vene, sangue, ecc.), cioè i tessuti; queste danno poi luogo, nella terza fase, alle “parti non omogenee”, cioè agli organi.
I tessuti sono diversi dagli organi così come un pezzo di vena (tessuto) è diverso da una vena (organo).
La categoria della finalizzazione permette di giungere all’idea di un apparato (tegumentario, digerente, ecc.), per cui organi diversi hanno attività rivolte alla stessa funzione (rivestimento dell’organismo, elaborare il cibo, ecc.).
Principio del sangue e delle vene, cioè del calore vitale, il cuore è dunque il focolare della vita e l’acropoli dell’organismo. Ciò è confermato dalla presenza del cuore stesso o di una parte analoga in tutti gli animali, mentre il cervello, secondo Aristotele, manca in molti animali non sanguigni. Giacchè il principio deve essere unico, il cuore sarà dunque anche il principio di quell’attività percettiva che è l’elemento essenziale della definizione dell’animale. Del resto i battiti e i trasalimenti del cuore, quando si provano emozioni, ne confermano il ruolo primario nella sensibilità. Al cervello, non può dunque toccare, secondo le indicazioni di Filistione di Locri, che una funzione di refrigerazione dell’organismo: esso appartiene pertanto a quell’apparato di “raffreddamento” cui spetta di compensare il calore cardiaco e che comprende anche i polmoni.
Il termine 
neuron designa, invece, in Aristotele i tendini, cui è assegnata l’attività della contrazione muscolare e che connettono i diversi segmenti ossei.
Ben articolata è invece la descrizione del sistema vascolare. Due vene principali, la grande vena (vena cava) e l’aorta, si dipartono dal cuore, da cui ricevono il sangue e, ramificandosi in un fitto sistemi di capillari, lo distribuiscono a tutte le parti del corpo. D’altra parte, le vene ricevono dagli intestini, attraverso il mesenterio, il liquido nutritivo cui da luogo il cibo elaborato e lo trasmettono per evaporazione al cuore, che lo trasforma in sangue. La dottrina è solo imperfettamente esposta nel 
de Partibus.
L’altro sistema chiaramente descritto è quello osseo: le ossa si dipartono dal loro principio, che è la colonna vertebrale, e costituiscono un insieme continuo attorno al quale si struttura l’intero corpo.
Più interessante è la descrizione aristotelica degli apparati. Quello percettivo-sensorio, che ha il suo centro nel cuore, consta di 2 diversi gruppi di sensi e di rispettivi organi. Il primo gruppo comprende il tatto e il gusto, il cui supporto organico, che riceve la sensazione e la trasmette al cuore, è la carne. Il secondo gruppo comprende udito, vista e olfatto: Aristotele spiega che sono siti nella testa testa perchè abbisognano di sangue freddo e puro, quale appunto si trova nel cervello; i condotti adducono poi la sensazione alle vene, dalle quali essa perviene al cuore.
Il polmone effettua, secondo Aristotele, il raffreddamento mediante l’aria inspirata dall’esterno.
La fisiologia della digestione è concepita da Aristotele sulla scorta della tradizione medica, come un processo nel quale il cibo viene elaborato con successive fasi di “cozione” 
(pepsis), dovute al calore dell’organismo e progressivamente trasformato(metabolè) in siero nutritivo e poi sangue. La parte di sangue che non può essere concotta diventa un residuo e viene espulsa sotto forma di escrezione liquida o solida. Nello stomaco si effettua propriamente la cozione, grazie al calore organico il cui principio risiede nel cuore. Alla cozione contribuiscono, con il loro calore, anche fegato e milza. L’intestino, invece, procede all’evacuazione del residuo solido.
SISTEMATICA: gli animali sono divisi in 2 grandi gruppi, definiti dalla presenza o assenza di sangue. Il gruppo degli animali sanguigni corrisponde al nostro gruppo dei vertebrati, quello dei non sanguigni agli invertebrati.
Tenendo invece presente il tipo di respirazione, Aristotele può dividere i cetacei e le foche dai pesci.

MARIO VEGETTI (“riassuntato” da Concetto De Luca) 

Inizio
Il De Partibus
Aristotele
Il Liceo
Il Corpus Biologicum Aristotelicum

(Riassunto di Concetto De Luca sul testo di Mario Vegetti, 06/12/2012) 

De Partibus Animalium

Libro I (pag. 555) 

1. 639a; 639b; 640a; 640b; 641a; 641b; 642a; 642b;
Discorso introduttivo sulla disposizione alla conoscenza ed indagine ed analisi delle ricerche filosofiche antiche sulla formazione del cosmo così come sulla formazione degli animali e delle piante.
Deve lo studioso della natura osservare prima i fenomeni relativi agli animali e le parti di ognuno di essi, per poi spiegare il perchè e le cause, oppure procedere in qualche altro modo? Sembra che il punto di partenza debba consistere nel raccogliere i fenomeni relativi a ciascun genere, e che si debbano poi esporre le loro cause e trattare della generazione.
Se però l’uomo e gli animali sono esseri naturali, come pure le loro parti, allora occorre trattare della carne, delle ossa, del sangue e di tutte quelle parti omogenee; e similmente delle parti non omogenee, quali il viso, le mani, i piedi. Non è sufficiente dire da quali elementi risultano (ad esempio dal fuoco o dalla terra); occorre parlare anche della sua configurazione e dire quale sia la sua forma.
Anche il cadavere ha lo stesso aspetto esteriore, e tuttavia non è uomo. Da questo punto di vista, chi studia la natura dovrà parlare più dell’anima che della materia, tanto più che la materia è natura grazie alla prima piuttosto che il contrario .
Tocca alla stessa scienza studiare il pensiero ed il pensabile, poiché essi sono correlati, e di ogni gruppo di correlati vi è un’unica conoscenza.
Ma certo non è l’anima nella sua totalità ad essere principio di mutamento, né tutte quante le sue parti; ma ve n’è una, come nelle piante che è principio di accrescimento, un’altra, quella sensoriale, dell’alterazione, un’altra ancora del movimento, e non è quella pensante. Il pensiero discorsivo è proprio dell’uomo.
Il seme è principio di formazione da cui la creatura deriva. Ciò avviene per natura. Ma va aggiunto che anteriore al seme è ciò di cui il seme è principio. Il seme ha una duplice relazione, con ciò da cui proviene (per esempio il cavallo) e con ciò che ne proviene (per esempio il mulo).
Vi sono dunque queste due cause, quella relativa alla finalità e quella relativa alla necessità.
2. 
Prosegue il discorso introduttivo metodologico.
Alcuni cercano di cogliere la singola specie dividendo il genere in due differenze. Questo da un lato non è semplice, dall’altro è impossibile.
3. 643a; 643b; 644a
Prosegue il discorso introduttivo metodologico.
Inoltre, è secondo la privazione che è necessario dividere, e in effetti così dividono coloro che seguono il procedimento dicotomico. Ma non v’è differenza nella privazione in quanto privazione: giacchè è impossibile che vi siano specie di ciò che non è.
Seguendo il modo dicotomico o non sarà possibile fare presa sui generi (poiché lo stesso genere ricade sotto più divisioni e generi opposti nella stessa), oppure vi sarà una sola differenza, e questa, sia semplice, sia risultante da una combinazione, costituirà la specie ultima.
4. 644b;
Prosegue il discorso introduttivo metodologico. 
5. 645a; 645b; 646a
Prosegue il discorso introduttivo metodologico. Qui si entra anche nel poetico quando si parla della conoscenza delle cose divine (“per quanto poco noi possiamo attingere delle realtà incorruttibili…ce ne viene più gioia…così come una visione pur fuggitiva e parziale della persona amata…”)
Delle realtà che sussistono per natura, alcune, ingenerate e incorruttibili, esistono per la totalità del tempo, altre invece partecipano alla generazione e distruzione. Circa le prime, che sono nobili e divine, ci tocca di avere minori conoscenze, giacchè sono pochissimi i fatti accertati dall’osservazione sensibile a partire dai quali si possa condurre l’indagine su tali realtà. Quanto alle cose corruttibili, piante e animali, la nostra conoscenza è più agevole grazie alla comunanza di ambiente.
Il corpo è in qualche modo finalizzato all’anima, e ognuna delle sue parti alla funzione alla quale è destinata per natura.

Libro II (pag. 586)

1. 646b; 647a; 647b;
Di quali e quanti libri sia costituito ciascun animale, è strato mostrato ben chiaramente nelle Ricerche sugli Animali; occorre ora indagare per quali cause ogni di esse presenti questo aspetto, trattando separatamente le varie parti descritte nelleRicerche. 
Tre sono i livelli di composizione:
Il primo è dato dagli elementi (terra, aria, acqua e fuoco) e dalla loro combinazione secondo le forme attive (fluido, solido, caldo, freddo, pesantezza, leggerezza, densità, rapidità, ruvidezza, levigatezza, ecc).
Il secondo, risultante dagli elementi primi, costituisce negli animali la natura delle parti omogenee, come osso, carne, e le altre dello stesso genere.
Il terzo è la composizione delle parti non omogenee, come il viso, la mano, ecc.
Ora, l’ordine del processo di formazione è contrario a quello dell’essenza della cosa stessa: ciò che è posteriore nel processo è anteriore secondo natura. Non è infatti la casa ad essere finalizzata ai mattoni e alle pietre, ma questi alla casa. Cronologicamente, dunque sono per necessità anteriori la materia e la formazione, ma secondo l’ordine lo sono l’essenza della cosa stessa e la rispettiva forma.
L’essere finalizzata a qualcosa è la causa per la quale le parti sono organizzate (secondo mollezza, fluidità, durezza, ecc.). E’ possibile, difatti, che le parti non omogenee (che hanno caratteristiche simili a quelle parti che oggi potremmo quasi chiamare organi) siano costituiti da quelle omogenee (che hanno caratteristiche simili a quelle parti che oggi quasi potremmo chiamare tessuti) e non il contrario.
Fra le parti degli animali alcune hanno una funzione strumentale, altre sensoriale; tutte quelle strumentali sono non omogenee, mentre invece la sensazione ha sempre luogo in quelle omogenee perchè ognuno dei sensi è relativo ad un sol genere e la parte sensoriale deve essere atta a ricevere i rispettivi percepibili. Avviene in modo del tutto razionale che il tatto abbia bensì luogo in una parte omogenea, ma nella meno semplice fra quelle sensoriali. Sembra infatti che il tatto in modo speciale sia relativo a più generi di oggetti, anche contrari tra loro (caldo-freddo, solido-fluido, ecc.).
Giacchè le facoltà che presiedono alla percezione, al movimento animale e alla nutrizione, risiedono nella stessa parte del corpo, è necessario che la parte che per prima possiede tale principi, in quanto è atta a ricevere ogni percepibile, appartenga alle parti semplici, in quanto invece provvede al movimento e alle funzioni, appartenga a quelle non omogenee. Perciò tale parte, negli animali sanguigni, è il cuore, e la parte ad essa analoga negli animali non sanguigni.
2. 648a; 648b; 649a; 649b;
Fra le parti omogenee molli e fluide degli animali alcuni possono essere tali permanentemente oppure finchè restino nell’organismo vivente (come il sangue, il siero, il grasso, il sego, il midollo, lo sperma, la bile, il latte, la carne e le parti analoghe).
Sia per le parti fluide che per quelle solide, vi sono più modi della causalità. Alcune fungono da materia per le parti non omogenee, altre poi, fra quelle fluide, sono il nutrimento delle parti non omogenee stesse; altre infine rappresentano il residuo delle precedenti.
Le differenze reciproche intercorrenti fra queste stesse parti, come avviene per esempio tra sangue e sangue, sono finalizzate al meglio. Infatti il sangue più denso e più caldo è meglio atto a produrre forza, quello più rado e più freddo meglio favorisce le facoltà percettive ed intellettuali. Gli animali migliori, però sono quelli che l’hanno caldo e puro: essi sono contemporaneamente ben dotati sia di coraggio che d’intelletto. Perciò le parti superiori presentano le stesse differenze di spirito rispetto a quelle inferiori, e ancora il maschio rispetto alla femmina, e le parti di destra del corpo rispetto a quelle di sinistra.
Aristotele continua e conclude il capitolo argomentando sul “caldo” ed il “freddo”. 
3. 650a; 650b;
Argomentazione sul “solido” ed il “fluido”.
Discorso sull’elaborazione del cibo e la sua correlazione con il sangue.
4. 651a; 
Argomentazione sul sangue.
Il siero, dal canto suo, è la parte acquosa del sangue, in quanto non ha ancora subito la cozione o si è già corrotto: nel primo caso caso è finalizzato al sangue, nel secondo risulta da un processo necessario.
5. 651b;
Il grasso e il sego differiscono tra loro secondo la differenza di sangue. Essi derivano dal sangue. Infatti gli animali non sanguigni neppure hanno sego o grasso. Fra gli animali sanguigni, quelli che hanno il sangue corposo presentano piuttosto sego che grasso.
Una moderata presenza di sangue o sego nelle parti degli animali è utile, giacchè non è di ostacolo alle facoltà percettive e giova invece alla salute e alla forza.
Gli animali grassi sono più sterili perchè quella parte di sangue che avrebbe dovuto dar luogo al liquido seminale e allo sperma, si consuma nella formazione del grasso e del sego.
6. 652a;
Anche il midollo è formato dal sangue e non costituisce la proprietà seminale dello sperma. 
Il midollo spinale deve essere continuo ed in grado di stendersi attraverso l’intera colonna vertebrale, pur essendo quest’ultima divisa in vertebre. Perciò non deve essere simile al grasso e ad al sego in quanto risulterebbe untuoso e non potrebbe essere continuo ma risulterebbe friabile o fluido.
Il midollo è dunque quel residuo di nutrimento sanguigno spettante alle ossa e alla spina, che, racchiuso in esse, ha subito il processo di cozione. La sua funzione “dovrebbe” essere quella di permettere, come i legamenti, i movimenti delle ossa. 
7. 653a; 653b;
Viene quasi naturale a questo punto parlare del cervello, perchè a molti pare che anche il cervello sia midollo, cioè principio del midollo, a causa della continuità che essi constatano fra il cervello e il midollo spinale. Eppure le loro nature sono, si può dire, opposte in modo assoluto: il cervello è la parte del corpo più fredda, il midollo invece è caldo per natura. Questo spiega perchè vi è continuità tra il midollo spinale e il cervello: la natura cerca infatti sempre di porre riparo all’eccesso di una parte associandola alla parte contraria, perchè l’una compensi l’eccesso dell’altra. La freddezza del cervello è manifesta al tatto, e inoltre esso non contiene sangue ed è asciutto.
La presenza del cervello negli animali è in funzione della conservazione dell’intero organismo. Poiché ogni elemento richiede un forza contraria, in modo da stabilire l’equilibrio e la medietà, è per queste cause che la natura ha congegnato il cervello come contrappeso alla regione del cuore ed al calore in essa contenuto.
Il cervello tempera il calore e l’ebollizione che han luogo nel cuore; ma affinché anche questa parte abbia un suo moderato calore, da ognuna delle due vene, quella grande e l’aorta, si dipartono altre vene che terminano alla membrana che avvolge il cervello. Per non danneggiarlo con il loro calore, le vene che circondano il cervello, invece di essere poche e grandi, sono numerose e sottili, e il sangue è rado e puro.
Mentre le esalazioni del cibo si muovono verso l’alto e le vene, il residuo, raffreddato dalle proprietà di quella regione, produce flussi di flegma e siero.
Il cervello produce anche il sonno negli animali che possiedono questa parte. Raffreddando infatti l’afflusso di sangue che proviene dal nutrimento, esso appesantisce la regione circostante e fa sì che il calore rifugge verso il basso insieme con il sangue. La loro eccessiva accumulazione nelle regioni inferiori determina il sonno, e toglie la capacità di mantenere la posizione eretta negli animali per i quali tale posizione è naturale.
Fra gli animali, l’uomo ha il cervello più grande in rapporto alle sue dimensioni, e tra gli uomini i maschi l’hanno più grande delle femmine: in entrambi i casi, infatti la regione del cuore e del polmone è la più calda e ricca di sangue. Ed è per questo che l’uomo soltanto, fra gli animali ha posizione eretta: la natura del calore con la propria forza fa sì che l’accrescimento avvenga, a partire dal centro, nella stessa direzione. All’abbondante calore si deve dunque contrapporre una maggiore quantità di elemento fluido e freddo.
L’uomo ha anche il maggiore numero di suture craniche, e il maschio ne ha più della femmina, perchè la regione sia ben aerata in proporzione alla grandezza del cervello.
8. 654a;
La carne è il principio della corporeità stessa degli animali. Ciò è chiaro secondo la definizione stessa di essenza: definiamo infatti l’animale come ciò che possiede sensi, e in primo luogo il primo dei sensi.
Argomentazione sulle differenze nelle varie specie animali tra la parte ossea e il resto del corpo. 
9. 654b; 655a; 655b;
Vi è somiglianza fra la natura delle ossa e quella delle vene. Le une e le altre costituiscono un sistema continuo che parte da un solo punto.
Principio delle vene è il cuore, delle ossa è la colonna vertebrale.
La carne, alla quale è finalizzata l’insieme delle ossa, si forma intorno alle ossa stesse, cui è connessa con legami sottili e fibrosi.
La regione ventrale è priva di ossa, perchè non siano impediti il rigonfiamento che sempre e di necessità si verifica in seguito all’ingestione del cibo, e, nelle femmine, l’accrescimento interno dell’embrione.
La natura della cartilagine è la stessa di quella dell’osso, ma differiscono per “il più e il meno”: così né l’uno né l’altro crescono quando sono stati tagliati.
10. 656a; 656b; 657a;
Per tutti gli animali compiutamente sviluppati due sono le parti più necessarie: quella con cui ingeriscono il nutrimento e quella con cui espellono i residui; non è possibile esistere né accrescersi senza nutrimento. 
L’uomo è il solo degli animali ad avere posizione eretta: soltanto in esso le parti naturali seguono l’ordine della natura, e la sua parte superiore è orientata verso la parte superiore dell’universo.
Che invece il principio delle sensazioni sia la regione del cuore, è già stato definito nel trattato sulla Percezione. Il tatto e il gusto sono manifestamente collegati al cuore, l’olfatto occupa una posizione intermedia mentre l’udito e la vista sono normalmente siti nella testa a causa della natura dei rispettivi organi di senso.
La vista è prossima al cervello: questo è infatti fluido e freddo, quella è di natura acquosa. I più esatti tra i sensi devono necessariamente ottenere questa loro maggior esattezza grazie a quelle parti in cui il sangue è più puro, perchè il movimento del calore che è nel sangue ostacola l’attività percettiva: perciò gli organi di tali sensi sono siti nella testa.
È razionale che alcuni animali abbiamo anche l’udito nella regione della testa: il cosiddetto “vuoto” è infatti pieno d’aria, e noi diciamo che la parte sensoriale dell’udito è composto di aria.
Dagli occhi si dipartono i condotti che giungono alle vene attorno al cervello. Ma nessuna delle parti prive di sangue né il sangue stesso hanno facoltà percettive, possedute invece da alcune delle parti composte di sangue.
Negli animali che possiedono il cervello, esso è sempre sito nella zona anteriore, perchè la percezione è sempre rivolta in avanti, perchè essa viene dal cuore che si trova nella zona anteriore, e perchè il processo percettivo ha luogo tramite le parti sanguigne, mentre la cavità posteriore della testa è priva di vene.
11. 
Anche negli altri animali questi organi di senso sono perfettamente disposti in rapporto con la natura propria di ogni specie. 
12. 
Prosegue l’argomentazione sugli organi di senso negli animali.
13. 657b; 658a;
Gli uomini, gli uccelli, i quadrupedi sia vivipari che ovipari hanno una protezione per la vista.
Ed è per questo che tutti gli animali, soprattutto l’uomo, battono le palpebre: tutti lo fanno per impedire a ciò che proviene dall’esterno di entrare nell’occhio, e non si tratta di un gesto volontario bensì di un movimento naturale.
Prosegue l’argomentazione sugli organi di senso negli animali.
14. 568b;
Argomentazione sulla presenza dei peli negli animali.
Fra tutti gli animali, l’uomo è quello che ha la testa più pelosa: da un lato per necessita, a causa della fluidità del cervello e delle suture (dove vi sono fluido e calore in maggiore quantità, là è necessario che la crescita sia maggiore); e dall’altro in funzione della protezione.
15.
Argomentazione sulla presenza dei peli negli animali.
Le sopracciglia e le ciglia hanno entrambe una funzione protettiva: le prime nei riguardi dei fluidi che scendono dall’altro, formando una sorta di grondaia, le secondo nei riguardi degli oggetti che possono colpire gli occhi.
16. 659a; 659b; 660a;
Argomentazione sulla presenza dell’olfatto, delle labbra e lingua negli animali.
Gli uomini hanno labbra morbide, carnose e in grado di separarsi l’una dall’altra; esse sono finalizzate, come negli altri animali alla protezione dei denti, ma ancor di più sono in funzione dell’uso del linguaggio.
La lingua nell’uomo percepisce i sapori e permette il linguaggio.
17. 660b; 661a;
Argomentazione sulla presenza della lingua negli animali.
L’uomo ha la lingua più sciolta, molle e larga perchè possa assolvere entrambe le sue funzioni.
Tutti gli animali desiderano il cibo perchè possono percepire le piacevoli sensazioni derivanti dal cibo stesso: si desidera sempre il piacevole.


Libro III (pag. 635)

1. 661b; 662a; 662b;
In tutti gli animali i denti hanno in comune la funzione della masticazione del cibo, e poi funzioni speciali secondo i generi (arma difensiva o offensiva).
L’uomo dal canto suo ha i denti perfettamente conformati in funzione dell’uso comune, essendo quelli anteriori acuminati, per poter incidere, mentre i molari sono larghi per poter triturare.
Gli animali possiedono inoltre la bocca, sia in vista di queste stesse funzioni sia, ancora, della respirazione (gli animali cioè che respirano e sono raffreddati dall’esterno).
Si è dunque praticamente completata la trattazione delle varie parti site nella testa; ma nell’uomo la parte intermedia tra la testa e il collo si chiama “viso”, derivando questo nome dalla sua funzione: infatti essendo il solo animale ad avere la posizione eretta, l’uomo è il solo che guarda dritto in avanti ed emette la voce pure in avanti.
2. 663a; 663b; 664a;
Argomentazione sulla presenza delle corna negli animali. 
3. 664b; 665a;
Sotto la testa si sviluppa il collo, in quelli animali che lo possiedono. Il collo è in funzione della presenza della laringe e dell’esofago.
La laringe è finalizzata alla respirazione: è attraverso di essa che gli animali introducono ed espellono l’aria.
L’esofago è il condotto attraverso il quale il cibo passa nello stomaco, sicchè gli animali che non hanno collo neppure possiedono un esofago ben distinto. Del resto non è necessario avere l’esofago in funzione del nutrimento, giacchè esso non concorre affatto all’elaborazione. L’esofago è carnoso e ha l’elasticità di un tendine.
Invece la cosiddetta laringe e trachea sono costituite di materiale cartilaginoso: esse non sono finalizzate solo alla respirazione ma anche alla voce, e ciò che deve risuonare occorre sia levigato e duro. La trachea è sita davanti all’esofago, benchè gli sia d’impedimento nell’ingestione del cibo: se infatti una parte del cibo, solido o liquido, passa nella trachea, essa causa soffocamento, dolori e tosse violenta.
La trachea, a causa del suo essere sita anteriormente, viene, come si è detto, disturbata dal cibo. La natura, però ha congegnato l’epiglottide per far fronte a questo.
Poiché il cuore è necessariamente sito al primo posto sul davanti, è necessario che anche la laringe e la trachea siano poste davanti all’esofago: quelle conducono infatti ai polmoni e al cuore, questo allo stomaco. In generale, ciò che è migliore e più nobile tende a trovarsi in alto, al davanti e alla destra.
4. 665b; 666a; 666b; 667a; 667b
I visceri sono propri degli animali sanguigni. 
Il cuore è il principio delle vene. Manifestamente, esse si dipartono dal cuore e non lo attraversano. Nel cuore soltanto, fra tutti i visceri e tutte le parti del corpo, v’è sangue senza vene. Tutto ciò è reso più chiaro dalle dissezioni e dalle ricerche embriologiche: il cuore, che si forma per primo fra tutte le parti, appare infatti immediatamente irrorato dal sangue. Negli embrioni, infatti, il cuore appare immediatamente in moto, prima di ogni altra parte, come se fosse un essere vivente, proprio perchè esso è il principio della natura negli animali sanguigni.
È necessario che vi sia un solo principio di queste ultime.
Laddove è possibile, un solo principio è infatti meglio che molti.
Anche la posizione del cuore indica che esso è sito in una regione che si conviene ad un principio: è al centro, più verso l’alto che verso il basso, è più in avanti che indietro.
Non è corretta la tesi di quanti affermano che il principio delle vene è nella testa. In primo luogo stabiliscono una pluralità di principi dispersi; poi li pongono in un luogo freddo.
I moti causati dalle sensazioni di piacere e di dolore, e in generale da ogni sensazione, appaiono avere principio nel cuore ed in esso concludersi. Poiché nessuna delle parti prive di sangue né il sangue stesso possiedono facoltà percettive, è chiaro che ciò che fin dall’inizio contiene il sangue come in un vaso è necessariamente il principio.
Nessuno potrebbe pensare che il fegato, che è presente in tutti gli animali sanguigni, sia principio né dell’intero corpo né del sangue: non è affatto sito in corrispondenza della posizione propria di un principio, e del resto negli animali meglio sviluppati ha una sorta di contrappeso, la milza. Inoltre non possiede esso stesso, come il cuore, un ricettacolo del sangue. Ancora, una vena passa attraverso il fegato, mentre nessuna attraversa il cuore.
Il cuore ha anche abbondanza di tendini, e ciò ben a ragione: da esso infatti hanno origine i movimenti, e il cuore ha dunque bisogno di un tale strumento e di una tale forza.
Esso è privo di ossa ad eccezione dei cavalli e di un certo genere di buoi.
Negli animali di grandi dimensioni il cuore ha 3 ventricoli. Fra di essi, quello di destra contiene il sangue più abbondante e più caldo (questo spiega anche perchè le parti di destra del corpo siano più calde), quello di sinistra invece pochissimo sangue e più freddo, quello centrale infine ha sangue di quantità e calore intermedi, però purissimo.
Gli animali dotati di scarsa sensibilità hanno il cuore duro e denso, quelli più paurosi (o aggressivi per paura) hanno un cuore grande (in quanto il calore si disperde prima e il sangue risulta più freddo).
Unico fra tutti i visceri e, in generale, fra tutte le parti del corpo, il cuore non può sopportare alcuna serie affezione, e questo a ben ragione. Se infatti il principio è malato, non v’è nulla da cui possano ricevere aiuto le altre parti da cui esso dipendono. Infatti, in nessuna delle vittime dei sacrifici è stata riscontrata una sua affezione delle gravità di altri visceri. I reni in effetti appaiono spesso pieni di calcoli, tumori e ascessi, e così il fegato, come pure il polmone e soprattutto la milza.
5. 668b;
Alla grande vena ed all’aorta tocca per prime di ricevere il sangue dal cuore, mentre le altre sono loro ramificazioni. Causa del fatto che esse terminano in un solo principio e da uno solo si dipartono, è che tutti gli animali hanno in atto una sola anima dotata di sensibilità, sicchè unica è anche la parte che fino dall’inizio la contiene. Esso sono però due, siccome il corpo degli animali dotati di sangue e di locomozione è bilaterale.
Poiché le parti del corpo sono costituite di sangue, ci si deve aspettare che il corso delle vene si sviluppi attraverso tutto il corpo: bisogna infatti che il sangue tutto attraversi e sia dappertutto. Ciò assomiglia al modo in cui sono costruiti i canali di irrigazione nei giardini. Ciò diviene del tutto evidente nei corpi assai dimagriti, in cui nient’altro è visibile tranne le vene, proprio come accade alle foglie della vita: quando sono dissecate, ne restano soltanto le venature.
Le vene vanno continuamente restringendosi, finchè diventano troppo piccole per permettere il passaggio al sangue con la sua densità. Se non i può passare il sangue, vi passa invece quel residuo dell’umore liquido che chiamiamo sudore, allorchè il corpo è riscaldato e l’orifizio delle piccole vene ne risulta dilatato.
La grande vena e l’aorta, che in alto sono distanziate, incrociandosi in basso cingono l’intero corpo.
6. 669a; 669b;
Alcuni generi di animali possiedono un polmone (il singolare è dovuto al fatto che Aristotele considera il polmone un organo unico, benchè bipartito. Questa convinzione si basa anche sul fatto che ai polmoni porta un unico condotto, la trachea) perchè vivono in ambiente terrestre. È necessario infatti che il calore venga raffreddato, e questo, negli animali sanguigni, deve avvenire dall’esterno, perchè sono troppo caldi.
Il polmone è l’organo della respirazione; esso riceve dal cuore il principio del movimento, ed offre ampio spazio all’ingresso dell’aria grazie alla sua porosità e alla sua grandezza: quando esso si solleva l’aria affluisce, quando si contrae essa torna a defluire.
In generale, il polmone è finalizzato alla respirazione; esso è privo di sangue ed è tale in vista delle esigenze di un determinato genere di animali: non esiste però un nome comune per disegnare gli animali dotati di polmone.
7. 670a; 670b; 
Sembra che alcuni visceri siano semplici, come il cuore e il polmone, altri duplici, come i reni; altri ancora non si sa a quale gruppo attribuirli. Parrebbe infatti che il fegato e la milza appartengano ad entrambi i gruppi: essi possono essere considerati sia come organi distinti e semplici, sia come due organi che tengono il luogo di uno solo ed hanno natura simile (la connessione di fegato e milza era dottrina comune nella biologia prearistotelica, come per esempio nel Timeo di Platone).
In effetti tutti i visceri sono doppi. Ne è causa la struttura del corpo che è bipartita benchè si unifichi in un sol principio: essa presenta un “sopra” e un “sotto”, un “davanti” e un “dietro”, una “destra” e una “sinistra”. Perciò anche il cervello, come pure ognuna delle parti sensoriali, tende ad essere sempre bipartito. Il cuore, con i suoi ventricoli, soddisfa lo stesso requisito. Quanto al polmone, almeno negli ovipari, esso è così ben diviso che sembra ne abbiano due. Che i reni siano duplici è chiaro a chiunque. Quanto però al fegato e la milza, il dubbio è giustificato. Ne è causa il fatto che negli animali che hanno milza per necessità, essa può sembrare una sorta di fegato spurio. Poiché il fegato giace in posizione piuttosto spostata a destra, si è venuta a formare la milza.
Le vene sono come àncore lanciate nel corpo attraverso le parti estese: dalla grande vena esse si dirigono al fegato e alla milza (la natura di questi due visceri è di essere come dei chiodi che fissano la grande vena al corpo, mentre i reni la fissano al dorso).
Il fegato e la milza collaborano inoltre alla cozione del cibo, mentre i reni sono utili in relazione al residuo secreto nella vescica.
Il cuore dunque e il fegato sono necessari a tutti gli animali, l’uno in funzione del principio del calore (dev’esservi infatti un organo in cui, come un focolare, risieda la vivificante scintilla della natura), l’altro, il fegato in funzione della cozione.
I reni e la vescica sono posseduti in virtù della stessa funzione.
8. 671a;
Non tutti gli animali hanno una vescica; la natura sembra averla voluta dare solo a quelli il cui polmone è irrorato di sangue. Infatti per la naturale eccedenza che essi presentano in tale regione, hanno più sete di ogni altro animale, ed abbisognano non solo di cibo solido, ma anche di una quantità maggiore di liquido, sicchè di necessità viene prodotta una maggiore quantità di residuo.
9. 671b; 672a; 672b;
Simile è la situazione per quanto riguarda i reni.
Il condotto che si diparte dalla grande vena non termina nella cavità dei reni, ma si risolve nella parte corporea.
Dalla cavità dei reni due solidi condotti privi di sangue vanno alla vescica, ed altri robusti e compatti, vi si dirigono a partire dall’aorta. Questi organi presentano tale assetto perchè, da un lato, il residuo dei fluidi possa passare dalla vena ai reni, dall’altro i fluidi siano stati filtrati attraverso la parte corporea dei reni stessi, il deposito che ne risulta possa raccogliersi al centro, dove per lo più è sita la cavità renale. Dalla cavità centrale, poi, il deposito – che ormai è piuttosto un residuo – passa alla vescica attraverso quei condotti.
10. 673a; 673b;
Il cuore e il polmone sono separati dal fegato, milza e reni dal diaframma.
Esso è chiamato anche centro frenico e separa il cuore dallo stomaco. Ne è causa il fatto che esso funge da divisione fra la regione dello stomaco e quella cardiaca, in modo che il principio dell’anima dotata di sensibilità non risenta affezioni e non sia immediatamente investito da esalazioni sprigionatesi dal cibo e dalla quantità di calore che viene introdotto dall’esterno. A questo scopo la natura ha disposto una separazione facendo de centro frenico quasi uno sbarramento e un recinto, e ha diviso così la parte più nobile da quella meno nobile.
Presso le costole il diaframma è più carnoso e forte, al centro invece è più simile a una membrana: questo è infatti l’assetto più utile a conferirgli forza e elasticità.
Il diaframma è chiamato centro frenico, come se avesse qualche parte nel pensare. Non ne partecipa affatto ma, trovandosi vicino alle parti che ne partecipano, rende manifesti i mutamenti del pensiero.
Che solo l’uomo soffra il solletico è causato sia dalla finezza della sua pelle sia dal fatto che l’uomo soltanto, fra tutti gli animali, ride.
11. 
Tutti i visceri sono racchiusi in una membrana: essi abbisognano infatti di un tegumento protettivo per essere al riparo da affezioni, e questo deve essere leggero.
Le più grandi e le più forti fra le membrane sono quelle che avvolgono il cervello ed il cuore, e ciò ben a ragione: questi organi richiedono infatti la maggiore protezione.
12. 674a;
Discorso sulle differenze dei visceri nelle varie specie animali. 
13. 
Discorso sui visceri. 
14. 674b; 675a; 675b; 676a
Sotto il diaframma è posto lo stomaco. Allo stomaco fa seguito il cosiddetto intestino.
È necessario che il cibo ingerito sia raccolto e che, una volta utilizzatine gli umori, esso sia espulso, e ancora che non vi sia una sola regione destinata sia al cibo non cotto sia al residuo. Una parte accoglierà il cibo ingerito, un’altra il residuo superfluo.
Discorso sulle differenze dei diversi tipi di stomaco e intestini nelle varie specie animali. 
15. 
Discorso sul caglio.

Libro IV (pag. 678)

1. 676b;
Discorso sulle differenze dei visceri nelle varie specie animali. 
2. 677a; 677b;
Discorso sulla cistifellea nelle varie specie animali.
Il gruppo di Anassagora non sembra sia corretto nella sua assunzione che la bile è la causa delle malattie acute (quando è eccessiva, essa si riverserebbe verso il polmone, le vene e i fianchi). 
3. 677a; 677b;
Discorso sull’omento nelle varie specie animali. 
4. 678a; ;
Discorso sul mesenterio nelle varie specie animali.
Ci deve essere un tramite, quasi una sorta di radice, per il quale il nutrimento possa passare dallo stomaco alle vene. La natura del mesenterio è provvista di vene che lo attraversano quali radici.
5. 678b; 679a; 679b; 680a; 680b; 681a; 681b; 682a;
Discorso cefalopodi, crostacei ed insetti, ecc.. 
6. 682b; 683a; 683b
Discorso sugli insetti. 
7. 
Discorso sui gasteropodi. 
8. 684a; 684b
Discorso sui crostacei. 
9. 685a; 685b;
Discorso sui cefalopodi. 
10. 686a; 686b; 687a; 688a; 688b; 689a; 689b; 690a;
Discorso sugli animali sanguigni ovipari.
Quanto a coloro che sostengono che l’uomo non è costituito bene (dicono infatti che non ha protezione per i piedi), all’uomo sono concessi molti mezzi di difesa, ed egli può sempre mutarli. La mano infatti può diventare artiglio, corno, chela o anche lancia e spada: tutto ciò perchè tutto può afferrare e impugnare. Anche la natura della mano è stata congegnata in questo senso. 
Anche l’assetto delle unghie è stato ben congegnato: negli uomini servono solo da protezione. 
Le braccia si flettono sia per avvicinare il cibo alla bocca, sia per altri usi. 
Discorso sulla polidattilia, la presenza delle mammelle, la distribuzione del tronco e degli arti in diverse specie animali.
L’uomo è l’animale che, in rapporto alle dimensioni del corpo, ha i piedi più grandi: e ciò a ben ragione, perchè esso è l’unico a stare in posizione eretta, sicchè occorre che i piedi siano lunghi e grandi. 
11. 691a; 691b; 692a; 692b
Discorso sugli animali sanguigni e ovipari. 
12. 693a; 694a; 694b; 695a; 695b
Discorso sugli uccelli. 
13. 696a; 696b; 697a; 697b
Discorso sui pesci. 
14. 696a; 696b; 697a; 697b
Discorso sullo struzzo libico.

(in azzurro annotazioni del traduttore e/o del commentatore)
MARIO VEGETTI (“riassuntato” da Concetto De Luca) 


La Locomozione degli Animali (pag 739)

De Incessu Animalium 

A cura di Mario Vegetti

Introduzione


Il breve trattato sulla locomozione degli animali si presenta come un’appendice al 
de Partibus, destinata ad approfondire lo studio dell’anatomo-fisiologia degli organi preposti al movimento.
In questa opera, la locomozione viene considerata come un fenomeno puramente meccanico; Aristotele trascura ed ignora completamente, da un lato, la fisiologia e la biochimica dei processi nervosi e muscolari connessi con la locomozione; dall’altro lato egli riserva ad un’ulteriore trattazione – quella del 
de Motu – lo studio dei fenomeni psicologici che determinano e accompagnano la locomozione stessa.
I principi che consentono questo trattamento del problema della locomozione si possono elencare:

  • il corpo di ogni animale è considerato come una struttura a sei coordinate spaziali riunite in tre coppie (alto-basso, anteriore-posteriore, destra-sinistra), intendendo per “alto” la parte che assume il cibo, il “davanti” in relazione agli organi di senso e la “destra” quella parte da cui ha principio il movimento.

  • Fattori essenziali di ogni movimento sono la trazione (o spinta) e la resistenza dal mezzo sul quale si esercita la spinta.

  • Ne consegue che quando un animale si muove, almeno un punto del suo corpo, a turno, deve restare immobile e a contatto con il mezzo: in tale punto ha luogo il gioco di spinte e resistenze che consente il movimento. Dalla necessità dell’immobilità di un punto, Aristotele deriva, valendosi di modelli geometrici, l’ulteriore necessità che per la locomozione degli animali e i loro arti, oppure l’intero corpo, siano articolati in modo da potersi flettere. La flessione diventa quindi una delle condizioni necessarie del movimento animale.

  • L’ultimo principio della “assiomatica” aristotelica del movimento asserisce la necessaria presenza di 4 organi della locomozione dotati del tipo di locomozione più compiuto.


L’uomo, essendo bipede ed effettuando lo spostamento locale secondo natura mediante le gambe, le flette in avanti, mentre a ben ragione flette le braccia nel senso della concavità: se si piegassero in senso contrario risulterebbero infatti inutili riguardo sia all’impiego delle mani che alla presa del cibo.

MARIO VEGETTI (“riassuntato” da Concetto De Luca) 
06/02/2013


 

La Riproduzione degli Animali (pag 775)
Commento 
De Generatione Animalium 

A cura di Diego Lanza

Introduzione 

Il trattato dedicato alla riproduzione degli animali, verosimilmente composto come ultima delle opere biologiche, è una delle opere aristoteliche che più possiedono una struttura compatta.
Il trattato può essere considerato come tripartito: 
a) la trattazione generale del sesso (I libro); b) i problemi dell’accoppiamento e della fecondazione, nonché quello dello sviluppo embrionale in generale (II e III libro); c) il concepimento e i problemi più specifici dello sviluppo embrionale dei vivipari (IV libro).
Il quinto libro, più breve, non rientra nello schema riassuntivo tracciato precedentemente; esso contiene la trattazione di varie questioni che hanno un comune denominatore: l’essere. 


1. Carattere dell’opera (p. 781)
 

Come nel De Partibus, Aristotele lavora nel De Generatione su materiale ricavato dalla Historia.
Aristotele caratterizza fin dal principio la ricerca sulla generazione come ricerca intorno alla causa che provoca il mutamento. In questa prospettiva è da valutare anche l’unica definizione teorica, assai generica e quasi ovvia, che troviamo nel 
De Generatione Animalium: “la formazione (gènesis) in effetti avviene dal non ente all’ente, e la distruzione dall’ente al non ente”. Così il processo formativo è connesso anzitutto col soggetto vivente cui si riferisce.
Ad esempio, tra un uovo e una larva c’è differenza: “l’uovo è ciò da una parte del quale si forma l’essere in formazione, mentre il resto è nutrimento di questo essere: larva è ciò dal quale, preso nella sua interezza, si forma interamente l’essere in formazione”.
Nel 
De Anima, Aristotele riconosce nella gènesis una proprietà della facoltà nutritiva dell’anima. Questa è “la prima e più comune facoltà dell’anima, per la quale a tutti appartiene il vivere e le cui funzioni sono il generare e il nutrirsi. Rappresenta cioè la facoltà dell’anima propria di tutti i viventi. Con cui essi partecipano, per quanto possono, dell’eterno e del divino”. La stessa formulazione la troviamo all’inizio del secondo libro del De Generatione: “…la riproduzione degli animali è dovuta a queste cause. Poiché non è possibile che la natura di un siffatto genere sia eterna, ciò che nasce è eterno nel mondo che gli è dato”.
Il processo riproduttivo, dunque, assicura la continuità della specie. L’essere vivente, pur non eterno, in quanto vivente, può partecipare in un certo modo dell’eternità.
Uno dei presupposti aristotelici più importanti di tutta la trattazione è che la contiguità (se non l’identità) tra generazione e nutrizione. Vi è dunque continuità tra concepimento, nutrizione prenatale e nutrizione postnatale. La facoltà nutritiva adopera caldo e freddo sia per produrre dall’alimento l’accrescimento dell’essere vivente, sia per dare consistenza a nuovi esseri. Ma in seguito è chiaro che si deve parlare anche dell’anima percettiva e di quella intellettiva. La facoltà di ogni anima è racchiusa nella schiuma dello sperma e la natura contenuta nel pneuma. Solo l’intelligenza giunge dall’esterno e solo essa è divina, perchè l’attività corporea non ha nulla in comune con la sua attività.
L’analogia tra azione della natura (
physis) e azione dell’arte (techne) serve a spiegare varie modalità di realizzazione di obiettivi analoghi in circostanze diverse. Il rapporto che lega la psichèdell’artigiano, con i suoi strumenti (organa) e la materia (hyle) che egli deve trasformare, è identico al rapporto che nel campo naturale si instaura tra le diverse facoltà dell’anima, gli strumenti naturali e la materia oggetto dei diversi processi di trasformazione.

2. La cozione (p. 786)

La ragione della maggiore compiutezza degli animali vivipari rispetto agli altri sta, secondo Aristotele, nella loro natura equilibratamente calda e umida, l’unica natura a permettere la formazione di piccoli vivi organismi compiuti nel corpo della madre.
È così possibile per Aristotele fare costante riferimento ad alcuni momenti essenziali della riproduzione, come ad esempio quello della cozione 
(pepsis) dello sperma, del concepimento, ecc.
Il termine viene quindi impiegato ad indicare sia il processo digestivo sia la maturazione di un frutto o dello stesso embrione: la 
pepsis è riconosciuta propria del caldo e si specifica come maturazione, bollitura, arrostimento.
Un esempio: “Ciò che subisce degenera e non è dominato o per difetto di forza di ciò che opera la cozione e l’impulso, o per la quantità e la freddezza di ciò che è oggetto della cozione e della articolazione. … Molto simile a questo è anche il morbo chiamato saturnismo; anche in questo per la quantità di flusso non cotto che penetra nelle parti del viso, il viso assomiglia a quello di un satiro” (Libro IV, cap. 3)

3. Il calore e il pneuma (p. 788)

Ogni cozione necessita di calore. E non si tratta di calore secco (come quello del fuoco), ma calore umido. Nel seme di tutti gli animali è presente ciò che rende fecondi i semi: il pneuma che è presente nel seme e nella schiuma.
Il pneuma viene citato diverse volte nelle opere di Aristotele con significati diversi: esso può essere la forza (“aria mossa”) che permette al pene di essere l’unico organo di dilatarsi e rimpicciolirsi senza che intervenga alcun mutamento patologico; l’elemento che permette (come forza pneumatica) l’eiaculazione; la proprietà del dilatarsi e contrarsi nel movimento; l’elemento della respirazione che tempera il calore vitale (permettendo a questo di non estinguersi troppo rapidamente); il corrispondente dell’etere per gli astri.
Caldo e freddo sono importanti nella generazione: Aristotele afferma che lo sperma è più caldo del flusso mestruale, non certo per accertamento empirico, quanto perchè, mentre il primo arriva compiere un processo di cozione, il secondo non vi arriva.
“Ed è per freddezza ed per impotenza che la femmina abbonda maggiormente di sangue in alcune regioni del corpo; questo è il segno opposto a quello che, secondo l’opinione di alcuni, dovrebbe indicare la causa del perchè la femmina sarebbe più calda del maschio: la emissione del mestruo; il sangue infatti è caldo e chi ne possiede di più lo è maggiormente” (Libro IV, cap. 1)

4. La secrezione seminale (p. 796)

Come schematizzato dalla Lesky, vi sono prima di Aristotele almeno tre tentativi di spiegare l’origine dello sperma:

  • la teoria encefalomielogenetica, che riconosce nel cervello e nel midollo spinale una sostanza affine a quella spermatica e che perciò giunge alla formulazione “lo sperma è parte del cervello”;

  • la teoria pangenetica, secondo cui tutte le parti del corpo concorrono in egual misura alla secrezione spermatica (con tale teoria si cerca di dar conto tra l’altro delle somiglianze anatomiche tra genitori e figli). Per esempio, nel trattato pseudoippocratico De Genitura, si spiega come in seguito allo strofinamento dei genitali, la parte fluida del corpo si riscaldi e dia luogo ad una schiuma che si raccoglie nel midollo spinale e attraverso di esso, giù per i reni, giunge attraverso i testicoli al pene. La rassomiglianza della prole dipende dalla quantità di materiale seminale con cui i due genitori hanno contribuito al concepimento. È qui implicita la doppia provenienza dello sperma (maschile e femminile);

  • la teoria emogenetica, che afferma essere lo sperma un prodotto del sangue. L’origine di questa teoria viene riconosciuta dalla Lesky nel pensiero di Diogene di Apollonia.

La teoria emogenetica viene sviluppata da Aristotele per mezzo di un chiarimento del concetto di residuo. Si può definire residuo tutto ciò che in un processo di trasformazione rimane inutilizzato. Ogni processo di trasformazione deve avere un residuo, perchè altrimenti non si avrebbe trasformazione (cioè un rifiuto dell’eccedenza). Aristotele distingue tra residui utili e inutili, cioè tra residui che possono essere riutilizzati in altre funzioni o residui che vengono espulsi. Non solo, per Aristotele lo sperma è un residuo utile, ma rappresenta l’ultimo stadio di trasformazione dell’alimento, lo stadio successivo al sangue, dal quale lo sperma si origina per cozione nei testicoli durante il coito (o anche prima). Lo sperma si compone di pneuma ed acqua, viene emesso compatto e bianco, e anziché solidificarsi al freddo si liquefa e perde il proprio colore (contrariamente agli altri liquidi che non hanno un pneuma interno). La causa della bianchezza dello sperma è che il liquido seminale è una schiuma.
“Ed Erodoto non dice il vero affermando che lo sperma degli etiopi è nero, come se fosse necessario che tutte le parti di coloro che hanno la pelle nera fossero nere, e questo pur vedendo che anche i loro denti sono bianchi. La causa della bianchezza dello sperma è che il liquido seminale è una schiuma, e la schiuma è bianca”. (Libro II, cap. 2)
La trasmissione operata dallo sperma è dunque di un principio vitale costitutivo del nuovo animale. Lo sperma non può equivalere a ciò da cui ha origine lo sperma in quanto il primo serba in sé l’impulso che il secondo ha impresso. In un certo modo, l’impulso contenuto nello sperma agisce come l’arte di costruire la casa. Lo sperma è un 
primum da cui si producono le cose che si formano naturalmente (come lo è il legno del letto e la lampada dell’incendio della casa). Lo sperma, inoltre, possiede la psychè solo potenzialmente e non in atto. L’azione svolta dallo sperma nella femmina non è di apportazione della materia (piccolo organismo preformato), ma di organizzazione della materia che la femmina stessa offre, sì che è rassomigliabile all’azione del caglio sul latte. Questo processo di organizzazione formale è il concepimento. Egli nega la teoria preformistica.
Il mestruo viene da Aristotele per la prima volta posto come elemento fondamentale del concepimento e identificato come corrispondente dello sperma nella femmina. Del resto, afferma Aristotele, è alla stessa età che ai maschi comincia a formarsi e si secerne il liquido seminale e nelle femmine sgorga il mestruo, si muta la voce e appare il seno. Prosegue Aristotele: “per lo più nelle donne non si producono né emorroidi, né perdite di sangue dal naso … se non vi è interruzione dei mestrui … inoltre le femmine non sono così ricche di vene, e sono più delicate e glabre dei maschi, perchè il residuo, che è causa del contrario, viene scaricato tutto insieme nei mestrui. La stessa cosa deve ritenersi la causa del fatto che nei vivipari le femmine hanno la statura del corpo inferiore a quella dei maschi”.
E poi: “la femmina è come un maschio menomato e le mestruazioni sono seme, ma non puro. Di una sola cosa dunque mancano: del principio dell’anima” (Libro II, cap 3).
Il mestruo differisce dallo sperma solo per il diverso e inferiore grado di cozione (è infatti ancora più sanguigno) dovuto al minore calore che la donna possiede. La femmina impotente, per la sua natura fredda, non è in grado di operare la cozione del seme.
“La femmina non genera se non si ha il mestruo, né per lo più, avendosi, quando il flusso è in atto, ma dopo la depurazione. … Quando dunque molta parte sia stata eliminata, e si produca ancora una depurazione, ma non tale da travolgere lo sperma, allora le donne che hanno rapporti sessuali possono di nuovo ingravidarsi. E non è affatto assurdo che i mestruo continui anche nelle ingravidate; i mestrui infatti ricorrono fino ad un certo punto anche dopo, ma sono scarsi e non durano tutto il tempo” (Libro I, cap. 19)
In Aristotele, l’utero è un organo duplice, come i testicoli.
“L’eiaculazione non avviene, come ritengono alcuni, fin dentro l’utero (il collo dell’utero è stretto), ma davanti ad esso: dove la femmina emette il muco, che in alcune di esse si produce, lì ha luogo anche l’emissione del maschio. Talvolta il seme resta fermo in questo posto, talvolta invece, se l’utero si si trova ad essere caldo e in condizioni convenienti grazie alla mestruazione, l’attira dentro. … La secrezione uterina della femmina acquista consistenza per effetto dello sperma maschile, che svolge un’azione simile a quella del caglio sul latte. Il caglio in effetti è latte provvisto di calore vitale”. (Libro II, cap. 4)
Il concepimento è un processo formativo in cui concorrono lo sperma maschile, portatore e donatore di forma, e il flusso mestruale femminile portatore di materia. Quando avviene il loro incontro, si ha concepimento quando lo sperma riesce a concuocere il residuo femminile. Il prodotto del concepimento è la prima mescolanza da femmina e maschio. “La femmina offre dunque la materia, il maschio il principio del mutamento. … Ugualmente la facoltà nutritiva dell’anima… produce l’accrescimento, facendo uso come di suoi strumenti del caldo e del freddo”. (Libro II, cap 4)
La teoria embriogenetica aristotelica è abbastanza diversa da quelle precedenti. La precedenza attribuita al cuore non si risolve in un’affermazione della sua importanza primaria, ma si inquadra in una concezione embriologica più complessa. Nell’embrione, infatti, si formano prima il cuore e le vene che costituiscono una sorta di impalcatura nutritiva dell’intero corpo. Il paragone che egli fa con il pittore è illuminante: “anche i pittori infatti, dopo, averlo tracciato con le linee, rivestono l’animale con i colori”. Nell’embrione la prima parte a formarsi è quella che è organo della funzione dell’anima: il cuore negli animali sanguigni e il suo analogo negli altri.
“L’accrescimento avviene dunque per il prodotto del concepimento attraverso il cordone ombelicale nello stesso modo in cui avvine per le piante attraverso le radici” (Libro II, cap. 4)
Aristotele stabilisce una stretta corrispondenza tra l’uovo e il processo di gestazione dei vivipari: “ora, mentre nei vivipari l’utero è posto nella madre, negli ovipari, al contrario, è come se si dicesse che è la madre nell’utero”.
Il prodotto del concepimento, almeno nella prima fase, non può essere assomigliato ad un animale, pur essendo un essere vivente. L’embrione ha l’anima nutritiva, prima tra le facoltà dell’anima, quella comune a tutti gli esseri viventi, non quella percettiva che definisce gli animali, perciò è un animale.
“Dopo il principio, si formano le parti interne prima di quelle esterne. … Prima si articolano le regioni poste sopra il diaframma. … Deve esserci necessariamente il pneuma. … Le regioni inferiori sono in funzione di quelle superiori. … I tendini e le ossa si formano per effetto del calore interno quando l’umidità si disseca. … Le ossa si formano nella prima fase di formazione delle parti dal residuo seminale e, quando l’animale cresce, traggono il loro accrescimento sì dall’anlimento naturale dal quale lo traggono anche le parti principali, ma dai suoi residui ed avanzi”. (Libro II, Cap 6)
“Il freddo, in alto, dove terminano le vene, fa condensare il cervello in opposizione al calore della regione cardiaca. Per questo la regione del capo si produce immediatamente dopo il cuore e si distingue per la grandezza delle parti” (Libro II, cap. 6)
“Il cordone ombelicale consiste di vene contenute in un involucro … l’utero è terminazione di molte vene … intorno ad ogni embrione vi sono poi le membrane e il corion” (Libro II, cap 7)
Problemi di teratogenesi vengono affrontati nel IV libro. Ad esempio: “Democrito afferma che le anomalie sono dovute ad una doppia immissione di sperma … si che le parti si formano insieme e si trasformano”. Aristotele confuta questa tesi: “Ma in generale si deve piuttosto pensare che la causa sia nella materia e negli embrioni quando si costituiscono”. In generale, per Aristotele, le gravidanze multipare sono maggiormente a rischio di menomazioni.
“L’uomo participa di tutti i generi: è sia uniparo, sia di scarsa prole, sia, qualche volta, multiparo, ma per sua natura è soprattutto uniparo. È mutiparo a motivo dell’umidità e del calore del corpo, a motivo invece della grandezza è di scarsa prole e uniparo. … Talvolta accade di avere una delle parti più grande delle altre, come per esempio un dito, una mano o un’altra estremità”.
“In tutti gli animali cui accade di avere due organi genitali, maschile e femminile, sempre l’uno diventa capace e l’altro impotente”.
“I prodigi differiscono in quanto costituiscono un processo di saldatura … come per esempio alcuni animali hanno due milze o più reni”.
“Alcuni animali non sono soggetti a superfetazioni, altri si. … La causa del non avere superfetazioni è l’essere uniparo.”
Il paragrafo 7 del IV libro affronta l’argomento della mola, mentre quello successivo tratta del latte materno.

5. Il sesso (p. 808)

Non esiste alcuna tentativo di definizione del sesso, ciò del maschio e della femmina, prima di Aristotele, anche se vi è una tradizione abbastanza ricca di ipotesi e di studi al proposito (in base al calore, al piacere durante il coito, ecc.), dalle dottrine di alcuni pensatori presocratici (Parmenide, Alcmeone, Anassagora, Empedocle, Democrito) alle trattazioni ginecologiche ed embriologiche delCorpus Hippocraticum. Nel libro IV Aristotele presenta (e confuta con propri ragionamenti) le teorie di Anassagora, Empedocle e Democrito ed altri.
Egli riporta come Anassagora ed altri sostengono che “dal maschio si riprodurrebbe il seme, la femmina offrirebbe soltanto il luogo, il maschio proverrebbe da destra, la femmina da sinistra, e il maschio si formerebbe nella parte destra dell’utero, la femmina in quella sinistra”. Altri come Empedocle sostengono che la distinzione si compie nella matrice: il seme che perviene dall’utero quando questo è caldo, egli dice, produce i maschi, quando è freddo le femmine, e la causa del calore e della freddezza è il flusso mestruale a seconda che sia più freddo o più caldo, più vecchio o più recente”. Democrito di Abdera “afferma a sua volta che la differenza della femmina e del maschio si forma nella matrice, non è tuttavia per calore o per la freddezza … ma per il prevalere del seme del maschio o della femmina”. “Vi sono alcuni persuasi più o meno di queste idee, i quali dicono che a chi si lega il testicolo destro o quello sinistro, accade, compiendo il coito, di generare figli maschi o femmine. E quanto diceva ache Leofane. Alcuni poi dicono che accade lo stesso a colui al quale è stato tagliato uno dei due testicoli”.
Queste ricerche si possono ricondurre nella sostanza di due grossi nuclei problematici: il meccanismo del concepimento e la nascita di maschi e femmine, così come quella di individui più o meno rassomiglianti ai genitori. Su ciascuno di questi due problemi la dossografia antica elenca parecchie prese di posizione.
Nel primo caso si vede come la soluzione del problema si muove nell’ambito di questioni come se il concorso di maschio e di femmina sia un concorso di materia seminale o se il seme provenga dal maschio e la femmina offra soltanto il “luogo”; nel secondo la risposta è sempre legata ad una teoria di contrari (caldo-freddo; destra-sinistra oppure come nel caso di Democrito, più o meno seme maschile o femminile).
Aristotele non accetta un’impostazione puramente fisica del problema e tenta piuttosto un esame fisiologico comparato. Egli osserva che la differenziazione sessuale non è regola universale, ma interessa per lo più gli animali dotati di locomozione. Vi è una certa corrispondenza, nota Aristotele, tra strumenti locomotori e facoltà riproduttive.
“Maschio si definisce un animale che genera un altro, femmina quello che genera in sé stesso”. (Libro I, cap 2).
Secondo Aristotele, lo sperma maschile non solo è portatore di una forma 
(eidos), ma di diversi impulsi (kinesis), corrispondenti alle diverse facoltà del soggetto. Ciascuna kinesis può essere sottoposta a due tipi di insuccesso: essa può degenerare e trasformarsi nel suo opposto passando da maschio a femmina, o attenuarsi e disperdersi rendendo il figlio maschio sì, ma poco rassomigliante al padre. Se lo sperma del maschio riesce a trasmettere tutte le facoltà di cui è portatore, la prole sarà di sesso maschile e rassomigliante al padre, se invece qualcuna di queste facoltà non è trasmessa, se si muta nel suo opposto, si avranno i corrispondenti caratteri della madre; se si attenua soltanto o si disperde, un carattere sarà maschile o della famiglia del padre, ma più remoto.

6. La teorie delle cause (p. 817)

Quasi a prologo al primo libro e tutta l’opera, Aristotele ricapitola quanto già aveva ampiamente trattato e definito in altre opere, ricordando le 4 forme della causalità. Lo schema che Aristotele costruisce è estremamente chiaro: nel caso dell’apprendimento in principio vi è il maestro (causa efficiente), quindi l’allievo che dovrà imparare (causa finale). Lo strumento (per esempio il flauto) rappresenta la causa materiale, mentre la sua forma (causa formale) è funzionale all’atto di imparare ad utilizzare lo strumento; infatti se il flauto non avesse quella forma non potrebbe svolgere la sua funzione di strumento musicale.

Il Libro V

Il libro V considera le caratteristiche per le quali differiscono le parti degli animali. Aristotele intende caratteristiche il nero o l’azzurro degli occhi, l’acutezza o la gravità della voce e le differenze dei colori dei peli e delle piume. “Alcune di queste caratteristiche appartengono ai generi nella loro interezza, altri sono casuali, come avviene per esempio soprattutto negli uomini”.
“Oltre a questo, in corrispondenza con i mutamenti dell’età, alcune caratteristiche sono proprie di tutti gli animali, altri al contraio no, come ciò che riguarda la voce e il colore dei peli”.

(Commento di Diego Lanza “riassuntato” da Concetto De Luca) (10/2/2013)


Brevi opere di Psicologia e Fisiologia (pag 1042)

Parva Naturalia 

A cura di Diego Lanza

Introduzione 

I piccoli trattati che costituiscono la raccolta dei Parva Naturalia sono stati tra le opere meno conosciute di Aristotele. Il titolo della raccolta, necessariamente generico, risale ad Egidio Romano (sec. XIII). Nessuno dei Parva è compreso nella lista delle opere aristoteliche a noi giuntaci tramite Diogene Laerzio. È nel catalogo che porta il nome di Tolomeo Chenno che, seppur raggupati in altro modo, i diversi Parva sono trattati. La dimenticanza di Diogene Laerzio potrebbe essere dovuta ad uno scarso interesse ai problemi biologici.
La raccolta comprende opere di psicologia (problemi della percezione, della memoria), sia di fisiologia (problemi del sonno, della lunghezza della vita, della respirazione).

La Percezione e i Percepibili
De Sensu et Sensibilibus 

Dopo il primo capitolo, che costituisce il prologo a tutti i Parva, lo schema del trattattello corrispnde a quello dell seconda parte de libro del De Anima. Ma mentre nel De Anima, Aristotele si sofferma soprattutto sulla descrizione del processo percettivo tenendo conto del soggetto percettore, qui l’attenzione è appuntata sull’oggetto percepito: vengono analizzati l’uno dopo l’altro il colore, il sapore e l’odore, e sono definiti i loro caratteri. Non sono considerati suono e tatto. Nel capitolo introduttivo del De Sensu si affronta il problema del perchè, pur essendo gli organi di senso costituiti di uno degli elementi (aria, acqua, ecc.), essi solo, e non gli elementi posseggono la facoltà del percepire.
Nel capitolo II, Aristotele contrasta l’idea diffusa (presente in Empedocle e nel Timeo) che la vista sia propria del fuoco (e la prova di tale considerazione è legata all’apparire di scintille quando si chiudono le palpebre). Egli condivide l’affermazione di Democrito che l’occhio è acqua ma non che la vista consista nella formazione di immagini. Il vedere, secondo Aristotele è proprio dell’acqua non in quanto acqua, ma in quanto trasparente, il che è proprietà comune all’aria; l’acqua, però si può trattenere e condensare più facilmente dell’aria e per questo la pupilla, cioè l’occhio, è di acqua.
Per quando riguarda l’odore, esso è considerato un tipo di esalazione fumosa, e l’esalazione fumosa ha origine dal fuoco. Anche perciò il sensorio proprio dell’olfatto è posto nella regione cerebrale, perchè la materia del freddo è potenzialmente calda.
Il senso del tatto, secondo Aristotele, è di terra, e quallo del gusto è una specie del tatto: anche per questo il loro organo di senso, è in corrispondenza del cuore.
Nel capitolo III egli definisce il colore come “un’estremità del trasparente dei corpi. … Esso è infatti nel limite del corpo, ma non il limite del corpo … pertanto colore è il limite del trasparente in un corpo definito; sia nei corpi trasparenti come l’acqua sia in tutti quelli che hanno un proprio colore”. Un altro modo che Aristotele utilizza per definire la formazione dei colori è quello di spiegarli come l’apparire l’uno attraverso l’altro, “come talvolta fanno i pittori stendendo un colore su un altro più chiaro … e come è il sole, che in sé appare bianco, ma rosso attraverso la nebbia o il vapore … Il dire dunque, come gli antichi, che il colore è un effluvio e che per questa causa si vede, è assurdo”. Secondo Aristotele, i colori possono essere molti perche i corpi si mescolano secondo molti rapporti, “gli uni secondo un rapporto numerico, gli altri per semplice eccesso”.
Nei capitoli IV e V vengono trattati l’odore e il sapore. “Si tratta quasi della stessa proprietà, ma essi non si attuano nello stesso mezzo. Per noi il genere dei sapori è più chiaro … e la causa di ciò è che l’olfatto in noi è più debole che in tutti gli animali, e che è anche il più debole dei nostri sensi, mentre abbiamo il tatto più preciso di tutti gli animali e il gusto è un tipo di tatto”. Dopo una digressione sul (non) sapore dell’acqua, viene definito il sapore: “proprietà prodotta dal detto solido nel fluido, che è capace di trasformare il gusto potenziale in attualità … come i colori sono risultato di una mescolanza di bianco e nero, così i sapori provengono dal dolce e dall’amaro, e ciascuno di essi sta in un rapporto di più o meno”.
Aristotele afferma che bisogna pensare nello stesso modo degli odori, “perchè ciò che il solido produce nel fluido, il fluido sapido lo produce in un altro genere, in modo simile nell’aria e nell’acqua”. E poi: “gli odori (dell’appetito) possiedono il gradevole e lo sgradevole accidentalmente e sono perciò comuni a tutti gli animali. Gli altri odori sono invece gradevoli in sé, come gli odori dei fiori”. Secondo Aristotele la specie degli odori dell’appetito che diventano sgradevoli da gradevoli, svolge un’azione di difesa della salute: “il cervello è naturalmente freddo e il sangue che si trova nelle vene della sua regione rado e puro, e facilmente raffreddabile (perciò l’esalazione del cibo, raffreddandosi in questa regione, produce flussi morbosi”.
“L’organo di senso dell’olfatto è situato nel capo, e la percezione giunge con un’inalazione di pneuma, sì che possa giungere alla regione ricettiva del respiro. È dunque chiaro che l’odorabile, in quanto odorabile, non concorre alla nutrizione”.
Il capitolo VI presenta una digressione sulla percezione in generale e le sue caratteristiche di possibile riduzione all’infinito. Interessanti alcuni concetti: “perciò la decimillesima parte del granello di miglio che si sta guardando ci sfugge, nonostante la vista lo abbia raggiunto, e il suono in semitono sfugge, a che se si ode l’intera nota che è continuo”. E poi: “ma il tempo è tutto divisibile, perciò vi era un momento in cui il raggio (del sole) che pure era trasmesso nel mezzo non era ancora visibile … non è certo per una determinata condizione che uno vede e l’altro è visto”.
Il capitolo VII affronta il problema se sia possibile avere due percezioni assieme. “Ogni cosa è più facilmente percepibile quando è semplice di quando è mescolata … Ma se l’impulso maggiore tende a respingere quello minore, necessariamente accade, se si hanno simultaneamente, che anch’esso sia percepito meno di quel che sarebbe se fosse unico … Se gli impulsi sono uguali si cancelleranno reciprocamente”. Infatti il dolce e l’amaro non si possono percepire assieme. E ancora: “Tutti gli oggetti sono dunque percepibili, ma non appare quanto grandi siano”. Per quanto riguarda il rapporto tra percezione ed anima Aristotele afferma: “Vi deve essere un’unità dell’anima con la quale tutti gli oggetti vengono percepiti, ma ogni genere con un mezzo diverso … l’anima può anche percepire simultaneamente con la stessa ed unica facoltà, ma non con lo stesso rapporto”.

La Memoria e il richiamo della Memoria
De Memoria et Reminiscentia 

Mentre il De Sensu si limita a trattare l’aspetto fisiologico di un problema trattato teoricamente nelDe Anima, per quanto riguarda i processi mnestici e anamnestici, il De Memoria offre insieme la definizione teorica e le indicazioni fisiologiche.
Nel I capitolo Aristotele individua i possibili oggetti della memoria: “Non possono essere oggetto di ricordo né il futuro, che è invece oggetto di opinione e attesa … né il presente, che è oggetto di percezione. … La memoria è invece memoria del passato. … perchè quando si esercita la memoria, nell’anima ci si dice sempre che ciò anteriormente è stato già oggetto di udito, di percezione o di pensiero. … La memoria non è dunque né una percezione né un processo di comprensione, ma lo stabile possesso o la occasionale variazione di una di queste cose, quando sia trascorso del tempo. … ogni memoria comporta tempo. Pertanto solo gli animali che hanno percezione del tempo possono ricordare”. E ancora: “quando si attiva il ricordo … vi è sempre la percezione aggiuntiva del precedentemente, ma il precedentemente, come il successivamente, si situa nel tempo. Di quale delle facoltà dell’anima è dunque propria la memoria appare chiaro: della stessa di cui è anche l’immaginazione”. Aristotele si chiede come è possibile ricordare ciò che non è presente: “è chiaro che bisogna pensare che per mezzo della percezione si produce nell’anima e nella parte del corpo che la comprende qualcosa di simile a un disegno, il possesso del quale diciamo essere la memoria”. Nei troppo giovani (ancora in fase di accrescimento) o troppo vecchi (troppo consumati), che sono senza memoria, il possesso di questo “sigillo” non si forma. Secondo Aristotele, “gli esercizi” conservano la memoria.
Il capitolo secondo affronta il tema del richiamo della memoria. “Il richiamo della memoria non è infatti né una riacquisizione né un’acquisizione del ricordo … la memoria non si produce simultaneamente alla produzione dell stimolo. … il ricordare in sé non c’è prima che sia trascorso del tempo. … Il richiamare alla memoria ha un punto di partenza più ampio di quello dell’apprendimento”. Secondo Aristotele: “I processi di richiamo avvengono perchè un impulso si produce naturalmente dopo un altro … accade che alcuni impulsi divengono in una volta più abituali che altri spesso ricorrenti … Quando dunque operiamo il richiamo alla memoria, noi siamo sollecitati secondo uno dei precedenti impulsi fino a che non si arriva ad essere sollecitati secondo l’impulso che è d’abitudine seguito da quello che cerchiamo”. Aristotele chiama questo procedimento “la caccia dell’immediatamente conseguente”.

Il Sonno e la Veglia
De Somno et Vigilia 

Nel capitolo I, Aristotele affronta il discorso che cosa sono sonno e veglia e se sono propri dell’anima o del corpo o se comuni ad entrambi. “Anzittutto dunque questo è chiaro: che la veglia e il sonno appartengono alla stessa parte di animale, perchè si contrappongono, e il sonno risulta essere una privazione della veglia … nessun animale può dormire sempre, perchè il sonno è una proprietà della parte preposta alla percezione, quasi un impedimento e un’assenza di mobilità, ed è necessario di conseguenza che ogni essere che dorma possieda la parte preposta alla percezione”. Per Aristotele “chiunque è desto o ha percezione di qualcuna delle cose esterne oppure degli impulsi che si producono in lui stesso”, mentre in relazione all’anima “è chiaro che quanti degli esseri viventi partecipano solo di accrescimento e di consunzione non posseggono né sonno né veglia; così per esempio le piante, perchè sono sprovviste del sensorio”. Tutti gli animali partecipano del sonno, anche tutti i generi di pesci e cefalopodi in quanto l’animale è definito dal possesso della percezione.
Il secondo capitolo cerca di definire perchè si dorme e perchè si è desti e a motivo di quale percezione, “dal momento che alcuni animali posseggono tutte le percezioni, altri no”. Secondo Aristotele, la veglia e il sonno sono attributi del tatto (“questo può infatti esistere separato dagli alti organi di senso, ma non questi senza di lui, e di ciò si è detto nella trattazione Sull’Anima”). Per questo, continua Aristotele, il tatto è l’unico organo della percezione presente in tutti gli animali. Secondo Aristotele, l’andamento razionale delle cose è il seguente: “quando il sensorio che presiede tutti gli altri e a cui tutti gli altri fanno capo prova qualcosa, ache gli altri necessariamente lo provano con esso … quando questa si trova impotente, necessariamente si è incapaci di percepire anche in tutti gli organi di senso”. Egli considera la causa finale del sonno il riposo il quale, a sua volta, è necessario ed utile per il bene di ogni essere animale. Ovviamente, Aristotele pone il principio della percezione negli animali sanguigni all’interno della regione cardiaca.
Il capitolo III cerca di spiegare “quali fatti avvengono e donde si produce il principio del fenomeno di veglia e sonno”. Aristotele ribadisce che il sonno non è un impotenza della facoltà percettiva (come per esempio il deliquio), ma sostiene che esso è prodotto dalla evaporazione che si ha con la nutrizione: “ciò che evapora deve necessariamente spingersi fino ad un certo punto e poi invertire la propria direzione e capovolgere il proprio corso come in uno stretto. La sostanza calda si porta naturalmente verso l’alto, quando poi si trova nelle regioni alte, massicciamente inverte la propria direzione e precipita in basso. Per questo i momenti di sonno si producono soprattutto come conseguenza della nutrizione, perchè molta materia umida e pesante è spinta in massa verso l’alto. Essa, raccogliendosi, provoca pesantezza e sonnolenza, quando poi cala in basso e, invertita la direzione, scaccia via il caldo, allora si produce il sonno e l’animale dorme. Un segno della verità di questi fatti sono i sonniferi: tutti producono pesantezza di capo, sia di bevande sia di cibi: papavero, mandragora, vino, loglio. … Anche alcune malattie producono lo stesso effetto … come avviene a coloro che sono affetti da febbri e torpore”. Particolare anche la correlazione tra sonno ed epilessia: “Un segno (del fatto che tutto il nutrimento venga portato verso l’alto) è che nella prima infanzia le regioni superiori sono di dimensioni senza proporzione più grandi di quelle inferiori, perchè l’accrescimento avviene in esse. Per questa causa si diventa anche epilettici, perchè il sonno è simile all’epilessia, anzi in un certo senso il sonno è un’epilessia … Quando il pneuma è portato in grande quantità verso l’alto, discendendo indietro ostruisce le vene e comprime il condotto attraverso il quale si produce l’inspirazione”. I soggetti più inclini al sonno sono gli individui con le vene poco visibili, quelli con forma di nano e con la testa grande: “i primi perchè hanno le vene rigide e perciò il fluido che scende non può agevolmente scorrere via, nei nani e in quelli con la testa grande la spinta verso l’alto e l’evaporazione sono forti”. Al contrario del sonno, il processo del risveglio avviene quando si compie il processo di cozione. “il calore, costretto in quantità dalle sostanze circostanti in piccolo spazio, riesce a prevalere e la parte più pesante del sangue si separa completamente da quella più pura. Questa parte di sangue più pura, indirizzata verso l’alto libera gli animali dalla pesantezza del cibo e li fa destare.

I Sogni
De Insomniis 

Nel capitolo I trova posto la discussione della definibilità del sogno. L’indagine (psicobiologica) colloca l’attività onirica nell’ambito dell’immaginazione, distinguendola sia dall’opinione che dalla percezione.
Il capitolo II intende considerare meglio cos’è il sogno e come si produce. “I percepibili producono in ciascun nostro organo di senso un processo percettivo, ma lo stimolo da loro prodotto non si mantiene negli organi solo finchè il processo percettivo è in atto, ma anche quando è cessato … lo stimolo non è solo presente negli organi di senso che stanno percependo, ma anche in quelli in cui la percezione è finita … pur mutando la percezione lo stimolo permane, come quando ci si volge dal sole all’ombra … e anche quando fissiamo per molto tempo un colore, tale ci appare quello su cui abbiamo tolto la vista”. Conseguentemente, secondo Aristotele, la parte preposta alla percezione non solo subisce, ma anche reagisce. Inoltre è facile sbagliarsi sulle percezioni quando ci si trova in alcune situazioni di alterazione psichica, come per esempio “il codardo nella paura e l’innamorato nell’esaltazione amorosa, sì che da una piccola somiglianza l’uno crede di vedere i nemici, l’altro la persona amata”.
Il capitolo III afferma che gli impulsi prodotti dalle percezioni, sia da “quelle esterne che da quelle interne al corpo”, non si hanno solo in stato di veglia, ma anche durante il sonno, e anzi essi si manifestano soprattutto allora. Infatti, “durante il giorno, essendo in attività in sensi e il ragionamento, essi sono inibiti e restano latenti come un fuoco più piccolo di fronte ad uno grande, … mentre quando questi si interrompono anche i piccoli giungono alla superficie. Di notte, dunque, per l’inoperosità dei sensi particolari e l’incapacità di essere attivi, dovuta al riaffluire del caldo all’interno delle parti esterne, gli impulsi sono addotti al principio della percezione e diventano chiari perchè cessa il turbamento”. Secondo Aristotele, le condizioni che predispongono ai sogni sono come un liquido che, se è molto agitato deforma le immagini in maniera particolare, mentre se è calmo fa trasparire le immagini in maniera nitida. Infatti, la melanconia, la febbre e l’ubriachezza, affezioni che producono agitazione e turbamento, creano apparizioni turbate e mostruose. Al contrario, quando il sangue è calmo e depurato “l’impulso delle percezioni conservato da ciascun organo di senso rende i sogni ordinati, produce l’apparire chiaro di un’immagine e fa credere di vedere grazie a ciò che è trasmesso dalla vista, di udire grazie a ciò che è trasmesso dall’udito e così per gli altri organi di senso”. Aristotele accenna anche ad una condizione intermedia tra il sogno e la veglia, che si può presentare con gli occhi socchiusi e udendo sommessamente dei rumori.

La Premonizione nel Sonno
De Divinatione Per Somnum 

Come descrive il Lanza, il problema che sta davanti ad Aristotele è qui duplice: da una parte dare risposta alla credenza che riconosce nei sogni una delle vie di collegamento tra l’umano e il divino, dall’altra, accettata o limitata questa credenza, tentare una spiegazione fisiologica del fatto.
Alla prima questione Aristotele risponde distinguendo un margine di inconoscibilità (“non è facile né mostrare indifferenza né accordare fiducia”), ma riconoscendo in questo una caratterizzazione genericamente divina (“eliminata però la causalità divina, nessuna delle altre cause appare logica”). Aristotele pone comunque molte limitazioni alle tante credenze ponendo i sogni come conseguenza e segni di attività psicobiologiche (“ci sono dunque tra i sogni alcuni che sono cause, altri segni, per esempio degli avvenimenti che rigardano il corpo? I medici più accorti dicono che bisogna prestare molta attenzione ai sogni … gli impulsi che si producono durante il giorno, quando non sono di particolare intensità e potenza, restano celati di fronte agli impulsi della veglia che sono più forti; nel sonno accade invece il contrario”) o come causa di queste (“così è necessario l’inverso, cioè che gli impulsi nel sonno spesso rappresentino il principio delle azioni diurne, perchè il pensiero di queste è stato già predisposto nelle immagini notturne”). La maggiorparte però, secondo Aristotele, assomiglia a concidenze. La spiegazione fisiologica della premonizione è un tentativo di adattamento a fenomeni che potrebbero definirsi metapsichici. Così, ad esempio, una più ampia disponibilità alla trasmissione di messaggi o memorie di fatti remoti è riconosciuta ai soggetti melanconici sulla base della loro diversa costituzione fisiologica. In generale la gente qualunque è più predisposta ai sogni premonitori degli uomini di scienza in quanto la loro mente è più sgombra ai pensieri e più facilmente sollecitabile.

La Lunghezza e la Brevità della Vita
De Longitudine et Brevitate Vitae 

Secondo il Lanza, la spiegazione della vita che Aristotele offre in quest’opera è incentrata sulla dinamica degli elementi e del pneuma. I quattro elementi non coincidono, come noto, per Aristotele, con le quattro proprietà fondamentali della materia, ma ciascuno di essi è definibile da due di queste. Così il fuoco è secco e caldo, l’aria è calda e umida, l’acqua è umida e fredda e la terra è fredda e secca. Il principio vitale partecipa dell’umido e del caldo, ed è quindi soggetto a due pericoli: il raffreddamento e il disseccamento. Sono perciò di natura longeva gli animali la cui costituzione sa preservarsi meglio da queste deviazioni.

La Respirazione
La Giovinezza e la Vecchiaia 
La Respirazione – La Vita e la Morte 
De Respiratione
De Juventute et Senectute 
De Respiratione – De Vita et Mortem 

Secondo il Lanza, questa opera, che alcuni critici, articolano in due o anche tre trattattelli, oltre a non presentare uno stretto carattere monografico, si rivela assai più analitica nella dimostrazione. In essa il Lanza riconosce almeno tre argomenti fondamentali che lo stesso Aristotele puntualizza nell’introduzione: la giovinezza e la vecchiaia, la vita e la morte, e la respirazione. I grossi nuclei concettuali che si possono ricavare dalla trattazione sono i seguenti: a) la tripartizione del corpo e la collocazione del principio nutritivo e percettivo nella parte mediana; b) la teoria generale che stabilisce nel calore innato, sito principalmente nel cuore, il principio vitale e la neccessità di un meccanismo di raffreddmento; c) la fisiologia cardiaca, articolata nei tre movimenti di palpitazione, pulsazione e respirazione. Vita e morte, giovinezza e vecciaia sono perciò definite sulla base diverse fasi in cui si trova il calore innato in corso di estinzione. d) Nel settore centrale dell’opera Aristotele spiega che la respirazione è prerogativa degli animali dotati di polmone. Ciò è comprensibile quando si pensi che la respirazione svolge una funzione essenzialmente compensativa raffreddando il calore naturale allo scopo di farlo durare di più. Quanto più dunque un animale è per natura caldo tanto più ha necessità di respirare. Agli animali meno caldi è sufficienti l’ingestione di acqua per svolgere lo stesso ufficio di raffreddamento dell’aria.
Nel capitolo I, Aristotele afferma riguardo l’anima “che la sua essenza non può essere corpo, ma è anche evidente che essa sta in una parte del corpo, e questa è una di quelle che hanno potere sulle membra”.
Nel capitolo II viene esposta la tripartizione del corpo (a prescindere dagli organi della locomozione): una parte riceve il cibo, un’altra lo espelle e la terza, posta in mezzo, è chiamata torace.
Nel capitolo III vengono ribaditi concetti sul cuore esposti nel De Partibus Animalium: il cuore è il primo organo che si forma, esso è principio delle vene e principio dell’anima percettiva e nutritiva. Secondo Aristotele il gusto e il tatto si estendono chiaramente fino al cuore, ed è pertanto necessario che ciò avvenga anche per gli altri organi della percezione. 
Nel capitolo IV viene ribadito il concetto che tutte le parti del corpo degli animali possiedono un calore naturale innato si estingue completamente con la privazione della vita. Il principio di questo calore innato si trova nel cuore negli animali sanguigni.
Nel capitolo V vengono definite le due modalità di estinzione del calore vitale. La consumazione (che si produce autonomamente) e lo spegnimento (prodotto dagli effetti dell’opposto).
Nel capitolo VIII e successivi vengono contestate le opinioni di Democrito (gli animali respirano tutti), di Anassagora e Diogene (i pesci respirano con le branchie). Aristotele infatti afferma che queste tesi mettono in contraddizione tra loro espirazione ed inspirazione (si emette acqua per immettere aria) e ciò è impossibile.
Nel capitolo XI si contesta l’idea della pulsione circolare della respirazione descritta nel Timeo(“non ha definito affatto per gli altri animali in che modo avvenga la conservazione del calore, se allo stesso modo o per qualche alche causa”). Aristotele riferisce che Platone sostiene che “quando il caldo esce attraverso la bocca, l’aria circostante spinta si sposta e va a finire nello stesso luogo donde era uscito il calore interno passando per le carni che sono meno compatte; questo reciproco scambio è dovuto all’inestitenza di qualsiasi vuoto”.
Nel capitolo XIII si contesta la poca chiarezza delle tesi empedoclee sulla respirazione.
Nel capitolo XX si contesta l’affermazione empedoclea che gli animali più caldi e che hanno maggiore quantità di fuoco son quelli acquatici in quanto essi eviterebbero l’eccesso di calore naturale e, poiché sono carenti di freddo e umido, sarebbero conservati in virtù dell’ambiente che ha caratteri opposti ai loro.
Nel capitolo XXI si afferma che “la causa del respirare sta nel fatto che il polmone è spugnoso e pieno di vesciche; questa parte è tra quelli chiamati visceri, la più irrorata di sangue. Gli animali dunque che hanno il polmone sanguigno, abbisognano di un rapido processo di raffreddamento per il piccolo margine di variabilità del fuoco animante e perchè l’aria deve penetrare dappertutto per la quantità del sangue e del calore. Ora l’aria può assolvere con facilità questi due compiti: per la sua natura rarefatta, penetrand dappertutto e velocemente, raffredda. L’acqua invece è l’opposto”.
Nel capitolo XXIII si afferma che “la nascita e la morte sono cosa comune a tutti gli animali, ma i loro modi differiscono secondo la specie”. Perchè si abbia la morte non basta, secondo Aristotele, il venir meno in maniera generica di una certa quantità di calore, ma ciò deve avvenire nella parte in cui si trova il principio della loro essenza, che varia appunto a secondo della specie animale o vegetale. “Il principio della vita viene meno a chi lo possiede se il calore che gli si accompagna non è più raffreddato, perchè, come si è già detto più volte, esso si dissolve da se medesimo … Per questo nella vecchiaia si muore se sopravvengono mali anche piccoli: essendo scarso il calore, poiché la maggiorparte è svanita nel lungo corso della vita, rapidamente si spegne quando si produca una qualsiasi tensione della parte, come se vi fosse una tenue e piccola fiamma che si spegnegnesse ad un piccolo movimento … Perciò la morte nella vecchiaia è indolore, perchè si muore senza che sopraggiunga alcun male violento, e il venir meno dell’anima si produce complessivamente inavvertito”.
Nel capitolo XXIV si afferma: “la nascita è dunque la prima partecipazione, nel calore all’anima nutritiva, e la vita è il suo permanere. La giovinezza è il processo di accrescimento della prima parte preposta al raffreddamento, la vecchiaia è il suo processo di consunzione … Morte ed estinzione violente sono lo spegnimento e la consumazione del calore, mentre la morte naturale è la consumazione dello stesso calore che si produce per la quantità e il compimento del tempo”.
Nel capitolo XXVI si afferma: “Tre sono i fenomeni che riguardano il cuore, la cui natura sembra essere la stessa, mentre non lo è; palpitazione, pulsazione e respirazione. … La palpitazione consiste in una concentrazione di calore che si trova nel cuore per effetto di un raffreddamento dovuto ai residui o alla decomposizione, come per esempio nella malattia che si chiama cardiopalma, in altre malattie e nelle situazioni di paura. … La pulsazione che avviene nel cuore, che risulta compiersi sempre senza interruzione, è simile a quella degli ascessi. Il movimento che si compie in questi è però accompagnato dal dolore, perchè la trasformazione con cui il sangue è sottoposto è contro natura, ed esso dura finchè cotto non si è trasformato in pus. Questo processo è simile a quello dell’ebollizione … nel cuore la pulsazione è prodotta dal gonfiarsi del liquido che continuamente affluisce dall’alimento … Palpitazione è dunque la reazione che si produce alla concentrazione dovuta al freddo, mentre pulsazione è la volatizzazione del liquido che si riscalda. La respirazione (capitolo XXVII) si ha quando aumenta il calore nella parte in cui si trova il principio nutritivo … di necessità dunque, crescendo, l’organo si dilata. … divenuto più grosso il cuore, si dilata e, dilatandosi, necessariamente si dilata anche la parte che lo circonda”. Interessante è certamente la seguente considerazione finale: “spiegare le cause della salute e della malattia non è soltanto del medico, ma fino ad un certo punto anche dello studioso della natura”.

Il Moto degli Animali
De Motu Animalium 

Questa, a differenza del De Incessu Animalium, si caratterizza più come un’opera cosmologica e psicobiologica che fisiologica.
Nel I capitolo Aristotele annuncia l’intenzione di “indagare in generale la causa comune del muoversi secondo un moto qualsiasi, dato che alcuni animali si muovono volando, altri nuotando, altri camminando e altri ancora in altri modi”. Egli parte dall’assioma che “il primo motore deve essere necessariamente immobile” e conclude che “è perciò chiaro che ciascun animale deve avere qualche cosa in quiete sia in sé dove porrà il principio di ciò che si muove, sia esterno, appoggiandosi al quale si muoverà tutto in massa o parzialmente”.
Nel capitolo II Aristotele precisa ulteriormente (precisazione che intende far valere non solo per gli animali, ma anche a ciò che riguarda il moto dell’universo) che “ogni quiete interna è ugualmente priva di valore se non c’è esternamente qualcosa assolutamente quieto e immobile”. Infatti: “se [l’animale] cedesse sempre, come accade ai topi nella farina d’orzo o a chi cammina nella sabbia, non sarebbe possibile né camminare, qualora la terra non rimanesse ferma, né volare o nuotare, se l’aria o l’acqua non opponessero resistenza”.
Il capitolo III assiomizza che “se tutto il cielo è mosso da qualche cosa, questo deve essere immobile e non sarà alcuna parte del cielo né sarà nel cielo”.
Il capitolo IV prosegue con ragionamenti aristotelici sui movimenti delle parti del cielo e degli animali. Riguardo a questo secondo argomento: “l’animale deve avere una parte che si muove ed una in quiete, appoggiandosi alla quale si muove ciò che si muove”.
Il capitolo V cerca di correlare il movimento all’alterazione e all’accrescimento.
Il capitolo VI tratta dell’anima, “se si muove o no”, di cui rimanda ad altre opere, e del perchè dei movimenti che si hanno negli animali. E dunque: “ mentre ciò che è primo muove senza muoversi, la tendenza e la facoltà di tendere muovono essendo posti in moto. L’ultimo degli oggetti mossi non deve invece muovere di necessità niente. … lo spostamento viene ultimo nei fatti che succedono negli esseri dotati di moto, perchè l’animale è mosso e fatto camminare dalla tendenza e dalla decisione, quando vi è stata un’alterazione secondo la percezione o l’immaginazione”.
Il capitolo VII cerca di sviluppare l’argomento su come “pensando, talvota si agisce talvolta non si agisce”. Secondo Aristotele: “gli animali che sono tesi ad agire, agiscono ed operano, alcuni per desiderio o slancio, altri per tendenza o volontà”.
Il capitolo VIII definisce il concetto che “principio del moto è ciò che si può perseguire o evitare nel campo dell’agibile. All’intelligenza e all’immaginazione di questi si accompagnano necessariamente riscaldamento e raffreddamento. Ciò infatti che è doloroso è da evitare, ciò che è piacevole da perseguire … tutto ciò che è doloroso o piacevole è per così dire unito ad un processo di riscaldamento o raffreddamentoIl capitolo X esprime il concetto che “ciò che è mosso, ma che naturalmente non muove, può essere soggetto ad una potenzialità altrui, ma ciò che muove è necessario che possegga una potenzialità e una forza. Tutti gli animali risultano possedere pneuma innato e avere con esso forza”.
Nel capitolo XI si afferma che “alcune parti si muovono anche involontariamente e la maggiorparte dei movimenti sono non volontari. Definisco involontari per esempio i movimenti del cuore e del pene … non volontari invece movimenti come il sonno e la veglia, la respirazione e tutti gli altri di questo tipo”.

(Commento di Diego Lanza “riassuntato” da Concetto De Luca) (21/2/2013) 


 

Opere Biologiche di Aristotele
A cura di Diego Lanza e Mario Vegetti
UTET, prima edizione 1971 

Un pensiero su “Estratti di opere biologiche di Aristotele

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